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LA CONOSCENZA DI SÉ IN AELREDO DI RIEVAULX

Tali ricerche, d’altronde, sono sempre volte in ultima analisi ad aedi­

ficare e quindi sono anch’esse frutto di carità.

Tra queste opere, che rivelano tanti interessi scientifici da farle ritenere a prima vista addirittura estranee a un ambiente monastico, si colloca il trattato di Aelredo, non più originale degli altri, ma molto più vicino degli altri alle posizioni agostiniane e, quindi, qual­ che volta più personale o magari contrastante con le teorie comune­ mente accettate dai suoi confratelli11.

A parte il « De anima », poi, che si inserisce in un filone tutto particolare di ricerca e meriterebbe quindi un intero discorso a parte, anche lo studio delle altre opere aelrediane, quelle più propriamente ascetiche, si rivela utile per chi voglia fare una storia dei diversi modi di intendere la « conoscenza di sé » nel X II secolo. Infatti, ancora una volta, dagli scritti di Aelredo, anche da quelli meno originali, anche da quelli che più rivelano la mancanza di spirito e di capacità filoso­ fiche dell’autore, emerge una personalità singolarissima ed affasci­ nante, che impronta della propria sensibilità e rende del tutto nuovi i più comuni e scontati motivi di meditazione della scuola cistercense.

2. La conoscenza di sé per S. Bernardo. — Prima di esaminare

le opere di Aelredo è opportuno riassumere brevemente le idee che la scuola cistercense, e primo fra tutti S. Bernardo, aveva elaborato sul tema della « conoscenza di sé ».

L ’imperativo delfico era stato oggetto fin dall’antichità classica di meditazioni filosofiche e di valutazioni m orali12. Col cristianesimo il nosce te ipsum si colora poi di sempre nuovi significati. Origene per primo lo applica al commento del Cantico dei Cantici e imposta il

1 1 . N ell’introduzione al D e anim a il Talbot esamina l ’opera a confronto con i testi contemporanei degli altri autori cistercensi e ne rivela a tratti l ’originalità. Ad esempio a p. 34 scrive: « On thè analysis and elaboration of thè terms of this defìnition (è stata precedentemente esaminata la definizione di anim a) it becomes evident that he is working quite independently of his two cistercian contemporaries, William of Saint-Thierry and Alcher of Clairvaux; thè first of whom gives two definitions and thè latter four: but his formula is essentially Augustinian in cha- racter and owes nothing to thè newer currents of thought ».

12 . P. Courcelle, « N osce teipsum » du Bas-em pire au haut M oyen-Age. L ’héritage profane et les développem ents chrétiens, negli A tti della settim ana 6 -12 aprile 1 9 6 1 su II passaggio d all’antichità al M ed io ev o in O ccidente, Spoleto 1962.

problema della « conoscenza di sé » da un punto di vista morale (l’uomo deve riconoscersi immagine di Dio e quindi dotato di intrin­ seca nobiltà) e da un punto di vista scientifico. Stimolato da questo invito all’autoconoscenza, Origene si chiede infatti se l’anima sia o meno una sostanza corporea, se sia creata o increata, se la si può porre in un rapporto di somiglianza con gli angeli e così via 13. Questa tematica è poi ripresa da S. Agostino, il quale non si limita a inda­ gare sull’uomo, sulla sua natura e sui suoi limiti, bensì tende a supe­ rare l ’indagine sull’uomo per attingere quella su Dio 14; e attraverso Boezio il conosci te stesso diventa infine un elemento comune nel pensiero medievale 15.

Origene, Agostino e Boezio: ecco i maestri dei cistercensi e par­ ticolarmente di S. Bernardo e di Guglielmo di S. Thierry. Anche per loro il nosce te ipsum è il momento iniziale della speculazione morale, ascetica e teologica.

Per S. Bernardo l ’uomo che vuole intraprendere il cammino ver­ so Dio deve esercitare prima di tutto la virtù dell’umiltà. E che cosa è l ’umiltà se non la veritiera conoscenza di se stessi e della propria miseria, che distrugge ogni orgoglio e diventa il fondamento di ogni progresso spirituale 16? D ’altra parte, se l’uomo guarda bene se stesso, non può non accorgersi anche della sua incommensurabile nobiltà, che gli deriva dall’essere stato creato ad immagine di Dio: il peccato, benché abbia fatto precipitare la creatura nello stato attuale di mise­ ria, non ne ha distrutto la dignità. Ed è proprio tale scoperta che rende l’uomo impaziente di riconquistare ciò che con la colpa ha perduto e di ritornare così dall’esilio alla vera patria. Questo ricono-

13 . Origene, Homélies sur le Cantique des Cantiques, introduction, traduction et notes de O. Rousseau (Sources chrétiennes, 37), Paris 19 34 ; cfr. In Exod. (Sources chrétiennes, 16), cap. I l i , p. 116 . Cfr. P. T. Deroy, Bernardus en Origenes. Enkele opmerkingen over de invloed van Origenes of Sint Bernardus Sermones super Cantica Canticorum, Haarlem 1963.

