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La trilogia: formazione e progressione o staticità?

I. Autofiction e romanzo

1.2 La trilogia: formazione e progressione o staticità?

Uno dei leitmotiv della critica letteraria a proposito della trilogia è che si tratti sostanzialmente di un romanzo di formazione. Il percorso di integrazione, già incontrato e corroborato dallo stesso scrittore in varie dichiarazioni, ha portato molti a sottolineare la via progressiva che porta il Walter isolato, rancoroso di Sdn al protagonista comune e mediocre di Tp. In entrambi i casi la propria condizione è rivendicata fieramente, con un tono che mal si concilia con l’idea della disponibilità al cambiamento presupposta da un percorso di formazione.

Così Francesca Giglio afferma che «l’autofinzione della trilogia si struttura [...] come un unico romanzo di formazione, nell’ambito del quale il sosia [dell’autore] impara ad aprirsi al mondo e a conformarsi ad esso per mezzo di una vita normale»46, mettendo l’accento sulla capacità del narratore-protagonista di modificarsi in ragione del mondo. Allo stesso modo, Alberto Casadei mette in evidenza come la trilogia rappresenti una «lunga nascita, la storia di una formazione biografica che sarebbe anche una vera e propria “creazione di sé”»47. Daniela Brogi spinge l’argomentazione più avanti, proponendo una lettura “dantesca” della trilogia, con il riferimento ad un «percorso di discesa/ espiazione/ risalita che da un lato rovescia, parodizzandola, a parabola dantesca; dall’altro invece ne riprende i significati.»48 L’autore stesso, del resto, conferma la correttezza di tale lettura di una progressione spirituale verso «una

46 F Giglio, Un’autobiografia di fatti non accaduti, cit., p. 90

47 A. Casadei, Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino 2007, p. 246 48 D. Brogi, Il libro in questione. Walter Siti, Troppi paradisi, in “Allegoria”, n. 55, gennaio-giugno

specie di paradiso celeste, sia pure dietro le sbarre»49. Nel suo complesso, la trilogia, afferma ancora Brogi50, dà la sensazione di una struttura che descrive un andamento progressivo incentrato sul personaggio di Walter, che si chiude organicamente su se stessa là dove si era aperta. Ecco le parole che concludono Tp:

Ricordo la frase siderale di Beckett, in cui dice che il suo più grande terrore è sempre stato quello di «morire prima di essere nato». Ora sono nato: da circa sette mesi sono nato. Se in più di mille pagine ho prodotto un sosia, era perché io non c'ero, non ci volevo essere: adesso ci sono. Nel bene o nel male, nell'ipocrisia o nella sincerità; nell'assistere o nell'agire, nel cinismo o nella passione, nella banalità o nell'intelligenza. Ora che Dio mi ama, non ho più bisogno di esibirmi. Sto meglio man mano che il mondo peggiora, pazienza. Le mie idiosincrasie si scontreranno con quelle degli altri in campo aperto; se avrò qualcosa da raccontare, non sarà su di me.51

Il dubbio espresso dall'aforisma beckettiano, che compariva in apertura di Sdn52, sembra essersi finalmente risolto, attraverso il percorso ventennale del protagonista: là veniva affermato, qui viene considerato oggetto di un avvenuto superamento.

D’altra parte però, se prestiamo attenzione alle categorie di ciò che Bachtin chiama il “romanzo di educazione”, ci accorgiamo di alcuni dati controversi. Egli afferma che

la caratteristica essenziale del romanzo biografico è la comparsa del tempo biografico. A differenza del tempo d’avventura e fiabesco, il tempo biografico è del tutto reale, tutti i suoi momenti sono riferibili alla totalità del processo vitale e caratterizzano questo processo come limitato, irripetibile e irreversibile. […] Gli istanti, il giorno , la notte, l’immediata contiguità dei brevi attimi perdono quasi del tutto il loro significato nel romanzo biografico, che lavora con lunghi periodi, con le parti organiche della totalità vitale (le età, ecc.)53

Al tempo biografico Bachtin oppone il “tempo storico”, in cui l’eroe è

49 Silvia Costantino (a c. di), "Voglio raschiare sotto”, intervista a Walter Siti,

https://quattrocentoquattro.com/2011/11/28/voglio-raschiare-sotto-intervista-a-walter-siti/

