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1.1 – La frammentazione e la discontinuità nel lavoro dell’attore cinematografico

Secondo Pudovkin40, il cinema ha la possibilità di essere una delle arti più realiste e ancora, secondo lo stile del regista o dell’opera, produrre realità astratte. Se l’attore non ha coscienza di come il film sarà girato, dell’ordine delle scene, dell’evoluzione del suo ruolo, diventerà totalmente dipendente dal regista per ottenere l’unità del suo personaggio.

Perciò sono importanti l’utilizzo e lo sviluppo di tecniche e di risorse tecnologiche che aiutino l’attore a costruire questa unità, che favorisca la creazione interna del personaggio, conservando il sentimento di totalità in questi frammenti di azione come un’unica immagine, resa organicamente omogenea da lui.

Attraverso il montaggio, il regista riesce a collegare le scene e a costruire la narrativa filmica, dando un ritmo grazie a questa composizione. Questo ritmo diventa un elemento stilistico importante, ma va tenuto in conto con molta attenzione e concentrazione.

Per l’attore, la difficoltà si trova nel recitare in assenza di una storia pregressa o di una conclusione, recitare davanti ad apparecchi, restando ancora credibile, a sembrare reale, rappresentando l’espressione di qualcuno che veramente esiste.

Pudovkin41 critica i metodi e le tecniche che considerano la recitazione

un’operazione meccanica, basandosi su esperienze fuori contesto: sono queste a rappresentare la causa della maggior parte dei problemi di composizione editoriale di un film.

40 V.I. Pudovikin, op. cit., p. 141.

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Per quanto riguarda la discontinuità si possono notare differenze teoriche diverse. L’attore si collega agli altri personaggi grazie ai dialoghi. Nel cinema, le narrazioni non sono necessarie come a teatro, con la finalità di contestualizzare, perché possono essere rappresentate direttamente, senza cartelli, sottotitoli o locuzioni esplicative.

Grazie a questa possibilità di rappresentazione diretta, di qualsiasi spazio o epoca, il cinema è facilmente assorbito dallo spettatore, e ha, così, una possibilità vasta di trasmettere le sue narrative. Così, con tanti pensieri, valori ed esperienze condivise rapidamente, il cinema potrà trascendere la letteratura.

La macchina da presa e il microfono sono gli strumenti del regista per guidare lo spettatore nella sua narrativa, come se avesse comprato un biglietto per un viaggio, si mettesse seduto sulla poltrona e potesse percorrere tanti spazi, sentire le conversazioni, come una spia, ma senza i rischi della vita reale.

Alcuni materiali non possono essere registrati con diverse macchine da presa, perché se una di loro fosse messa in close up o a fianco del personaggio, potrebbe rovinare le riprese di un’altra macchina posta più lontano.

La frammentazione non riguarda soltanto le unità filmiche, le scene, ma anche il punto di vista, che va dal dettaglio allo sguardo complessivo. In questi casi, una scena può essere ripresa sia da diverse macchine allo stesso tempo, sia diverse volte, nel caso che una machina comparisse nelle riprese dell’altra. Allora, l’attore deve essere capace di ripetere la propria performance.

La comprensione e la sensazione di essere ripreso da tanti angoli deve essere organicamente inclusa nel processo di preparazione dell’attore per l’espressione del suo ruolo, l’esternalizzazione degli aspetti del suo personaggio. Lui deve sentire l’urgenza e la necessità di dare alla macchina da presa lo stesso pezzo del suo ruolo che darebbe a teatro, quando l’attore rivolge la sua performance a punti immaginari e prestabiliti, dove

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ci sia quella luce speciale, un percorso da fare, alcuni gesti enfatici42. Ad esempio, la consapevolezza di quando si è in primo piano o in piano americano.

Le riprese interrotte e ripetute sono indispensabili. L’attore dovrà ripetere le azioni nel modo più vicino possibile a quello che è già stato fatto. La pausa tra due atti al teatro non è diversa dalla pausa tra le riprese al cinema. Le contraddizioni tra la personalità dell’attore e il suo impegno nel processo di rappresentazione si intravedono in tutti gli ambienti di un film realistico, queste contradizioni sono presenti nel teatro, nel cinema o in qualsiasi altra arte creativa. La soluzione non è l’eliminazione della personalità o dei metodi di recitazione, ma la comprensione dei significati di ogni tecnica per legittimare il suo uso.

Per Pudovkin43, le prove sono più importanti al cinema che al teatro, per via dell’eccessiva frammentazione. Le pratiche stanislavskijane sono per questo molto benefiche, in particolar modo le tecniche che aiutano l’attore nella transizione tra un atto e l’altro, tra una ripresa e l’altra. Non è necessario introdurre tecniche convenzionalmente teatrali se non rappresentano alcun rapporto con le problematiche del cinema.

Aggiunge che un copione dev’essere redatto con molta attenzione e modificato in modo profondo e meticoloso, per poter adattare alle prove l’equivalente di situazioni della vita reale. Il copione e le prove devono cercare le basi concrete prevedendo anche le reciproche influenze tra attore e regista. Sempre Pudovkin sostiene l’importanza di fare una prima prova già in presenza della macchina da presa, e di girare da subito, ma di tenere in conto almeno un secondo tentativo, dato che, probabilmente, ci potranno essere migliori scelte estetiche e migliori performance attoriali.

42 V.I. Pudovikin, Discontinuity in the actor’s work in the cinema, in Film Acting, op. cit., pp. 31-53. 43 V.I. Pudovikin, Rehearsal work, in Film Acting, op. cit., pp. 53-65.

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I.1.2 – Campi di studio sull’attore: la persona e la recitazione, due direzioni principali

Jeremy G. Butler nei suoi studi sulle stars propone di distinguere fra due approcci teorici: gli studi sulla persona – l’immagine della star – e quelli sulla recitazione – la performance della star44. Questo costituisce due campi di studi diversi: gli Star Studies e gli Acting Studies.