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II. Il tempo inconciliato

2.3 Il tempo dei campioni II

Poco tempo dopo l’abbandono del compagno, Walter si rimette a frequentare direttamente il lato del suo desiderio a lungo rimosso e tuttavia sempre influente sulla realtà, problematizzato e messo in conflitto con le forme durature del desiderio. Il ritorno cui assistiamo, confortato dalla legittimazione sociale e da un entusiasmo quasi giovanile, è scrupolosamente pianificato:

Taricone non era che una staffetta. È partita da giugno l’estate degli escort, o quella che definivo tra me l’“operazione realtà prostituta”. Denaro da parte ne avevo, ne ho: col lavoro di sette anni su Pasolini ho accumulato una

182 Tp, p. 844 183 Ivi, p. 1033 184 Ivi, p. 912

discreta riserva e sputtanarla, nel più etimologico dei sensi, mi pareva (e mi pare) il modo migliore di chiudere quei conti. Non credo si possa capire niente del mondo che ci circonda se non si sperimenta, almeno di sguincio e a fini didattici, la ricchezza. Voglio provare come vive un ricco, per sei mesi da giugno a dicembre, voglio capire cosa si prova a non negarsi nessun desiderio […].185

In ossequio alla logica sineddochica della forma perversa del desiderio e alla potenza immaginifica delle immagini televisive, Taricone non rappresenta che un primo messaggero del mondo metafisico gnostico, attingibile solo attraverso i corpi pneumatici e che sempre più trova nella televisione (nella realtà “televisionabile”) una via di manifestazione. Walter stabilisce un programma semestrale di realizzazione totale del desiderio, che si mescola al progetto epistemologico della conoscenza della realtà attraverso la più occidentale modalità di gestione del desiderio, cioè quella della sua realizzabilità totale:

Più che il paese dei sogni realizzati, gli Usa sono il paese dei desideri

realizzabili: cioè della fine del desiderio. Hanno capito che per estinguerli

basta avvicinare i desideri alla loro soddisfazione – perché tu non abbia tempo di formularli, di nutrirli, di elevarli a ideale.186

Il programma di omologazione al discorso del capitalista rivela un progetto perverso nel senso strutturale del termine: «vivere da ricco» e «non negarsi alcun desiderio» significa mettersi nella posizione di “veridicizzare” sempre il discorso impossibile del consumo, di chiudere il circolo capitalistico confermandone puntualmente l’efficacia. Ma un desiderio sempre soddisfatto non è un desiderio: così l’unica esperienza che avvicina alla realtà occidentale è quella di una distruzione del desiderio, di una sua radicale impossibilità. Intensificato dalla possibilità di comunicazione immediata del Web – uno strumento fondamentale dell’operazione di Walter –, il capitalismo dei consumi produce un godimento simile a quello che Walter prova durante i suoi incontri con l’assoluto: stessa illusione di soddisfacimento totale e strutturalmente frustrata, stessa necessità ideologica della creazione di un “Soggetto

185 Ivi, p. 861 186 Ivi, p. 853

supposto godere”187, stessa percezione del sé come un ingranaggio a-soggettivo atto alla realizzazione impersonale di un ordine della perfezione, stessa impressione di trasgredire mentre non si fa che partecipare al perfezionamento della legge.

L’atteggiamento perverso di Walter è lo stesso dell’antica ricerca di testimonianze di un altra dimensione metafisica, in cui il corpo muscoloso annullava l’idea di tempo. Tuttavia, coerentemente a quanto affermato a proposito di Taricone, la tensione non è più diretta verticalmente, verso il mondo ideale dello gnosticismo, ma orientata verso la ricerca nell’immanenza della realtà. La secolarizzazione di tutte le spinte teologiche costituisce, a detta di Walter, una pietra miliare del progetto occidentale di «costruire una convivenza senza Dio», che spinge a utilizzare il consumo dei beni, trasformati in

gadget, come un surrogato della preghiera: «Per resistere senza la speranza dell’aldilà, e

nel Paradiso, bisogna poter sperare nel paradiso in terra. (Non sto parlando di pochi intellettuali stoico-epicurei, sto parlando della gente comune.) Dare l’illusione del paradiso in terra è l’obbiettivo finale del consumismo.»188 Walter afferma che il suo pagare «equivale a una preghiera» e che

il batticuore c’è sempre, ma invece che essere verticale è orizzontale. […]

Realizzo adesso, a più di sessantatré anni, i miei sogni di ventenne, o sto piuttosto scoprendo che la realtà di ora non ha più consistenza delle immagini di carta di quarant’anni fa?

