• Non ci sono risultati.

FIG 30 Archita Ricci, Ritratto di Hasekura Tsunenaga, ambasciatore del Giappone, 1615.

Olio su tela, cm. 196 x 146, Collezione privata. A destra, particolare del dipinto.

Un altro ritratto di Hasekura è contenuto in un affresco realizzato nello stesso anno da Agostino Tassi nella Sala Regia del Quirinale, dove in primo piano a sinistra è raffigurato Hasekura con indosso lo stesso abito del dipinto di Archita Ricci (sono ben visibili i daini sulla manica destra) e a destra il missionario francescano (FIG. 31) 208

207 Le precedenti sono, come si è visto, le incisioni contenute nelle due brevi pubblicazioni del 1585 relative

all’ambasciata giapponese in visita in Italia nello stesso anno (v. in questo capitolo il paragrafo dedicato all’ambasceria del 1585) e l’incisione raffigurante un “giovane giapponese” nel volume di Cesare Vecellio Habiti antichi del 1598 (v. in questo capitolo il paragrafo dedicato all’opera del Vecellio).

208

L’affresco è stato pubblicato in Di linea e di colore: il Giappone, le sue arti e l'incontro con l'Occidente, 2012, p. 237 e in G. Malena, Le ambascerie giapponesi in Italia (1585, 1615) ed il loro lascito nell’editoria e nelle arti, op. cit., pp. 41-52:49. L’immagine qui riprodotta è reperibile all’indirizzo www.civitavecchia.portmobility.it, ultima consultazione 14 dicembre 2015.

57

FIG. 31. Agostino Tassi, I membri dell’ambasceria giapponese a Roma, 1615. Affresco (part.), Roma, Palazzo del Quirinale, Salone dei Corazzieri, detta anche Sala Regia. In primo piano a sinistra Tsunenaga Hasekura; a destra il francescano Sotelo.

9. LA RELATIONE DEL REGNO DI YEZO DI GEROLAMO DE ANGELIS (1621)

Come accennato alla fine del paragrafo 1.e relativo all’ambasciata giapponese in Italia del 1585, a partire dal 1587 iniziò in Giappone nei confronti dei cristiani un clima di ostilità che si tramutò progressivamente in persecuzione: nel 1597 furono crocifissi ventisei cristiani a Nagasaki209; nel 1613 fu proibita la pratica del cristianesimo210 e nel 1614 venne decretato che tutti i missionari dovessero lasciare il Giappone211. Quest’ultimo provvedimento di fatto annientò il cristianesimo in Giappone212.

209

Cfr. G. