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Nel libro Ascoltare la voce: itinerario percettivo alla scoperta delle qualità della voce, Franco Fussi e Silvia Magnani186 sostengono che la percezione sia un aspetto fondamentale della produzione e della valutazione vocale187. Enfatizzano anche

l’importanza della conoscenza rispetto alla fisiologia vocale, il che permette all’ascoltatore di «vedere» l’apparato fonatorio in funzionamento188.

Gli autori partono dalla fenomenologia, con le riflessioni di Gerbino189, passando da Heidegger190, Husserl191, Nancy192 e anche da Merleau-Ponty193, per spiegare la

differenza tra sensazione e percezione, visto che il mondo attorno a noi è pieno di stimoli ai nostri organi di senso, ma non sempre si riesce a riconoscerli tutti. Per questo, propongono di considerare la percezione come qualcosa di più consapevole, dal momento che chi percepisce è capace di identificare lo stimolo. Gli si può attribuire un senso perché vi si riconoscono caratteristiche comuni, perciò la percezione dipende dalle esperienze vissute, dalla memoria, dalla capacità di analizzare le informazioni ricevute e di interpretarle.

185 Ibidem.

186 S. Magnani, F. Fussi, Ascoltare la voce. Itinerario percettivo alla scoperta delle qualità della voce, Franco-Angeli, Milano 2008.

187 Ivi, pp. 15-23. 188 Ivi, p. 42.

189 W. Gerbino, Percezione, in F. Barale (a cura di), Psiche, Dizionario storico di psicologia, psichiatria,

psicoanalisi, neuroscienze, Einaudi, Torino 2006.

190 M. Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968.

191 E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Franco-Angeli, Milano 1981. 192 J.-L. Nancy, Le sense du monde, Galilée, Paris 1993.

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La percezione è un’esperienza (soggettiva) in cui si dona senso a un evento che da indefinito – delle impressioni sensitive in elaborazione – diventa un evento «identificabile e riconoscibile». Dato che la percezione porta a una memoria, viene spesso associata al risveglio di ricordi ed emozioni che vengono così riattualizzati194. Oltre a dare un senso alla forma della voce (traccia di un’esteriorizzazione umana), si attribuisce un senso all’altro che la emette, «che sotto quella forma ci appare». Si incontra l’altro attraverso l’ascolto della sua voce e si crea un ponte fra delle esistenze in dialogo, fra le soggettività rappresentate attraverso questo materiale sonoro195. Rispetto alla percezione vocale, gli autori spiegano:

Ogni soggetto, di fronte a una voce, arriva con un bagaglio personale di conoscenze acquisite, con interpretazioni già date di eventi vocali ai quali ha assistito, con un tesoro di ricordi, di esperienze di vocalizzazioni da lui stesso compiute, che hanno lasciato una memoria propriocettiva e uditiva196.

Allora, occorre che, per la percezione in generale, così come nello specifico della voce, bisogna sapere cosa si stia cercando, come allo stesso tempo saper ignorare quello che si cerca – altrimenti non se lo cercherebbe. Occorre saper «cogliere la voce nella sua globalità», «scegliere cosa stiamo ascoltando (per riconoscerlo)» e «saper ignorare tutto ciò che ascoltiamo e che non serve alle necessità contestuali di analisi»197,198.

In questo senso, dal punto di vista della didattica percettiva vocale, contano le esperienze, le conoscenze e le scelte semantiche del maestro, come il bagaglio culturale ed esperienziale, insieme a un uso personale del linguaggio di chi vuole imparare a

194 S. Magnani, F. Fussi, op. cit., p. 20. 195 Ivi, p. 22.

196 Ivi, p. 21. 197 Ibidem.

198 Gli stimoli, nel caso della voce e della parola nel cinema, vengono percepiti insieme a una totalità sonora di rumori e della colonna sonora, in modo sinestesico e vococentrico, limitato alla capacità degli organi del senso e insieme alle informazioni visive, alla mimica faciale, ai gesti, alle posture, al trucco, ai vestiti, ai colori, all’illuminazione, alla frammentazione, all’inquadratura, al movimento della cinepresa, proporzionali allo schermo. Non solo, ma limitati al bagaglio esperienziale e culturale delle voci e delle recitazioni cinematografiche sperimentate.

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percepire per essere in grado di dialogare, di farsi capire rispetto alle sue impressioni sull’esperienza vocale.

Riconoscere le caratteristiche percettive di un evento uditivo è un’arte, scegliere le parole con le quali descriverlo e definirlo, rendendolo un possibile oggetto di confronto con l’interlocutore, è ancora una volta una scelta soggettiva, che si appella alle conoscenze e alla sensibilità del maestro in qualche modo arbitraria e a criteri speculativi legati all’approccio culturale o indagatore199.

È con la stessa problematica che Jeffery Pittam200, professore ordinario di Communication Studies dell’Università di Queensland e ricercatore interessato allo studio della misurazione acustica della voce e della parola, dell’identità sociale e delle sue rappresentazioni mediatiche e dell’analisi della conversazione, introduce il suo libro Voice in social interaction: an interdisciplinary approach. Ricorda diverse valutazioni impressionistiche che altri autori hanno utilizzato per descrivere le voci nella poesia e nella letteratura, come quella di F. Scott Fitzgerald (1958) nel descrivere la voce «piena di soldi» di Daisy Buchanan in The great Gatsby. Anche se possiamo intuire cosa rappresenti questa voce, non lo sapremo mai allo stesso modo di come l’aveva immaginato il suo autore, quali caratteristiche sonore dovrebbe avere per dimostrare la prosperità economica. Per Pittam201 una soluzione a tale problematica potrebbe essere la descrizione fonetica della qualità vocale, proposta da John Laver202, che permetterebbe anche un miglior dialogo tra le discipline che si occupano dei Voice Studies.

Un’altra questione sollevata da Pittam è che le qualità delle voci e cosa esse rappresentino dipendono dal contesto culturale e sociale in cui vengono inserite – uno esempio potrebbe essere tratto dalla Grecia classica in cui le voci profonde e tese

199 Ibidem.

200 J. Pittam, op. cit. 201 Ivi, p. 3.

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indicavano coraggio, mentre quelle più acute e rilassate codardia203 – così come dall’interazione con l’interlocutore diretto e indiretto, ovvero dai possibili osservatori dell’interazione in corso.