• Non ci sono risultati.

II. Il tempo inconciliato

2.2 Il tempo dei falliti

2.2.1 Ruggero

D'altra parte il «tempo dei campioni»74 statuario ed eterno non è l'unica forma temporale che modella il desiderio amoroso di Walter. La parte centrale di Sdn e di Tp, con gli amori di Ruggero e Sergio, tutto il secondo volume della trilogia, nel quale si narra la relazione con Mimmo, si strutturano secondo una diversa qualità temporale. Nonostante il paradigma del desiderio perverso non venga mai del tutto abbandonato e permanga ovunque come sfondo immobile e mitologico del desiderio, Walter prova a superare gli incontri fatui con le galassie immobili dei “nudi maschili” a favore di un desiderio che si sviluppi in estensione cronologica, che abbia una durata e una progressione. Al dolore “verticale” e disperato che prorompe di fronte all'impossibilità di carpire l'istante immobile del godimento del corpo pneumatico, si oppone il “dolore normale”, “orizzontale”, il tentativo di stabilizzare il desiderio secondo il telos di una relazione intersoggettiva stabile e duratura.

È interessante che l'esperimento si collochi materialmente al centro del primo e dell'ultimo libro della trilogia, nonché al centro della trilogia stessa: come a dire che al cuore del trionfo della perversione (ché questo rappresenta, come vedremo, Il dio

impossibile) vi è il tentativo di negarla, di opporre al piglio dispotico di eros la cura e

l'affetto materno di agàpe75. Allo stesso tempo, ci rendiamo conto che al centro della prova di questo tipo di amori riposa intatto un nucleo perverso: l'amore per Ruggero, il contadino toscano deuteragonista che seguiremo per buona parte di Sdn, nasce per così

73 «Non ho mai potuto rispettare le leggi perché le leggi rispettate da me diventano ingiuste.», in ivi, p.

228

74 È questo il nome di uno dei capitoli di Tp, pp. 847-893. In esso si narra una serie di incontri con body

builder, un crescendo che culmina con l'incontro di Marcello, una figura che sembra rispondere perfettamente ai canoni dell’oggetto del desiderio di Walter.

dire “obliquamente”, attraverso spostamento e delega a partire dal desiderio delle forme pneumatiche dei corpi turgidi (in questo caso a partire da Bruno):

lui [Ruggero] mi desiderava fisicamente come io avevo desiderato Bruno: dicendogli sì era come se Bruno lo dicesse a me per interposta persona, sarebbe stata la prova che una felicità del genere non è impossibile su questa terra, sia pure provata da un altro76

Tale ambivalente centralità doppia del desiderio di Walter, che prende le forme di un gioco significante («Con Bruno e gli altri l'apnea, con Ruggero la pena: il mio destino in un anagramma»77), rivela la logica implacabile alla base delle sue relazioni oggettuali. In essa rinveniamo le ragioni profonde della sorte infelice che toccherà ai personaggi con i quali il protagonista tenta la via costruttiva del desiderio, tutti invariabilmente segnati dalla morte – si noti, connotata dall’autodistruzione – o dall’allontanamento. Non è un caso che Ruggero sarà affetto da una patologia autoimmune (la sclerosi a placche), Mimmo si suiciderà e Sergio uscirà gradualmente di scena, sostituito dal vigore ineluttabile del corpo per così dire “risolutivo” di Marcello. Tutte le relazioni di questo tipo sono cioè destinate al fallimento senza che Walter prenda mai almeno parte della responsabilità.

Lo spostamento del desiderio che determina l’entrata in scena di Ruggero è dovuto a una caratteristica peculiare del protagonista, che impareremo a riconoscere non solo nelle relazioni amorose ma anche in quelle conflittuali e antagonistiche. Pressoché l’intera compagine dei personaggi cui dà vita l’autore è cioè da decifrarsi come personificazione dei conflitti che animano Walter, ovvero come modalità di gestire le proprie tensioni. Una voracità antropofagica che produce la doppia possibilità di lettura dei personaggi: diegetica (il ruolo nella storia raccontata) e psichica (il valore simbolico in relazione al protagonista). Così Ruggero, per Walter, è il rappresentante vicario delle emozioni su cui proiettare il proprio modo di godere della felicità (il godimento perverso di chi si innamora dell'oggetto di cui si desidera essere il Fallo78) ma è anche il personaggio al quale ci appassioneremo seguendone la sorte tragica.