Forse è questo che sto comprando davvero: non l’intimità dei singoli escort ma l’intimità del sistema in cui viviamo. Del suo essere una prigione in forma di paradiso artificiale.189

Le “immagini di carta” cui si riferisce in queste righe sono evidentemente le illustrazioni pornografiche di cui si serviva il Walter ventenne per dare un corpo immaginario alle sue fantasie erotiche, che la contemporaneità ha reso facilmente accessibili. «Il risultato sarà la solitudine definitiva o la conoscenza»190: nell’operazione di spingere ai limiti la perversione il rischio è certo quello di perdersi nei meandri delle fantasie e delle regole inderogabili della perversione, di rimanere cioè impigliati nella ragnatela del godimento; ma d’altra parte si potrebbe arrivare a importanti risultati

187 Per il concetto cfr. S. Žižek, L’oggetto sublime dell’ideologia, cit., pp. 224-6 188 Tp, p. 798-9

189 Ivi, p. 863-4 190 Ivi, p. 871

epistemologici, a una consapevolezza che solo chi ha aderito pienamente e con scrupolo ai dettami della vita occidentale, alla sua radicale vacuità e all’intrinseca pulsione di morte che la regge, può conoscere.

Nella sua ricerca, Walter passa di escort in escort, compiendo una sorta di catalogazione delle diverse esperienze, ciascuna chiamata con un nome dalle risonanze mitiche che gli permette di cristallizzare gli incontri in un tempo estraneo al divenire storico. Passata la «stagione dei due Luigi»191, il protagonista incontra Marcello, paragonato subito all’eroe mitologico di Ercole. Un incontro che sarà decisivo per la conclusione narrativa della trilogia e per la risoluzione delle oscillazioni del desiderio e del tempo che abbiamo visto fino ad ora. Lo statuto equivoco che contraddistingue il mito di Ercole e che rende incerta la sua definizione, a cavallo tra dio e eroe, fornisce l’idea di che tipo di entità egli rappresenti per Walter. Marcello non è semplicemente un uomo bello, ma incarna l’idea di bellezza che preesiste al mondo fattuale:

fisicamente è (o meglio sarebbe) l’uomo più bello che miei occhi abbiano mai incontrato. Intendo la bellezza tagliata per me, quella che è incisa nel

mio nervo ottico e che non pretendo sia condivisa.192

Ma non si tratta di un generico platonismo, in cui l’idea di bellezza non potrebbe declinarsi in un’immanenza così organicamente legata alla singolarità dell’esistenza: in quel caso essa preesisterebbe alla realtà nella dimensione iperuranica e non incisa nel nervo ottico di Walter. Ciò di cui Walter parla in questo caso, attraverso l’allusione alla tradizione stilnovistica dell’amore dalle cause e dalle conseguenze fisiche193, è della forma della propria perversione, quell’insieme di leggi proporzionali che informano la legge del godimento e che rendono Marcello l’oggetto del desiderio perfetto, un guanto che calza ergonomicamente le fantasie private del protagonista. E in effetti, per catturare questa immagine-paradigma della perversione voyeristica, torna lo strumento tecnologico per eccellenza che aveva accompagnato Walter nelle esperienze “assolute” in Sdn. Ma, come succedeva allora, la cattura dell’istante del godimento non può che fallire nel restituire la perfezione sferica del momento immobile e assoluto («non

191 Ivi, p. 878 192 Ivi, p. 888

riuscireste a capire quant’è bello nemmeno se vi mettessi qui una fotografia, perché la macchina fotografica fa cilecca con lui.»194)

