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FEUERBACH E M ARX 31 l ’indipendente, non è l’essenziale e il vero di quella materia preesi­

stente, la quale è anzi in sé e per sé la realtà, che non si lascia cavar fuori dal concetto » 63. E più avanti: « Che se ora la materia data dell’intuizione e il molteplice della rappresentazione si pigliano come il reale per contrapposto al pensato e al concetto, cotesta è una ma­ niera di vedere che non solo bisogna aver dismessa per poter filoso­ fare, ma il cui abbandono è già presupposto dalla religione. Qual bi­ sogno vi può essere della religione e qual senso può essa avere, finché si tenga ancora come verità la fuggevole e superficiale apparenza del sensibile e del singolo? La filosofia poi fa vedere co n cettu alm en te che cosa sia da pensare della realtà dell’essere sensibile, e premette quei gradi del sentimento e dell’intuizione, della coscienza sensibi­ le ecc. all’intelletto, in quanto che nel divenire di questo essi son bensì le sue condizioni, ma soltanto nel senso che il concetto sorge dalla lo r dia lettica e n u llità come lor ragion d’essere, e non già nel senso che sia condizionato dalla lo r realtà. Il pensare astrattivo non si deve quindi riguardare come un semplice scartare la materia sensibile, la quale non soffrirebbe con ciò alcun pregiudizio nella sua realtà, ma è anzi il togliere e il ridurre quella materia, come semplice fe n o ­ m eno, alV essen ziale, essenziale che si manifesta nel concetto... Un

errore capitale che regna qui è di credere che il principio n aturale sia il c o m in c ia m e n e, da cui si prendon le mosse nello sviluppo naturale o nella storia dell’individuo che si sta formando, sia il v e ro e quello che nel con cetto è il p rim o . L ’intuizione o l ’essere son bensì secondo la natura il primo ovvero la condizione per il concetto, ma non per questo sono l ’in sé e per sé incondizionato; nel concetto si toglie anzi la realtà loro, e con ciò insieme quell’apparenza che avevano come di un reale condizionante. Quando si ha di mira non la v e rità, ma soltanto la sto ria ... ci si può fermare alla narrazione che noi comin­ ciamo con sentimenti e intuizioni e che l ’intelletto dal molteplice di quelli cava una universalità ossia un astratto, ed ha allora naturalmen­ te bisogno a questo scopo di quella base... Ma la filosofia non ha da essere una narrazione di ciò che accade, sibbene una conoscenza di ciò

63. Cfr. G . G . F. Hegel, La scienza della logica, tr. it. di A. Moni, Bari 1925, voi. I l i , p. 23.

che in quello vi ha di v e ro , e in base al v e ro dev’essa poi comprendere ciò che nella narrazione appare come un molteplice accadere » 64.

Riassumendo, ci troviamo di fronte a tre posizioni diverse ri­ guardo al problema dei gradi di conoscenza e quindi degli stessi rap­ porti tra pensiero e materia, tra sintesi ed analisi, tra deduzione ed induzione.

Da un lato, Kant fonda una concezione p o s itiv a del sensibile considerando la materia come per sé stante, indipendente dal pensiero e nello stesso tempo intravvede il problema della complementarietà del pensiero ad essa materia: proprio questo gli consente di elaborare una teoria della formazione del concetto che abbia i caratteri di una metodologia critica, scientifica. Il limite kantiano sta anzi proprio nel- l’aver esasperato la distinzione essere-pensiero fino a tramutarla in un vero e proprio dualismo; ma ciò non è certamente avvenuto — come vorrebbe invece Hegel e tutta la successiva interpretazione idealistica di Kant — perché il residuo materialistico avrebbe provocato la dua­ lità tra la « cosa in sé », che appunto di quel materialismo sarebbe l’espressione, e il fenomeno, genuina espressione invece del soggetti­ vismo idealistico6S. Semmai, al contrario, l’accento posto sull’intel­ letto risulta determinante nella sintesi e fa cadere Kant nel formali­ smo; di qui il succitato dualismo, sicché il fondamentale avvertimen­ to espresso contro Leibniz, che « la sensibilità è qualcosa di m o lto p o s itiv o e u n ’aggiu n ta in d is p e n s a b ile all’intelletto per darci una cono­ scenza » 66, va anch’esso almeno in parte contraddetto.

