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Come una parola detta senza un significato non ha senso, l’analisi tecnica della voce ha senso soltanto se cerca di comprendere il valore drammaturgico dei suoi effetti, di differenziare la gamma delle voci, percependo così come il locutore cambia voce a seconda dei suoi interlocutori e cosa significano queste variazioni421.

La voce in effetti dice sempre più di quanto non dica il significato del personaggio (la sua identità nella finzione); essa non si accontenta di portare un messaggio o di caratterizzare lo stato di un personaggio fittizio, ma è anche un significante aperto e irriducibile a un significato univoco, una traccia scritta a vivo sulla carne dell’ascoltatore che la quale voce non è che il semplice significato del personaggio, per una semiologia di tipo barthesiano422.

Fischer, per esempio, si interessa alla funzione comunicativa della lingua e della voce, «poiché la voce dell’attore funziona sempre come segno» e «come segno di certe caratteristiche corporee e/o caratteriali del personaggio»423.

Barthes, al contrario, è sensibile alla grana della voce e definisce la semiologia come il «lavoro che raccoglie l’impuro della lingua, lo scarto della linguistica, la corruzione immediata del messaggio: né più né meno che i desideri, o timori, i malumori, le

420 Guardare nell’appendice la scheda proposta dall’autore. 421 Ivi, pp. 169-173.

422 Ivi, p. 171. 423 Ibidem.

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intimidazioni, le avances, le affettuosità, le rimembranze, le scuse, le aggressioni, le musiche di cui è fatta la lingua attiva»424.

Per l’analisi oggettiva della voce, si raccomandano le analisi proposte dalla fonetica sperimentale, con l’uso dei mezzi dell’informatica per registrare e visualizzare la frequenza fondamentale della voce, studiare le variazioni di altezza e i contorni melodici. Nel caso fosse impossibile effettuare una registrazione di qualità sufficiente per l’analisi tramite software, ci si dovrà accontentare, per l’analisi della voce, di qualche semplice osservazione:

 La dizione è sottoposta a dei modi: certi tipi di emissione – la velocità o la lentezza – la codifica di emozioni facilmente riconoscibili, l’utilizzo di accenti strani, tutto ciò dipende dalla norma del momento.

 La voce dell’attore è necessariamente forzata, ovvero deformata dalla necessità di parlare a voce alta e di essere bene udibile.  È rivelatore notare la frequenza delle pause, la loro durata, la loro

funzione drammaturgica: esitazione, respirazione, messa in evidenza o costruzione di un’armatura retorica ben riconoscibile?  L’attore, impadronendosi di un testo che non è suo, ma che gli

viene in qualche modo suggerito, deve gestire il fiato: parla (e mente) come respira: secondo un gruppo di fiato, unità di quanto viene pronunciato tra due pause facilmente riconoscibili. Questo gruppo di fiato comporta un versante ascensionale, la salita della linea melodica, e una linea di declino.

 La melodia della frase è per lui, e poi per lo spettatore, un mezzo per chiarire la struttura sintattica e dunque il senso del suo testo.  La voce permette di riconoscere il quadro ritmico della parola,

vale a dire «la traccia mentale dei ritmi primari dell’intervento di

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un locutore, e le aspettative sullo svolgimento interiore suscitato da questi ritmi primari»425.

 Infine, la voce è anche una proiezione del corpo nel testo, una maniera di far sentire la presenza corporea dell’attore. Spesso essa fa alternare parola proferita e canto, o parola cantata.

 Analizzare la voce significa anche esaminare il rapporto tra corpo e voce, la maniera in cui l’attore sembra subito incarnare un personaggio. Significa anche ascoltare la voce per come sembra sorgere da un testo, a ogni svolta della frase enunciata426.

Nacache, nel suo libro L’attore cinematografico427, elabora una lunga e strutturata analisi della recitazione, delle difficoltà affrontate nello stabilire le direttrici metodologiche ed espone in modo critico le analisi proposte in diversi studi sull’attore cinematografico. Tra l’altro, l’autrice ribadisce l’importanza di uno sguardo totale e intravede in Pavis una strada valida per studiare la recitazione cinematografica.

Il rischio di limitarsi eccessivamente all’analisi della recitazione è quello di fermarsi solo alla prestazione dell’attore, la quale, talentuosa o no, è solamente uno degli aspetti del suo contributo al film428.

Per quanto riguarda gli studi di semiologia, si può notare una convergenza di riflessioni sulla difficoltà di analizzare la complessità della recitazione e di riuscire a descrivere la performance, cercando le differenze stilistiche, contestualizzando tra le epoche, anche per via di quanto ancora non è codificabile. In ogni modo, sono i tentativi di ciascuno studioso che aiutano a riunire gli sforzi per colmare il non compreso.

425 M. Garcia-Martinez, Réflexions sur la perception du rythme au théatre, [tesi di dottorato], Université Paris VIII 1995, p. 194.

426 P. Pavis, op. cit., p. 174, cfr. M. Garcia-Martinez, Réflexions sur la perception du rythme au théatre, [tesi di dottorato], Université Paris VIII 1995.

427 J. Nacache, ed. it. L’attore cinematografico, Negretto Editore, Mantova, novembre 2012 (2003). 428 Ivi, p. 186.

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Non voglio dire con questo che la presenza e la recitazione sono elementi vaporosi, fragili e refrattari all’analisi. Semplicemente, gli strumenti esistono già e li conosciamo tutti: osservazione, descrizione, contestualizzazione, confronto, interpretazione429.