Come si comprende da quest’ultima affermazione, l’allontanamento da Marcello spinge Walter a lamentarsene in una seconda persona plurale che si rivolge ai lettori. Tale forma elegiaca, che simula, attraverso indecisioni sintattiche, anafore e informazioni contingenti, un’impossibile presa diretta della voce del protagonista (e che ricorda petrarchescamente l’allontanamento del poeta dalla perfezione di Laura), si protrae per due pagine, nelle quali emerge più chiaramente l’ambiguità radicale dell’autofiction. Incontreremo questa caratteristica anche ne Ic195: laddove il desiderio batte su una contingenza dolorosa, le strategie autofittive sembrano essere uno strumento di difesa efficace:

È indifeso, sapeste, una creatura lasciata in preda alle pulsioni autodistruttive, e una purezza che… Non c’è speranza: chiunque, pagando centocinquanta euro, anche voi – pagate e vi fa esattamente tutte le cose che per me sono il paradiso. Anche di più. Ecco, vi dò il telefonino: 333- 2363006 – preferisco che siate voi, che almeno state leggendo un libro. Voi non potete immaginare, miei sconosciuti lettori, quanto mi manca […]196

Proprio sull’onda di questa enfasi Walter non perde occasione di ribadire i termini della propria adorazione religiosa:

Lasciatemi piangere ancora un minuto, poi proverò a spiegarvi. L’unica cosa che mi consola è che se la mia religione pazzoide è vera, ED ÈVERA, allora

io da giovedì a domenica sono stato con un angelo. […]

Marcello porta l’angelicità tra gli uomini perché si è intriso in loro, nella loro materia – e dell’umanità non rifiuta i tratti regressivi, le debolezze anche di carattere. Più che a un messo del divino fa pensare a un eroe che la duplicità di natura superiore e inferiore ha dovuto sgrugnarsela giorno per giorno, lottando ed essendo ridotto in servitù – è ad Ercole che penso, all’Ercole nevrotico delle fatiche […].197

Ercole, assorbito nel romanzo198, è l’antonomasia che partecipa alla costruzione del

194 Tp, p. 895. In ogni caso, poi, le foto di Marcello sono presenti in Mm. 195 Cfr. infra, parte terza, cap. I

196 Ivi, p. 895 197 Ivi, p. 895-6

personaggio di Marcello. Lo è anzitutto da un punto di vista della possanza e della perfezione proporzionale corporea: egli è infatti «il galata decadente», che conclude il ciclo dei corpi muscolosi composto da altri due incontri di Walter: Andrea e Zibi, che incarnano rispettivamente «il kouros arcaico» e «l’ercole classico»199. Davanti alle sue forme la mente di Walter corre alle «raffigurazioni romane e rinascimentali, a quei piani scultorei di gesso e al biancore latteo dei suoi muscoli»200 che danno forma statuaria al figlio di Alcmena e Giove. La dimensione scultorea, ancora una volta, riporta in primo piano la qualità temporale che domina l’escort romano: la sua perfezione non può che declinarsi in una fissità impossibile che sintetizza secoli di storia della scultura e della mitologia.

Eppure il riferimento all’eroe greco non esaurisce il proprio senso nella sovrapposizione corporea, per quanto la popolarità e la diffusione delle rappresentazioni erculee siano efficaci per dare fisicità al personaggio. Ciò che Marcello condivide con l’eroe è anzitutto la sua propensione incontenibile verso l’eccesso: è significativo che venga indirettamente citata la tragedia delle Trachinie di Sofocle (Walter afferma infatti: «è ad Ercole che penso, […] a quando vestito da donna serviva la regina Onfale»201), ossia una delle opere in cui emerge più chiaramente il carattere sregolato di un Ercole

furens. Un carattere che non si limita a evidenziare l’aspetto distruttore dell’eroe ma che

evidenzia la correlazione tra questa follia impulsiva e violenta e la docilità assoluta. In Sofocle, infatti, ed è significativo che Walter citi l’androginia dell’eroe, si narra di un Ercole vestito da donna che presta servizio per un anno come schiavo presso l’asiatica Onfale. In tal senso è interessante citare alcuni stralci dell’interpretazione che della tragedia sofoclea dà Giovanni Bottiroli, che mette in luce

l’eterogeneità delle sue avventure, l’oscillazione iperbolica tra forza distruttiva e capacità di sottomissione […]. [Eracle è] il più eccessivo di tutti gli eroi greci […], nel senso di ‘più pulsionale’ – e perciò del tutto estraneo a quell’impulso alla conoscenza che caratterizza il grande trasgressore, Edipo, colui che «aveva un occhio di troppo». Per contro, Eracle appare piuttosto come una figura della cecità: accecato dalla collera e dal desiderio di vendetta, ma anche dalla violenza e dalla volubilità degli impulsi erotici