64. Cfr. op. cit., pp. 24-25. A commento scrive L . Co ll e t t i, op. cit., p. x x x i: « e il vero [in Hegel] è appunto che quella che pare un’ascesa dal sensibile al concetto è in realtà una discesa da questo, che ciò che pare induzione è deduzione, che l’analisi è sintesi ».

65. « Quando ammette che alle nostre rappresentazioni corrisponde qualcosa fuori di noi, una certa cosa in sé, Kant è materialista. Quando dichiara questa cosa in sé inconoscibile, trascendente — nell’al di là — Kant si comporta come idealista ». Cfr. V . I. Len in, Materialismo ed empiriocriticismo, in Opere, voi. 14 , Roma 1963, pp. 194-195. Il passo è citato anche in G . De lla Vo lpe, Logica come scienza positiva, I I ed. Messina-Firenze 1956, p. 24; questa di Della Volpe è un’opera di enorme importanza per le prospettive che ha dischiuso negli studi di tali problemi; si veda per quanto stiamo trattando ora, la valutazione della polemica antileibniziana sostenuta da Kant, il cap. I.

66. C fr. nota al § 7 àe\Y Antropologia prammatica, tr. it. di G . Vidari, Torino 19 2 1, p. 24.

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Hegel, da parte sua, afferma contro il dualismo kantiano, l ’unità di pensiero ed essere: non c’è una separazione tra i due elementi, anzi sono intimamente uniti, relazionati, poiché il pensiero stesso ap­ partiene alla realtà, come la coscienza appartiene al mondo. Ed è proprio qui il positivo di Hegel rispetto a Kant, il suo grande tributo storico, perché questo comporta un’apertura alla storia, la possibilità appunto che la coscienza possa cogliere il mondo in quanto ricade essa stessa all’interno dell’unità coscienza-mondo. Ma troppo grave è il prezzo pagato per questo progresso! Infatti a veder bene, è vero che in Hegel si stabilisce una relazione tra pensiero ed essere, tra co­ scienza e mondo, ma questa relazione, questa unità non è più un’unità di eterogenei, come per Kant (contro Leibniz dice nella C ritica d ella ra g io n pura-. « Anziché cercare nell’intelletto e nella sensibilità d u e fo n t i to ta lm en te d iv e r s e d i ra p p resen taz io n i [corsivo mio, V. D .] — fonti, tuttavia, che soltanto n ella lo ro co n n essio n e possono fornire giudizi oggettivamente validi sulle cose »67): il senso non vale per sé, ma in quanto manifestazione di « altro », dell’intelletto, del pensiero appunto, sicché per l ’unità si perde la molteplicità, la « ratio essen- di » ricade all’interno della « ratio cognoscendi »; il processo a l cono­ scere è assorbito dentro il processo d e l conoscere 68. Perciò, in Hegel,

67. Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. di G . Colli, Torino 1

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68. Si palesa qui anche il debito contratto da Hegel nei confronti della tradizione platonico-cristiana ed ha ragione, da questo punto di vista, Feuerbach nel dire che «H egel non è affatto l’“ Aristotele tedesco o cristiano” , ma è “ il Proclo tedesco” » (cfr. Principi, cit., p. 1 1 4 ; § 29). Del resto, questo debito è visi­ bile anche nella difesa della prova ontologica dell’esistenza di Dio contro l ’argo­ mento kantiano dei cento talleri (per questa difesa, cfr. Enciclopedia § 5 1, tr. it. di B. Croce, Bari 1967, voi. I, pp. 38-59; dove, tra l ’altro, viene definita « “ triviale” l ’osservazione della Critica, che il pensiero e l ’essere sono cose diverse »). Feuerbach, perfettamente in linea con la propria posizione aristotelico-kantiana, così si esprime al riguardo (cfr. Principi, cit., p. 10 6; § 25): « Per quanto disprezzato da Hegel l’esempio dei cento talleri immaginari e dei cento talleri reali, scelto da Kant a proposito della prova ontologica, per dimostrare la distinzione tra il pensiero e l ’essere, è un esempio essenzialmente giustissimo. E invero: i talleri immaginari io li ho soltanto nella testa, quelli reali li ho in mano-, quelli sono soltanto