14 . G . Verbeke, Connaissance de soi et connaissance de Dieu chez S. An­ gus t in, in Augustiniana, IV , 19 34, pp. 397-516.

15 . A . Viscardi, Boezio e la conoscenza e la trasmissione dell’eredità del pensiero antico, negli Atti della settimana 29 marzo-5 aprile 19 55 su I Goti in Occi­ dente, Spoleto 1956.

16 . De gradibus humilitatis et superbiae, I I I , 1 , 17 . In seguito citeremo que­ st’opera con l’abbreviazione De grad.

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scimento della miseria e della nobiltà intrinseca alla condizione uma­ na, il considerare l ’umanità come peregrinante sulla terra in un esilio al quale solo la morte potrà porre termine, comporta, inoltre, un atteg­ giamento di comprensione e di solidarietà nei confronti degli altri uomini: il singolo uomo va via via purificando il suo egoismo, supe­ rando l’amore di sé nell’amore per gli a ltri17.

Bisogna anche notare che la conoscenza di sé non è utile soltan­ to per conseguire fini ascetici o morali. Essa è, infatti, per S. Bernar­ do, il primo momento della conoscenza di Dio 18 19.

In c o m p re h e n s ib ilis est D eu s 19. Questa frase si ritrova tante vol­ te negli scritti bernardini e — affermando l ’assoluta trascendenza di Dio — limita fortemente le possibilità che ha la creatura di attingere Dio. Così, per l’uomo c’è un solo mezzo per poter avere notizia di Dio, anche senza attendere il dono della rivelazione: il processo ana­ logico. Se Dio ha creato il mondo, è causa del mondo e se l’effetto deve necessariamente essere analogo alla causa, nel mondo si può ri­ trovare Dio 20. Il causare o meglio il creare un effetto significa comu­ nicare qualcosa di sé, che sarà ritrovabile nella cosa creata, pur se con le inevitabili differenze dovute al nuovo modo di essere. Ecco come dalla causalità o dal concetto di creazione si passa a quello di analo­ gia. Tutte le cose sono state create da Dio e quindi tutte riportano a Dio, ma, naturalmente, quanto più una creatura è perfetta e quindi in alto nella scala gerarchica che si viene a stabilire tra gli esseri, tanto più evidente sarà la sua somiglianza con Dio. L ’uomo è così fra le creature della terra la più simile a Dio 21 e perciò, se guarda se stesso, può in un certo qual modo apprendere qualcosa di Dio.

Ecco un esempio. L ’uomo si riconosce composto di anima e di corpo; esiste cioè in lui un’aggregazione di parti, il che lo espone alla morte qualora avvenga una separazione tra di esse. La stessa anima, la quale è immortale in quanto semplice, è continuamente sottoposta a mutamenti, a turbamenti, che la rendono diversa momento per mo-

17. E. Gilson, La théologie mystique de S. Bernard, Paris 1947, pp. 95-102.

18 . De grad. I l i , 1 , 17 .

19 . De consideratione, I I I , 5, 478; C. C. 4, I , 3, 20; 22, I, 1, 1 3 1 . 20. E . Gilson, L ’esprit de la philosophie médiévale, Paris 1943, cap. V. 2 1. C. C. 80, I I , 1, 277.

mento da ciò che era stata fino a un attimo prima. E in un certo senso questi cambiamenti di stato, che comportano la scomparsa di una realtà delPanima, possono definirsi anch’essi delle morti. In que­ sta mancanza di semplicità pertanto è ritrovabile la causa dalla mise­ ria umana. Per necessità logica Dio, l’essere supremo, dovrà allora evidentemente avere come caratteristica la semplicità, dalla quale scaturiscono poi, come suoi attributi, l’immortalità e l’immutabilità 22. Una volta ammessa l’efficacia del metodo analogico, la « cono­ scenza di sé » termina, come ben vede il Burch, nella conoscenza di Dio e questa affonda le sue radici nel nosce te ipsum 23. L ’introspe­ zione, questo semplice precetto ascetico-morale, assume così una im­ portanza determinante nell’ambito della meditazione bernardina24.