Secondo l’autrice, «il metodo di Pavis apre la strada a un’antologia della corporeità e costituisce un modello illuminante non solo per l’analisi delle performance filmate», così come, per similitudine o per contrasto, serve all’analisi di alcuni grandi attori istintivi che adottano anche «la tecnica della somatizzazione delle passioni»430.

Attraverso l’isolamento di un gesto di Marcello Mastroianni, Nacache fa vedere come l’analisi può costituire un accesso all’attore e agli effetti che produce. Dal momento che i gesti non sono sempre codificabili, o leggibili semiologicamente, riuscire a vederli può già essere un buon punto di partenza.

Evocando il Marcello di La dolce vita, io faccio di Mastroianni uno schizzo mentale, in funzione degli indizi più evidenti: la postura verticale, leggermente ancheggiata nella decontrazione, una spalla più bassa dell’altra, una mano in tasca mentre l’altra mano stringe una sigaretta tra l’indice e l’anulare, la fronte leggermente increspata in un’aria sognatrice e lontana, il colorito pallido e un mezzo sorriso stanco, al contempo lamentoso e beffardo.

Improvvisamente mi ricordo degli occhiali scuri che Marcello mette e toglie spesso nel film. Gli occhiali non sono nell’inquadratura che ho ricostruito, ma in un’altra. La testa è più diritta, addirittura piegata in avanti; Marcello abbassa gli occhiali sul naso con la punta del dito e poi li riposiziona allo stesso modo.

Una sorta di griffe dell’attore, se vogliamo, una griffe che rivedremo in 8 1/2, una marca visibile di leggerezza e di disinvoltura. Simbolicamente, il segno di

429 Ivi, p. 185. 430 Ivi, p. 184.

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una volontà di proteggersi dal mondo (Marcello non li indossa solo per difendersi dal sole).

Rivedendo il film, sono subito smentita. Ciò che la seconda visione del film mi offre non è questa immagine unitaria di Mastroianni (di certo reperibile in alcuni momenti), ma una coniugazione di parametri, una circolazione tra punti lontani e multipli. La voce varia dal mormorio alla collera, dalla timidezza rispettosa davanti Steiner/Cluny al timbro squillante di Monsieur Loyal (ma non dimentichiamo che il suono è post-sincronizzato). Lungi da avere quella libertà che io gli prestavo, questo corpo è intrappolato dalle macchine sportive, mentre i tavoli del cabaret lo riducono all’impotenza dell’uomo tronco (il Bell’Antonio e in La dolce vita). Raramente l’attore è al centro dell’immagine, di norma è relegato ai margini in modo da lasciare il posto ai fantocci che egli finge di ammirare, ovvero la diva hollywoodiana, i bambini miracolati, la spogliarellista borghese, il padre provinciale. Il film respinge con tutte le sue forze Mastroianni. L’attore vuole agire ma la sua è una presenza che non pesa in quanto è troppo trasparente. Il movimento mediante il quale l’attore cerca di imporsi sul mondo del film, unica forma identificabile della recitazione, è mutevole, instabile e nessuna foto di scena può renderne conto. Questo movimento è iscritto nelle inquadrature, nel montaggio, nel ritmo e nella concatenazione dei motivi felliniani come un punto nodale della regia431.

In ogni caso, tra gli studi menzionati c’è una tendenza a mettere a fuoco le analisi più sulla gestualità che sulla vocalità.

La sfida di analizzare la recitazione cinematografica può essere simile a quella di analizzare il comportamento umano attraverso la sua comunicazione verbale e non- verbale, ma nel contesto che è proprio del cinema, ovvero, in tutta la sua costruzione di mise en scene, attraverso la frammentazione del montaggio e nel suo risultato finale.

431 Ivi, pp. 188-189.

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Seguendo questo ragionamento, sembra essere molto utile prendere in prestito alcuni termini dell'analisi della comunicazione umana proposti dal sociologo Ervin Goffman, che si è occupato dello studio dell'interazionismo simbolico, avendo pubblicato il suo primo testo nel 1959432, il suo lavoro più noto, intitolato La vita quotidiana come rappresentazione, dove lo studioso usa proprio l'analogia drammaturgica per capire il comportamento delle persone dentro la complessità delle sue dinamiche interattive; Frame analysis: l’organizzazione dell’esperienza433, che si occupa del modo in cui l’esperienza della vita e del mondo va organizzata e plasmata, insieme al modo in cui il self nelle sue esperienze e azioni sul mondo va suddiviso in molteplici sé parziali che rappresentano ognuno un fattore in potenziale nella produzione dell’esperienza; e Forme del parlare434, forse il più utilizzato in questo studio, che si occupa di comprendere l’organizzazione sociale della conversazione nella vita quotidiana, intendendo il linguaggio parlato come azione sociale e cercando di rintracciare ancora gli elementi fondamentali della teatralità.

Queste opere saranno brevemente ripercorse, nell'intento di fornire degli strumenti che aiutino a comprendere in modo strutturale tanti aspetti della comunicazione umana che vengono percepiti in modo automatico, data la velocità delle interazioni, ma che tante volte vengono descritti in modo impressionistico, come un feeling, una intuizione rispetto all'identità – performance dei molteplici self – di qualcuno e/o del suo stato in quel momento, eventualmente riferendosi a esso come simpatia, approvazione, disapprovazione, fiducia, sfiducia di qualcuno.

432 E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, tr. It. di Margherita Ciacci, Il Mulino, Bologna 1969 (1959).

433 E. Goffman, Frame Analysis, Harper e Row Publishers, New York 1974.

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