per me, questi sono anche per gli altri-, e possono essere sentiti e veduti: ora, è un fatto che esiste soltanto ciò che è nello stesso tempo per me e per gli altri, quello su cui io e gli altri possiamo accordarci, quello che non è soltanto mio, ma

d i tutti » (questo § 25 è uno dei punti più felici di Feuerbach per quanto riguarda il problema della mediazione teoretica, vedi dietro, nota 61). Un altro kantiano, il

la stessa esigenza, estremamente positiva di per sé, della mediazione, di trovare cioè una relazione tra l’unità e la molteplicità, è soddisfatta solo ponendo la sostanza anche come soggetto (come egli stesso dice nella F e n o m e n o lo g ia ), assolutizzando il soggetto e ponendo il molte­ plice solo come predicato, manifestazione di esso soggetto; il che vuole dire, in ultima analisi, che d i fa tto quella esigenza non solo non è soddisfatta, ma che anche come esigenza è falsa, essendo già risolta dalPinizio.

Feuerbach, dal canto suo, comprende bene che né la soluzione kantiana, dualistica, né quella hegeliana, fondamentalmente monistica, risolvono il problema del rapporto pensiero-essere. Riesce pure a ve­ dere, contro Hegel, che « il pensiero non procede in lin ea re tta , cioè su lla lin ea d e lla id en tità con sé stesso, m a v ie n e in te rro tto n e l suo cam m in o d a ll’in tu iz io n e sen sib ile. Soltanto il pensiero che si d e te r m i­ na e si rettific a mediante l ’in tu iz io n e s e n s ib ile è pensiero rea le e o g g e ttiv o , è il pensiero della v e rità o g g e ttiv a » 69. Senonché, proprio per avere esasperato la polemica antihegeliana — la polemica contro la falsa (perché formale 70) mediazione hegeliana diventa la polemica contro la mediazione, così come la battaglia contro l’identità, nel pen-

Prantl nella Storia della logica in Occidente, voi. I I , parte prima del 18 6 1 (cfr. tr. it. di L. Limentani, Firenze 19 37, p. 15 3 ) ha ripreso in termini duri la polemica contro Hegel: « Che in generale l ’assunto di voler dimostrare la esistenza obbiettiva di Dio sia una pazzia (perciò anche lo Hegel, proprio solamente nella sua qualità di neoplatonico ha ripreso per suo conto l’argomento ontologico), è cosa ammessa da chiunque non sia filosoficamente già prevenuto... ».

Per il Croce invece (cfr. Logica come scienza del concetto puro, Bari 1967, p. 72): « se il concetto di D io è, D io è. A l concetto, che è il perfettissimo, non può mancare la perfezione dell’esistenza senza che esso manchi a sé medesimo. ... Certamente, la definizione è tautologica; ma di una tautologia sublime... ». A giusta ragione L . Co lletti (cfr. Il materialismo storico e la scienza, in Società,

n. 5, ott. 19 55, p. 808) commenta: « Pare S. Anseimo! ». 69. Cfr. Principi, cit., p. 13 2 ; § 48.

70. È questo un punto di estrema importanza, sul quale bisogna insistere se si vuole comprendere l’effettiva differenza tra la critica ad Hegel di Feuerbach e M arx: Feuerbach si ferma, come ho già avuto occasione di notare più volte, all’aspetto formale dell’astrazione hegeliana, col risultato di illudersi che soltanto rovesciando i termini di quell’astrazione, ma sempre rimanendo sul terreno gnoseo­ logico, « ideologico », si possa ristabilire un rapporto corretto. A M arx, invece, vedremo, la comprensione del « duplice scambio » presente nell’hegelismo, consente ben altra soluzione, che va oltre il piano puramente metodologico ed investe quello storico, sociale, proprio perché gli è possibile di fondare una « logica speci­ fica dell’oggetto specifico », di cogliere appunto il nesso scienza-storia.

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