3. La conoscenza di sé per Aelredo. — Aelredo ripropone nelle

sue opere questi stessi schemi apportandovi poche varianti. Dallo « Speculum caritatis », la sua prima opera scritta, come si sa, per invi­ to di S. Bernardo, al « De spirituali amicitia », evidentemente com­ posto nella maturità, forse fra l ’aprile del 1 1 6 4 e il gennaio 1 1 6 7 25, anno della sua morte, la tematica di fondo è sempre quella propria­ mente cistercense, di S. Bernardo soprattutto.

Ecco qualche esempio. Nello « Speculum » troviamo tracciata una vera e propria filosofia dell’amore. Per Aelredo è scontata la teoria bernardina dell’anima immagine di Dio, capace di beatitudine,

22. Cons. I l i , 5, 480.

23. G . B. Burch, The Steps of Humility hy Bernard, Abbot of Clairvaux,

traslated with Introduction and Notes, as a Study of bis Epistemology, Indiana

1963, p. 49. A p. 39 l ’autore scrive: « Selfknowledge Comes first in thè rational order of knowledge, ... and it comes first in thè order of utility ».

24. Se attraverso la « conoscenza di sé » l ’uomo può giungere a conoscere Dio, che pure lo trascende, a maggiore ragione, con lo stesso mezzo, può conoscere il mondo che lo circonda ed a cui è superiore. D al « nosce te ipsum » si origina così anche un’indagine ed un interesse scientifico, ben posto in luce da E . Berto la,

Il socratismo cristiano nel X II secolo, in Rivista di filosofia neo-scolastica, L I,

1959, PP- 252-264.

25. « On devine, fut-ce à une lecture superficielle, que le De spirituali Amici­ tia n’est pas l’oeuvre d ’un homme jeune. L a jeunesse est l’àge de l ’amitié; ce n’est que dans la maturité que l ’on commence à disserter sur elle. L ’ouvrage est truffe de souvenirs: autre indice d’un début de sénilité... », così scrive J . Du bo is nella prefazione a L’amitié spirituelle, présentation, traduction et notes par J . Du b o is, Bruges 1948, pp. x cn -x cm .

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bene concesso solo alle creature razionali e quindi segno d’onore che distingue gli uomini dalle bestie 2Ó. Giacché non può esistere la beati­ tudine senza l ’amore26 27 28, sola vera felicità per l’uomo è amare Dio e

Deo adhaerere, sola miseria a Deo recedere 28. Questo perché l’amore

è inscindibile dalla razionalità e perché Dio è amore.

N ell’amore Aelredo, sempre seguendo lo schema bernardino, distingue tre gradi. Il primo è l ’amore per sé, amore naturale, istinti­ vo, che si pone come base e modello e misura degli altri amori. La capacità affettiva umana è troppo grande per accontentarsi di un uni­ co oggetto e non può non espandersi al di fuori del singolo, del se stesso, verso gli altri. Nascono così la carità, la concordia, la pace, ma sempre sulla base dell’amore per sé. Infatti chi non ama se stesso non può amare l’altro 29, non saprebbe come e quanto amarlo. Pro­ prio perciò, secondo Aelredo, Dio avrebbe dato all’uomo il precetto « Ama il prossimo tuo come te stesso », offrendo così un modello e una guida 30. Dall’amore per gli altri si giunge poi, con un successi­ vo superamento, ad amare Dio. Anche questo nuovo amore, in ultima analisi, ha alla base il giusto amore per sé. Solo chi si conosce nel suo valore di creatura amata dal Creatore e colmata di doni, necessa­ riamente e spontaneamente è indotto a ringraziare Dio e ad amarlo 31. L ’uomo che orgogliosamente, invece, preso da se stesso vuole dive­ nire più simile a Dio, si ama male e così, amando male se stesso, per­ de sia se stesso che Dio 32. In questa acuta analisi dell’amore, di cui viene posta in luce l’interna dinamica, nulla c’è di originale, tranne forse una particolare insistenza sul valore del giusto amore di sé che rende possibile ogni altro amore, persino quello per Dio. Per il resto,

26. Speculum caritatis, P . L. 195, 506 B-507 C . D ’ora in poi citeremo tale

opera con l ’abbreviazione Spec.