Nottetempo, Roma 2013, pp. 61-64

199 Tp, p. 890 200 Ivi, p. 896 201 Ibidem

[…], l’Es che si rifiuta di diventare Io.202

Con Ercole Marcello condivide dunque una serie di tratti che lo caratterizzano in quanto figura perversa. E anzi, si potrebbe dire, in quanto summa e apice della serie di perversioni che costellano fittamente la trilogia. Egli, come Ercole, è «l’indomito eroe dell’anarchia pulsionale [e] anche, nello stesso tempo, colui che si piega»; ha in sé «quella forza demoniaca che Freud ha chiamato coazione a ripetere»203; è incapace di tornare a casa, sia letteralmente sia metaforicamente. Abita una casa «non del tutto sua»204, dopo che durante il periodo in galera è stato preso sotto la protezione di Renato, un boss di Tor Bella Monaca che lo ha incaricato di prendersi cura della propria moglie e di abitare con lei. Del resto nella trilogia la frase d’esordio di Marcello si riferisce a una situazione confusionaria legata proprio all’abitazione («me sto a sfinì col trasloco»205). Nonostante alcuni accessi di violenza che talvolta lo colgono (per esempio di fronte alla malattia e alla morte di sua moglie: «un brutto male, me l’hanno squartata e poi invece erano partite altre cose… il medico lo volevo ammazzà, si nun mo’o levavano dalle mani»206) e che sembrano atteggiamenti riconducibili al necessario adattamento alla dura vita di borgata, è un essere estremamente docile, pronto a qualsiasi scelta che gli altri, direttamente o indirettamente, inducono:

non sono scelte, si lascia fare, sempre e comunque (non si capisce se è il suo vuoto che ha permesso a un dio di entrare, o se un dio, entrando, non ha lasciato lo spazio a lui di essere). […] Credo che non abbia mai detto no una volta nella vita.207

Marcello è retto da un impasto di elementi oppositivi che lo rendono un personaggio estremamente conflittuale e perciò “vivo”, sotto l’occhio del lettore. Le fantasie di cui Walter lo investe sono plurivoche, visto che l’adorazione e la contemplazione non escludono (bensì implicano) fantasie di violenza, basate sulla

202 G. Bottiroli, Non diventare io. Ercole nel teatro greco, in (a c. di L. C. Rossi) Le strade di Ercole:

itinerari umanistici e altri percorsi, SISMEL – Ed. del Galluzzo, Tavarnuzza-Impruneta (Fi), 2010,

pp. 151-2 203 Ibidem 204 Tp, p. 920 205 Ivi, p. 887 206 Ivi, p. 904 207 Ivi, p. 905-6

docilità e sulla ricattabilità dovute alla tossicodipendenza:

Marcello tra una decina di industriali e manigoldi:

«Non basta che mi metto in posizione?»

«Ti diamo duemila euro extra se ti fai slogare una spalla»

«Olga nun m’autorizza: nun vòle che vado fuori uso, posso fa tutto ma no intaccà la mia integrità fisica» […]

«Facciamo duemila e cinquecento; e venti grammi di quella buona.» «’O sapete qual è il trapassato remoto de “masticare”?»

«Togliti il perizoma.»

«Masticazzi… che me frega, giochiamo a moscaceca… uno, due, tre…» […] «Indovina di chi è questo cazzo.»