50 D. Brogi, video dell’incontro del ciclo di seminari dell’Osservatorio sul romanzo contemporaneo

presso l'università di Trento, https://www.youtube.com/watch?v=TmYbda0OBBY (22/02/2017)

51 Tp, p. 1039

52 «Non devo parlare di letteratura, devo parlare di me; se fallimento dev'essere, allora che lo sia intero,

anche agli occhi di mia madre lassù. (o laggiù.) Beckett ha confessato una volta che la sua più grande paura era di morire prima d'esser nato», in Sdn, p. 17

53 M. Bachtin, Il romanzo di educazione e il suo significato nella storia del realismo, in Id., L'autore e

embrionalmente inserito, del quale tuttavia il romanzo biografico di educazione non può dare una rappresentazione compiuta54. La trilogia sitiana sembra francamente non ascrivibile a tale tipologia bachtiniana: non solo perché, come è evidente anche ad una prima, superficiale lettura, la scena singola rappresenta la modalità temporale caratteristica della narrazione sitiana, ma anche perché nella conclusione della trilogia troviamo in realtà il trionfo del tempo storico incarnato nel protagonista. Una delle più note e discusse sezioni del romanzo conclusivo, intitolato significativamente Io sono

l’occidente, è un’apologia dell’apertura supina del soggetto a ciò che si potrebbe

chiamare il cronotopo occidentale per eccellenza, cioè la società delle immagini e della spettacolarizzazione della realtà. L’attacco di Tp va inteso proprio in questo modo: «mi chiamo Walter Siti, come tutti» è la frase che suggella la monodimensionalità dell’uomo occidentale e l’inevitabile omologazione che ad essa corrisponde, cioè una totale irrilevanza dell’espressione individuale, del tempo biografico di fronte ad un conformismo inaggirabile.

In effetti la critica, che di primo acchito sembra convergere in maniera pressoché unanime all’interpretazione della trilogia come romanzo di formazione (o comunque da intendersi in una relazione problematica con tale genere), ha in sé anche voci contrarie. Lorenzo Marchese non esita ad affermare esplicitamente che Tp, proprio il volume decisivo per l’interpretazione progressiva della trilogia, quello che segna la possibilità di rintracciare gli avvenuti cambiamenti del protagonista, «non è un romanzo di formazione e presenta una sostanziale involuzione psicologica del suo personaggio rispetto ai primi due episodi.»55 Ancor più perentoria è l’opinione di Grilli allorché afferma che

Il percorso del protagonista di Scuola di nudo svuota di senso l’idea stessa di itinerario “ascensionale”: il percorso è positivo sulla carta – giacché il protagonista conquista appunto l’integrazione sociale per cui tanto si strugge inizialmente, e si può infine permettere addirittura una “storia d’amore” stabile e riconosciuta – ma si traduce di fatto in un’oscena parodia di lieto fine, in una grottesca performance di “normalità”. […] Il Walter del romanzo di Siti comincia invece proprio con la determinazione a scrivere delle proprie verità solipsistiche («non ho alternativa, il mio primo saggio

54 Cfr. Ivi, p. 204

“da vivo” non può essere che sul nudo maschile», p. 6 [p. 18 nell'ed. che stiamo citando]) nell’intento dichiarato di «uscire di minorità» (ibid.), ma la sua conquista non può che realizzarsi col soffocamento delle idiosincrasie nella palude dell’integrazione e della socialità condivisa. La sua Bildung è dunque un requiem per lo statuto eroico cui ci hanno abituato millenni di tradizione letteraria56

La constatazione di tale «parodia del lieto fine» consente di negare l’affiliazione della trilogia non solo al romanzo di formazione ma anche anche al tentativo modernista di invertire i suoi percorsi progressivi mettendo in scena un personaggio che all’integrazione non è interessato affatto o che la vive in modo burocratico57. Così, come nota anche Grilli, la dichiarazione beffarda di Walter in conclusione di Sdn è estendibile a tutta la trilogia e si riferisce alla radicale negazione della possibilità di descrivere l’evoluzione o l’incapacità di vivere di un personaggio:

il rimedio è stato peggiore del male, non si esce da una stanza e la porta è finta, sto qui a guardare la mia torre che si scioglie come se fosse un gelato, questa è la storia di un poveruomo che non è stato capace di vivere, la storia di un uomo vile che non è stato capace di non esser capace di vivere58