27. Spec. 508 CD.

28. Ibid.

29. Spec. 570-580; L’amitié, p. 196.

30. Spec. 586 D ; 614-6x5.

3 1 . Spec. 578-9.

32. Spec. 508 C : « Libero ergo male usus arbitrio, amorem suum ab ilio

incommutabili bono deflexit, et ad id quod minus erat, propria cupiditate caecatus

reflexit, sicque a vero bono recedens, et ad id quod ex se bonum non erat deficiens, ubi aucupabatur profectum, invenit defectum; perverseque diligendo seipsum, et se perdidit et Deum ».

le stesse idee si possono ritrovare nelle opere di un qualsiasi autore cistercense.

Sarebbe interessante, piuttosto, notare due elementi che posso­ no suggerire qualche spunto per comprendere più da vicino un auto­ re, il quale così bene cela la sua individualità nell’accettazione per­ fetta e indiscussa delle teorie della sua scuola. Forse l’analisi più attenta di queste idee ormai « scontate » per chiunque abbia una cer­ ta dimestichezza con la spiritualità di questo secolo può servire a rive­ lare, diradando le tenebre addensatesi attraverso i secoli, il volto di un uomo, che vive il dramma sempre attuale deU’essere-nel-mondo.

Anche se talvolta Aelredo accenna all’odio contro se stesso riac­ ceso nell’uomo dal ritorno alla propria interiorità e dalla presa di co­ scienza della propria miseria 33, anche se giunge a parlare di odio per la carne e per le sue debolezze 34, di contemptus s u i35, il contesto generale delle sue opere rivela in lui la capacità di valutare serena­ mente le possibilità umane e persino gli impulsi meramente naturali. Vediamo anzi che questi divengono modello e base per i sentimenti più spirituali.

Nell’analisi aelrediana dell’amore va colto, inoltre, l’anelito di una natura affettuosa, che scorge nella volontà comune, nell'unus spi-

ritus tra Dio e gli uomini la sola, vera felicità. Il Paradiso è la con­

quista della perfetta beatitudine intesa come accordo di volontà nel­ l’unità, accordo reso possibile dall’amore per Dio che conglutinat tutto insieme 36. Tra i vari modi di rappresentarsi, in un’idea più o meno definita, il Paradiso, Aelredo sceglie quindi quello più conge­ niale alla sua personalità e che meglio risponde al suo desiderio di amore. Il concetto filosofico neo-platonico del Dio-unità, che rende partecipi le creature stesse della sua unità e che alla fine riabbraccerà tutti gli esseri che a lui faranno ritorno, si tramuta così in una visione puramente affettiva di un Dio-Amore nel quale tutti gli uomini buoni si ameranno e si amano già ora sulla terra.

33. Spec. 386 B.

34. La vie de recluse - La prèire pastorale, introduction, traduction et notes

par C. Dumont (Sources chrétiennes, 76), Paris 19 6 1, p. 90. D ’ora in poi citeremo tale opera con l’abbreviazione La vie.

35. Spec. 601 B.

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Tale trasformazione del concetto di Dio ci rivela come Aelredo fosse più attento ad una penetrante indagine psicologica, alPesame delle aspirazioni umane ed affettive del singolo, che alla pura speculazione metafisica. Questa è dunque la chiave che permette la comprensione degli scritti di Aelredo e ci dà il senso dell’originalità di questo autore che traduce in termini personalissimi, impregnandoli della sua affettività, i concetti più tradizionali, a cui vuole pur sempre

restare fedele.

Ancora un esempio. Chiaramente è ripreso tutto da S. Bernardo il concetto di un Dio sommo bene 37, omnia in omnibus 38, di un Dio immutabile 39, la cui volontà è insondabile 40 e la cui conoscenza com­ pleta è impossibile per l’uomo. Eppure, l’uomo può accedere alla con­ templazione di Dio. Se si guarda il mondo creato, bisogna ammettere, infatti, la potenza divina senza la quale nessun essere può esistere. Bisogna poi riconoscere la sapienza, perché tutto nel mondo è ordi­ nato e necessario. E ancora non si può disconoscere la bontà di colui che provvede ad ogni cosa, che ha ordinato tutto in un piano di amore. C ’è poi un secondo modo di contemplare Dio in bis quae

secundum carnem gessit. Si può immaginarlo mentre vagisce nella

stalla, mentre succhia il latte materno o è fra le braccia di Simeone, per comprenderne la bontà. L ’immagine del Cristo che cammina sul mare, che resuscita Lazzaro, che atterrisce le turbe scacciando i de­ moni, rivela senza possibilità di dubbio la potenza di Dio così come i discorsi tra Gesù e i Farisei ne svelano la sapienza41.