76 Ivi, p. 211 77 Ivi, p 363

Sebbene Walter sia almeno parzialmente consapevole di tale situazione, è costretto ad autoingannarsi e a ricredersi: le proprie «contorsioni di amore simulato»79 lo irretiscono fino ad estorcergli un amore sincero («insomma se non è amore, che è quello che provo?»80). Il tempo incarnato dall’amante, opposto a quello immobile che vive Walter, è da considerarsi un aspetto fondamentale di questa inversione: Ruggero, «diventato adulto molto presto» e «più maturo di me mentre ha tre anni di meno», rappresenta il capovolgimento della dialettica bloccata che porta Walter a scegliere un tempo nemico. Lo stesso mestiere di contadino è la radicale negazione del tempo assoluto:

«Coi contadini bisogna sempre aspettare il tempo, non si può mai decidere qualcosa perché tutto dipende dalle condizioni esterne.»

«Si può decidere, non è che non si può decidere, certo sei meno libero perché c'è tanti elementi che si devono tenere di conto, però questo è anche il bello, per certi aspetti: quando mi sbattevo di qua e di là mi sembrava d'esser libero e invece ero solo un disperato.»

«Capirai che per me è seccante, che dopo aver faticato tutta la vita per avere un'attività sganciata da qualunque scadenza, adesso mi ritrovo vincolato a dei ritmi che non sono miei. Io ho bisogno di comandarlo il tempo, non di esserne comandato.»

«Fai come i bambini»

«Bruno era sempre pronto a partire» «Perché non ti voleva bene»

«Cos'hai, le radici?» «…»81

Con Ruggero Walter effettua il primo tentativo di stabilire un tempo progressivo di sedimentazione e sviluppo del desiderio, di dargli, appunto, radici e sedentarietà. Non è un caso che il tempo cronologico cominci ad avere una profondità: con lui conosce le depressioni e le alture di un amore “legittimo”82, i segreti di un'intimità costante anche se piena di dubbi, consapevole di effettuare una ricerca che ha i tratti della psicomachia, il conflitto tra la scarsa attrazione sessuale («Il lettone di ferro è il ring dove mi sono offerto volontario per combattere contro me stesso»83) e la felicità a lento rilascio della

79 Sdn, p. 213 80 Ivi, p. 215 81 Ivi, p. 216-7

82 «Il tuffo di gioia era per la legittimità dell'incontro» in ivi, p. 417 83 Ivi, p. 226

relazione stabile (dopo un litigio e una rapida riappacificazione: «allora che voglia di abbracciarlo; il suo sorriso tagliato con il coltello, la tenerezza che nessuno conosce.»84).

In ogni caso, tale desiderio e il tempo ad esso necessariamente correlato non assumeranno mai un’indipendenza rispetto al nucleo perverso nel quale hanno radice, né troveranno mai la forza di affermare la propria autonomia nei confronti delle ossessioni di Walter, che siano verso i corpi pneumatici o verso l’antagonismo edipico che spinge il protagonista a individuare nel personaggio del Cane (Matteo) la propria nemesi:

Mi piovono in testa due frasi allo stesso tempo: «luminosità del suo essere stupido» e «fraternità nell'umiliazione». Quest'uomo di poche parole, che china la fronte ma non si lascia cadere, sta diventando una parte di me stesso, come una gamba colpita un tempo dalla poliomielite potrebbe diventare il centro oscuro d'equilibrio. Se almeno potessi desiderarlo, se non mi bloccassi davanti alla metà superiore del suo torace con l'angoscia di chi si sente chiedere alla dogana documenti che non ha. Se non dovessi vergognarmi di fronte a Matteo del suo occhio strabico.85

Così con Ruggero sono rari i momenti d'intesa nel campo della sessualità, vissuto per lo più come un dovere e dunque, in perfetta coerenza con il personaggio di Walter, da sbrigarsi seguendo la linea di minima tensione possibile o, se possibile, da evitare

tout court: «Perché si accosta ora? Non vorrà mica fare l'amore? Parlare, parlare fin che

non si addormenta.»86

Del resto questo conflitto tra il teatro affettivo che Walter costruisce e trasforma in un amore inconsueto e i chiari indizi di permanenza all'interno di una relazione oggettuale perversa rivela una realtà che vale per tutte le relazioni umane e che nella contemporaneità, individualistica ed iperespressiva, ha una rilevanza ideologica non indifferente. Il crollo lento ma inarrestabile dell'amore verso Ruggero segue dinamiche di decostruzione del sentimento, come se quest’ultimo fosse una finzione costruita per ingannare se stessi: «Sentimenti che non ricordo di aver provato, io sono stato in parte

