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III. Ideologia e soggetto: tra immaginario e Reale

3.4 Il feticcio tra immaginario e reale

Cos’è questo ribaltamento che fa sparire l’aura magica degli oggetti che mettono in moto il desiderio? E Perché abbiamo messo in relazione l’oggetto ideologico negativo, nel nostro esempio lo zingaro, con gli oggetti di consumo?

Chiamando in causa la tripartizione lacaniana della realtà (simbolica, immaginaria, reale), potremmo affermare che il gadget, ponendo il consumatore di fronte all’inevitabile caduta e spostamento degli investimenti affettivi, rivela la logica metonimica del desiderio: ciò che si desidera è il desiderio stesso, condensato, attraverso una costruzione fantasmatica, attorno ad un oggetto. Allorché decade la finzione immaginaria che permette la condensazione dei significati, l’oggetto rivela la sua faccia reale e indifferente, per via dell’assenza di ciò che aveva mobilitato i nostri

sforzi: alle nostre interrogazioni risponde con uno sguardo vuoto e perturbante, di cui stentiamo a decifrare il senso.

Possiamo affermare che la logica del desiderio è sempre sostenuta da un’illusione, necessaria a sostanziare la tensione desiderante diretta a qualche oggetto. Attraverso la fantasia, il desiderio “scommette” su un oggetto e mette in moto quel campo di sforzi affettivi che trascinano il soggetto, con varie turbolenze, ripensamenti, gioie improvvise quanto effimere, scoramenti, ad affermare: “non è questo”. La figura più rappresentativa del desiderio è quella del fallimento: esso manca sempre il suo oggetto e nondimeno proprio su tale mancanza organizza la propria vitalità. La fantasia, dunque, agisce sul piano immaginario come il motore dell’eternità di questa macchina ingenua: non solo gli “specchi per le allodole” sono specchi (ossia hanno il carattere della riflessività, come è chiaro nella fase dello specchio, paradigma per ogni costruzione immaginaria della realtà109), ma sono anche necessari.

Che succede se la fantasia è percepita su un piano reale, se cioè ne cogliamo distintamente il carattere di illusione disarticolata dall’oggetto cui fa riferimento? Cosa succede se essa non riesce a rimettere in moto l’andamento ottuso del desiderio? L’esperienza della fobia descrive esattamente questo stato: l’oggetto fobico, su cui ricadono le fantasie inconfessabili del soggetto, testimonia dell’assenza radicale dell’oggetto piccolo a. Nulla è più terrorizzante della vista dell’oggetto che rivela l’assoluta insensatezza del desiderio, quella specie di prestidigitazione che illude di avere una vita significativa, di alzarsi la mattina per uno scopo, di lavorare per la costruzione di senso. Perciò, da tale punto di vista, l’oggetto che suscita la fobia non può essere visto, afferma Lacan: esso mette in scena l’assenza dell’oggetto110.

Siamo a un punto molto più radicale di ciò che sembra: la caduta nel reale della fantasia è ciò che rivela non solo la finzione del desiderio ma, più in generale, la finzione del significato. Allorché esperiamo una fobia, questo faccia a faccia con

109 «Perché ci sia relazione con l’oggetto bisogna che ci sia già relazione narcisistica dell’io con l’altro»

J. Lacan, Il Seminario, Libro II, cit., p. 122

110 L’oggetto fobico evoca delle fantasie inconfessabili di cui il soggetto non si fa carico: dissociando la

fantasia dall’oggetto nella sua presenza fattuale, quest’ultimo emerge nella sua percezione puramente organico-materiale e induce al soggetto l’orribile sensazione di immobilità di fronte allo statuto osceno della materia de-fantasmizzata. Di fronte alla minacciosità del proprio desiderio, nella misura in cui esso può essere deluso, le fobie agiscono da luoghi sensibili in cui emerge questo rischio, vanno pertanto cancellati. Dietro la fobia si cela l’angoscia della castrazione. Cfr. Id., Il seminario.

l’assenza di significato, tocchiamo con mano viva la materia inerte del campo simbolico, ciò che garantisce la tenuta della struttura del linguaggio e che, in definitiva, potremmo designare come un nulla carico di convinzioni fantastiche. Il reale è il buco del linguaggio: in questo senso va intesa la famosa frase lacaniana «non c’è l’Altro dell’Altro»111. Non esiste una struttura che regge la struttura del linguaggio, non c’è nessun fondamento motivato (morale, etico, teologico, politico ecc…) di ciò che ordina la nostra vita intersoggettiva e sociale: il mondo intero, le sue gerarchie, le articolazioni attraverso le quali lo comprendiamo, tutto è una finzione che non crolla perché continuiamo a concedergli fiducia.

Un’opera che mette in risalto l’insensatezza dell’ordine simbolico, nella sua declinazione burocratica è ovviamente quella di Kafka, in cui si dispiega, nelle parole di Žižek (in polemica verso Althusser), «un’interpellazione senza soggetto». Sin dalla prima pagina, ci rendiamo conto che il protagonista de Il castello, K., giunge in un paese su chiamata del sovrano, ma per tutto il romanzo incontra situazioni che gli rendono impossibile l’avvio lavorativo della sua condizione:

Era tarda sera quando K. arrivò. Il villaggio era immerso nella neve. Il monte del castello non si vedeva affatto, lo circondavano nebbia e oscurità, neppure il più debole chiarore lasciava trapelare il grande Castello. K. restò a lungo sul ponte di legno che dalla strada maestra conduce al villaggio, guardava in alto nel vuoto apparente.112

Come leggere in questo caso l’atmosfera tenebrosa che avvolge il castello? Una ipotesi potrebbe essere la lettura sintomatica e discorsiva dell’ideologia: la nebbia starebbe qui per il discorso ideologico che offusca fino a rendere impossibile la vista del castello, la verità, il centro del potere. Ma credo che un’altra interpretazione sia più stimolante e produttiva: il castello non esiste, e la nebbia è un elemento ideologico che nasconde proprio questa assenza. Il grande Altro, l’ordine simbolico, il punto che regge i fili della realtà (sovrano, dio o chi per esso), il luogo dal quale si producono le interpellazioni non esiste se non attraverso la nebbia e gli atti di implicito riconoscimento che gli forniamo con la nostra condotta.

111 Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, in Id., Scritti. Vol. II,

Torino, Einaudi 2002, p. 816