È chiaro che un tal genere di meditazione è molto più familiare ad Aelredo di quanto non sia la speculazione teologico-filosofica, per lo meno lo entusiasma di più. Ancora una volta alla meditazione più astratta egli ne contrappone e sostituisce una affettiva, basandosi sulla sua diretta esperienza. Anche in S. Bernardo è continuo il richiamo alla personale esperienza che si pone come necessaria base per ogni

37. Spec. 586 D ; 59 1 C ; 604 B ; L’amitié, p. 200.

38. L’amitié, p. 200; Spec. 576 D ; La vie, p. 106.

39. Spec. 506-323; La vie, p. 106; Quand Jésus, p. 7 1.

40. Spec. 566 D.

4 1. Quand Jésus, pp. 106-109 ss- il

comprensione 42 : solo chi ha provato qualcosa può comprenderla, cioè riviverla di nuovo in sé, sollecitato dalle esperienze e dagli stati d’ani­ mo che coglie negli altri. In Bernardo, tuttavia, questa esigenza è solo affermata e a volte serve come mezzo per tralasciare o sorvolare su qualche discorso, ma quasi mai egli vi insiste tanto e con tanta preci­ sione di particolari. L ’esperienza singola diventa subito, cioè, spec­ chio di un’esperienza generale, esemplificazione di un processo co­ mune 43. Per Aelredo, invece, essa è, e resta, il ricordo di una vicenda personale legata a particolari situazioni e valida soltanto per chi l’ha vissuta.

È chiaro allora che in un tale autore la « conoscenza di sé » ac­ quista una nuova dimensione. Se il conoscere se stesso è sempre un riconoscersi come creatura media tra le cose irrazionali e D io 44, come immagine del Creatore, voler orgogliosamente superare il pro­ prio limite per una mancata o errata comprensione della propria di­ gnità genera, come già affermava S. Bernardo, il peccato e il conse-

42. « Un S. Thomas saura, plus tard, dissocier la Science chrétienne de l ’expérience religieuse. Chez S. Bernard, elles sont liées, il ne veut pas les délier: toute sa science n’est que l ’analyse de son expérience. Pour S. Thomas comme pour lui, la théologie est une science du salut: mais pour S. Thomas c’est, pour ainsi dire, la science du salut en géneral; elle fait abstraction du personnel et du concret. Pour Bernard c’est la science du salut tei qu’il se réalise en Bernard et en chacun de nous: Bernard n’atteint l’universel que par la voie du personnel et du concret; l ’histoire sainte qu’il étudie est son histoire à lui ». (J. Leclekcq,

Saint Bernard théologien, in S. Bernardo, Pubblicazione commemorativa neH’V I I I

centenario della sua morte, Milano 1954, pp. 30-41. La citazione è da p. 33).

43. « Saint Bernard ne parie pas souvent d ’une manière directe de lui mème. Le professeur Knowles [D . Know les, Saint Bernard of Clairvaux 1090- 1 1 5 3 , in The

Dublin Review, 19 33 , p. 10 7] dit de lui qu’il est plutót un extraverti. Meme

quand il décrit ses propes expériences c ’est comme s’il parlait d’une tièrce personne » (E. We l l e n s, Saint Bernard mystique et docteur de la mystique, in S. Bernardo, cit., pp. 66-97). La citazione è da p. 72. A p. 83 si trova il seguente passo: « D ’une part l ’expérience de Saint Bernard, comme il a été déjà ait, n’est pas si manifestement individuelle comme la mystique d’aujourd’hui après un siècle d’individualisme. Elle est individuelle dans le sens qu’elle n’est pas mystique de communauté, qu’elle cherche la réalisation d’une union entre une personne ed une autre. E lle est aussi individuelle en ce sens que toute expérience mystique est personelle et non modelée sur les expé­ riences des autres. Mais elle n’est pas individuelle en ce sens que elle ait pour objet des confidences essentiellement particulières d ’àme-à-àme. C ’est la mystique des grands dogmes de l ’amour de Dieu en général, l ’amour éternel se diversifiant à travers toutes manifestations. Ces mystères sont les mèmes pour chacun. C ’est en somme l ’expérience de Dieu et pas l’expérience de soi-mème ».

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guente offuscamento della similitudine divina 45 e, quindi, la dram­ matica esperienza dell’esilio nella regio dissimilitudinis 46. Per Aelre-