Una negazione che l’autore raddoppia: dall’eroe inetto ad un eroe che denega perfino quel tipo di formazione, a proposito della quale lo stesso Grilli commenta:

L’indulgente apologia del fallimento, che radica gli ultimi barbagli di valore nella capacità «di non essere capace di vivere», è la forma di eroismo cui ci ha abituato la letteratura degli ultimi decenni, e che ancora sembra la più credibile e coerente con il nostro asfittico Zeitgeist. È proprio questo eroismo, anche questo eroismo residuale, che il protagonista di Scuola di

nudo sembra aver definitivamente superato.59

Nelle prossime pagine saranno analizzati, secondo quest’ultima linea di lettura, alcuni elementi di sviluppo dell’intreccio, di costruzione dei personaggi, di

56 A. Grilli, Scuola di nudo di Walter Siti: genere e scrittura, cit., pp. 432-3

57 Moretti descrive gli autori di questo tipo di romanzo (Conrad, Mann, Musil, Walser, Joyce, Kafka,

ecc…) come degli epigoni del romanzo di formazione. Cfr. F. Moretti, Il romanzo di formazione, Torino, Einaudi 1999, in particolare il capitolo «un’inutile nostalgia di me stesso» pp. 258-273

58 Sdn, p. 507

caratterizzazione del desiderio del protagonista che riguardano proprio la questione dello sviluppo e del ruolo del tempo nella trilogia. Le categorie e le caratteristiche del romanzo di formazione (o del tentativo di negazione modernista) non sono in grado di descrivere a fondo l’opera di Siti e anzi probabilmente sono fuori luogo. Walter non è un personaggio che ha una vera e propria temporalità progressiva, «lunga»60, e forse si potrebbe ipotizzare un’analogia con Dostoevskij che si spinga più in là della semplice risonanza tematica. Esistono infatti alcuni elementi, messi in luce da Bachtin in

Dostoevskij. Poetica e stilistica, che potrebbero suggerire una lettura polifonica di Siti.

Ovviamente non è in discussione l’orizzonte monologico e chiuso sul personaggio di Walter: tutta l’architettura dei romanzi posa sulle spalle (e sulla psiche) del protagonista. Tuttavia, nonostante i molti elementi accentratori esistono altre caratteristiche che tendono a bilanciare la furia centripeta. Ad esempio, la questione della conclusione della trilogia è un problema vivo e probabilmente non risolvibile, come abbiamo già in parte accennato. E questo perché, come accade nei romanzi dostoevskiani,

la categoria fondamentale […] non è il divenire, ma la coesistenza e l'interazione. Egli [Dostoevskij] pensava e vedeva il suo mondo

essenzialmente nello spazio, e non nel tempo. […] Tendeva a percepire le tappe nella loro contemporaneità, a raffrontarle e contrapporle drammaticamente, non a stenderle in una serie in divenire.61

E dunque, paradossalmente, un dato contrario alla lettura polifonica come la forzatura interpretativa del lettore si rivela essere un fatto che permette di pensare alla polifonia come categoria almeno in parte utilizzabile per l’analisi di Siti: proprio l’urgenza autointerpretativa di cui parlava Grilli, che è chiaramente un tentativo paranoico di saturazione e chiusura dell’orizzonte di senso, produce nel testo una riflessione sull’io di Walter e sulla sua tendenza alla riproduzione infinita di un sistema di spiegazioni. Le contraddizioni che emergono da tale esaustività totale non sono che la licenza della “cattiva infinità”. E in effetti la trilogia, come «quasi tutti i romanzi di Dostoevskij» ha una fine «convenzionale-letteraria, convenzionale-monologica»62.

60 M. Bachtin, Il romanzo di educazione e il suo significato nella storia del realismo, in Id., L’autore e

l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane, cit., p. 204

61 Id., Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino 1968, p. 41 62 Ivi, p. 59

Rileggendo il finale di Tp ci si rende conto che crea un effetto fin troppo risolutivo, che tenta di mettere un punto impossibile rispetto ad un immaginario, un mondo, e parecchi personaggi che torneranno regolarmente ad essere un problema in altri libri.