«Cià ‘e vene… boh…»

«E questo che ti infiliamo in bocca?» «…» […]

«Bello il trucchetto, bravi; mo’ me slegate sennò faccio un macello… jo’o stacco a mozzichi… slegame, a ‘nfame fracico… aaaah madonna, aaaah! Me fa male male, aah mammina aiutame te, me fa male! Perdono, perdono… che v’ho fatto io, perdono…»208

Anche se la caratterizzazione di Marcello ne legittimerebbe l’ipotesi di verosimiglianza, la vicenda è in realtà solo un episodio della vita fantasmatica di Walter, non ha consistenza reale. Nondimeno il narratore ne parla come della propria «Verità», ricordando anche, attraverso la scrittura obliqua del corsivo, la verità di cui si parlava in

Udn («il corsivo è obliquo, è l'ombra. Ci ho messo dentro il mio (il nostro?)

negativo»209). E la verità che si coglie è che Marcello occupa le fantasie di Walter come un vero e proprio oggetto, nel quale l’essere diviso tra natura divina e umana, tra sottomissione ed eccesso, è un nodo oggettuale inattingibile, vero e proprio oggetto- causa del desiderio. Una serie di eventi indicano una chiara collusione di Walter rispetto alla pulsione eccessiva e ripetitiva (e insomma alla “pulsione di morte”) di cui Marcello è non solo espressione occasionale ma vittima completa. Tutta la sua vita è dominata da un eccesso (erotico, di droga, di alcol) che il protagonista favorisce o sfrutta per approfittare della ricattabilità ch’esso produce. Alla partenza per un primo viaggio all’estero Marcello si presenta in pessimo stato, tanto che il protagonista arriva quasi a

208 Ivi, p. 915-6

209 Udn, p. 520. “Verità” è anche il nome della parte terza ne Ic, che riporta la scrittura alla modalità

pentirsi («ah, cominciamo bene, che meraviglioso week-end mi si prepara»210). Tuttavia quest’ultimo non esita a regalare all’amato un contenitore per la cocaina, svelando solo attraverso un inciso il proprio atto: «Al suk s’era comprato (cioè gli avevo comprato) uno scrigno da collo, per tenerci la roba […].»211

Marcello è un oggetto inattingibile per Walter. Lo è anzitutto in quanto sua fantasia perversa che ha trovato un’incarnazione nella realtà proprio mentre tutto l’occidente si appresta a compiere un’operazione analoga («che accadrebbe se l’occidente si innamorasse dei propri fantasmi?»212). Tuttavia, la legittimazione sociale non riduce la radicale impossibilità del godimento perverso che, come abbiamo visto, ha la caratteristica di fingere un’autofetazione delle regole all’interno delle quali si produce il godimento, di rifiutare cioè il riconoscimento della legge e proprio per questo di soggiacere ancora più docilmente ad essa. La caratteristica della ripetizione insistente e testarda fino ai limiti dell’ottusità non è che una conferma dell’impossibilità di cogliere il proprio oggetto. La pulsione, spinta psichico-somatica di cui la struttura perversa si serve quale riserva energetica inesauribile, trova sempre il proprio oggetto lo, raggiunge sempre, ma non lo coglie mai, proprio perché «le è assegnato soltanto in forza di rendere possibile il soddisfacimento»213, cioè è solo un pretesto per il soddisfacimento, che tuttavia continua a ripresentarsi ancora ed ancora.

In questo senso va colta la continua nenia di Walter nel lamentare la propria impotenza verso Marcello: la sua incapacità di penetrarlo corrisponde all’impossibilità del perverso di godere, semplicemente perché egli gode solo delle e nelle proprie fantasie, dove può inventare una idio-legge che soddisfa appieno la sua necessità di riconoscersi come soggetto. Tanto che nelle scene in cui l’impotenza emerge, Walter carica di significati di scherno (ovvero interpreta ironicamente, affida un significato opposto) alcuni atteggiamenti di Marcello che indicano invece la sottomissione. Ecco una scena in cui Walter sta penetrando Marcello con un vibratore in plastica:

«Tiralo via, dai, preferisco quello d’uomo.»

210 Tp, p. 896 211 Ivi, p. 898 212 Ivi, p. 907

213 S. Freud, Metapsicologia, in Id., Opere scelte, (a c. di A. A. Semi), Bollati Boringhieri, Torino 1999,

[…] La sua frase è un pugnale incandescente: preferisce quello d’uomo e io non posso darglielo; il mio, il mio d’uomo sta lì a capo chino, assorto in sublimi eccitazioni interiori. «Non ti piazzare come un morto a pancia sotto, per favore», glielo dico come per sollecitare una partecipazione, in realtà odio quella posizione perché la percepisco come un o scherno.214