84 Ivi, p. 230

85 Ivi, p. 221. Tra l’altro la similitudine normativa/poliziesca dimostra che tutta l’irrequietezza di Walter

di fronte alla legge non lo libera dalla legge stessa. Quest’ultima prende le forme di un poliziotto di frontiera superegoico.

un individuo che non esiste più»87. Tuttavia non si tratta di additare una finzione, poiché fino al momento in cui il sentimento, questa illusione drammatica e (auto)finzionale, sostiene la situazione amorosa gli effetti emozionali possono dirsi sinceri: «chi l'ha detto che le emozioni, per essere ipocrite, debbano essere finte?»88. Il paradosso è che la determinazione dei sentimenti passa inevitabilmente attraverso il meccanismo narcisistico della definizione dell'io, che ha la caratteristica, come abbiamo visto nel primo capitolo, di essere autocentrato. L'identificazione amorosa per Walter resta incagliata nella fase dello specchio, cioè non esce dal rapporto chiuso con se stesso. È dunque inevitabile che le emozioni siano costruite come un melodramma finzionale che si autoalimenta: «è l'eco della mia voce che mi fa piangere»89. L'intero edificio del tempo progressivo di questo amore è insomma segnato sin dall'inizio da un destino di crollo che comincia dall'interno, eroso sia da questa pantomima che la lucidità implacabile di Walter decostruisce continuamente, sia dalla presa alla lettera dell’adagio secondo il quale il tempo divora se stesso. Per questo sono interessanti la malattia e la morte di Ruggero, nonché il ruolo che Walter ricopre rispetto ad esse. Come non interpretare la patologia lenta, degenerativa e autoimmune che colpisce Ruggero, la sclerosi a placche, come un crudele contrappasso che inverte i tratti costruttivi del tempo amoroso che Walter esplora proprio con il contadino?

La malattia di Ruggero si annuncia ferocemente, secondo tappe lente e inesorabili, con i sintomi tipici della sclerosi confusi però con altre preoccupanti manifestazioni somatiche di Ruggero. La diagnosi corretta è perciò differita da tale confusione dei sintomi, che non manca di suscitare drammatici momenti di allarmismo nella coppia. Walter, al solito, tende ad accentrare su di sé la responsabilità di ciò che sta vivendo Ruggero, ponendosi come la causa: gli sbocchi di sangue che irrompono improvvisi, «filamenti rosei» che si «snodano calmi»90 nel latte mattutino di Ruggero, non sono che il primo correlativo oggettivo di un ruolo sacrificale che segna il partner sin dalle prime battute della relazione. Tale stigma del destino, per come è percepito nella scena, non rientra nel campo scientifico di un fenomeno sintomatico osservabile ma sembra vivere di vita propria, parallela e indifferente a quella, soggetta a un inizio e a una fine, degli

87 Ivi, p. 353 88 Ivi, p. 364 89 Ivi, p. 438 90 Ivi, p.237

esseri umani. Proprio il carattere di placidità lo trasforma in un’entità ottusa e insignificabile, la cui presenza, tuttavia, suggerisce qualcosa di terribile. Poche righe prima, l'immagine che apre la scena è la descrizione di una delle opere pittoriche di Ruggero, che è anche mediocre pittore, raffigurante

Un Sebastiano o forse un Cristo alla colonna, sproporzionato, a sanguigna e

inchiostro nero: uno spruzzo di vernice rossa per auto gli esce dalla bocca, la curva del braccio e del torace disegnano una linea molto simile a quella che sulle carte geografiche indica il golfo di La Spezia e la costa Toscana; il fiotto dal capo reclino è proprio su Pisa.

«Che cos'è?»

«È un albero ferito, un uomo ferito legato ad un albero ferito.» […]

«Vai giù nel tuo rosso, il rosso fuori è insopportabile se non ha il tuo rosso che lo riceve; vorrei che mi regalassi qualcosa di rosso.»

«Non te l'augurare.»

«Hai visto che bel rosso che han preso i filari del Tanucci?» […]

«Beato te gattolino che non vedi le cose: quando gli olmi sono rossi così son bell'e iti. […] C'è la tubercolosi degli olmi e il cancro dei cipressi […].»91

Si annuncia così figuralmente la malattia immaginaria di Ruggero e si espande l'isotopia scarlatta della morte, che lega il passaggio figurale tra il Cristo («sproporzionato», come il corpo spigoloso del contadino) e gli alberi, collocati sullo stesso quadro ed elementi che il narratore scambia erroneamente per sani («hai visto che bel rosso che hanno preso i filari […]?» «quando gli olmi sono rossi così son bell'e iti»). Ed ecco, a poche pagine di distanza, il benservito alla richiesta di Walter («vorrei che mi regalassi qualcosa di rosso»): lo sbocco di sangue. Ruggero è sacrificato sulla croce così come Cristo, nella tradizione simbolica cristiana, si sacrifica per redimere l'umanità dai peccati e dargli accesso alla vita eterna. La differenza in questo caso è che l'esito di Ruggero non ha effetti di redenzione collettivi, bensì riguarda l'accesso al tempo “eterno” (come quello della resurrezione di tutte le anime cristiane alla fine dei tempi) del godimento privato di Walter. L'assenza di Ruggero gli consentirà di tornare al tempo immobile della perversione, all'amore seriale dei body builders e alla loro temporalità eterna.

Questo è uno dei sensi possibili che si stratificano sulla morte di Ruggero, ma non è l'unico. Walter, come al solito, nasconde dietro il patetismo l'inconscio desiderio di morte che invece manifesta figuralmente nei confronti del suo compagno, addossandosi una responsabilità che non può essere sua:

Uno sbocco di sangue non può essere psicosomatico; con un urto d'orrore m'accorgo che l'ipotesi di una malattia non immaginaria di Ruggero si fa sempre più strada nel mio cervello, fino al punto di sembrarmi ovvia: ma certo, io semino e lui raccoglie. […] Lui vive ciò che io argomento.92

Il commento è di quelli che si prestano ad una doppia articolazione del senso che il genere autofittivo permette di sintetizzare. Da un lato vi è il senso metaletterario, da prendere alla lettera: Ruggero vive ciò che Walter, questo strano doppio dell'autore, argomenta. Argomentare, non narrare: come se i momenti riflessivi del testo determinassero l'andamento della diegesi, non viceversa, e la vicenda non fosse altro che una catena di avvenimenti inevitabili determinati dalle riflessioni del protagonista.

In questo aspetto notiamo che Siti contravviene parzialmente alle prescrizioni implicite che il romanzo moderno ha sviluppato, cioè il rifiuto di una narrazione che sia semplice escrescenza, exemplum di un discorso che fonda le sue basi di verità in un'argomentazione non narrativa. In parte vedremo che sarà così. Sdn e più in generale la trilogia possono leggersi come il romanzo frutto di una sola, implacabile tesi: l’ineluttabilità del desiderio perverso. D'altro lato si ha la sensazione netta di un delirio di onnipotenza di Walter, che attribuisce a se stesso una centralità davvero sproporzionata attraverso la facoltà sciamanica di causare psichicamente il mondo. Questa seconda possibilità s'innesta sulla prima proprio laddove agisce più forte l'inseparabilità di autore e narratore-protagonista tipica dell'autofiction.

Tuttavia, non andrà così. Non è la tubercolosi che ucciderà Ruggero, anche se i sintomi del suo corpo segnalano un disagio organico e seguono un ritmo incalzante:

Gli sbocchi di sangue non erano che un capillare rotto, non ci pensiamo più nel tepore resuscitato di mezzo novembre. La stagione dei diosperi, fuochi accesi nella campagna a scaldare la nebbia. […] Viene verso di me

asciugandosi il sudore con la manica della giacchetta, un tafano l'ha punto dietro l'orecchio.

[…] Gli si gonfia il collo, la pelle più tesa quanto più ci ostiniamo a ispezionarla […].

Dopo cinque minuti mi chiama dal bagno, si è fatto degli impacchi con non so cosa ma senza diluirlo, la zona è diventata una piaga. È seduto sul bidé, l'affetto cieco e sordo mi riprende insieme alla ripugnanza di vedere quello sfacelo; lui non si lamenta nemmeno, sussulta piano e chiede «Walter che fo adesso?»93

L’episodio parla attraverso il linguaggio figurale appena incontrato nella scena fondante del quadro cristologico: il dileguarsi della preoccupazione è immediatamente seguito dalla descrizione lirica della campagna in cui si rievoca, annuncio funesto, il colore rosso attraverso i frutti molli e rossastri dei diosperi. Walter è ripreso dall'affetto e contemporaneamente inorridisce al disastro organico della piaga: più probabilmente ne è attratto “proprio per” il disastro organico (e non “nonostante il”) visto il ruolo d'autoinganno che l'affetto svolge. La consecutio temporale della reazione del protagonista è dunque da rileggere secondo una logica causale: Walter è coinvolto affettivamente a causa di “quello sfacelo”. Tanto coinvolto che le parole di Ruggero saranno rievocate nell'occasione della sua morte reale, cui Walter non assiste direttamente, ma che si immagina proprio segnata da quella stessa domanda disorientata: «“che fo adesso?”»94

Altre successioni di sintomi e smentite avvengono, nella sequenza prevista dalla scena del quadro: alla tubercolosi segue l'ipotesi di un cancro95, anch'essa smentita. Puntualmente arriva l'autoaccusa patetica di Walter: «Io lo sto uccidendo, io provoco la morte di tutti quelli a cui voglio bene»96.

A tali peripezie segue una pausa nella relazione tra i due, che dura poco più di una sessantina di pagine. In questo lasso di tempo, Walter torna, senza troppi sensi di colpa e anzi euforicamente, alla vita precedente: normalità universitaria (Walter perde il concorso per la cattedra, vinto invece da il Cane-Matteo) e, soprattutto, diversi incontri saltuari e regolati dal “tempo dei campioni” che conosciamo bene. Nel frattempo si diffonde, soprattutto nell'ambiente omosessuale, la preoccupazione riguardo all'AIDS.

93 Ivi, p. 245 94 Cfr. Ivi, p. 416 95 Ivi, p. 248 96 Ibidem

Walter ne è terrorizzato, ma rinvia costantemente le analisi del sangue per non avere un riscontro esplicito e scientifico della proprio stato di salute: ancora una volta rifiuta l'inequivocabilità e le conseguenze che avrebbe un pronunciamento senza appelli della legge. L'unica legge cui fa affidamento è quella delle proprie fantasie ipocondriache, della personale nominazione immaginaria della malattia. Si estende l’isotopia che associa la morte al colore rosso, che riemerge chiaramente allorché Walter trova un oggetto sul quale investire la propria angoscia, trasformata in paura proprio da questa focalizzazione oggettuale. La paura, del resto, è segnalata stilisticamente dalla frettolosità che genera gli anacoluti:

Strizza, non timore o altro sentimento più nobile, strizza – mi caco sotto. (Abbondantemente, a fiotti, e non è un buon segno.) […] La parola “linfonodi”, pronunciata in cortile da non so chi e immediata la copertina di una rivista su greto dell'Arno, col primo annuncio dell'epidemia, in lettere rosse su uno sfondo di grattacieli: il passato ha le mani lunghe.

Oggi i capelli color carota di un tizio che corteggiavo anni fa, gliene cadono a manciate. […] Per fortuna m'ha sempre detto di no. 97

Ruggero, incontrato nuovamente e per un caso “centripeto”98 all'ospedale dove si era recato per alcune analisi, permette a Walter di ristabilire quella particolare “procura degli affetti” nel segno della quale era nato il rapporto amoroso. L'ipocondria di Walter non ha più ragione di essere, ora che ricomincia la trafila infinita dei sintomi del suo compagno:

Se riconosco il caso quando spalanca la porta per uscire, come non riconoscerlo quando bussa per entrare? Il dolore non delude mai perché pesca da una riserva inesauribile; il fiume riprende a scorrere senza intoppi, riscatta l'aridità del vincere. Adesso che Ruggero è tornato, sono sicuro che le mie analisi del sangue saranno negative: di una soluzione così pacchiana non c'è più bisogno.

A seguito dell'invito di Walter di visitare la comune amica Fausta, ricoverata al reparto infettivi, Ruggero declina per paura di un contagio:

97 Ivi, p. 309

98 Cioè un caso inverosimile, romanzesco, qui rappresentato come un avvenimento che «bussa per

entrare» (Ivi, p. 236), un artefatto che concentra il focus dell'attenzione sul personaggio principale. Cfr. G. Mazzoni, Teoria del romanzo, cit., pp. 263-4

È bastata la parola “infettivi” a fargli cambiare idea: la primitività del suo terrore s'accomoda nella nicchia del vecchio disprezzo e già mi fa sentire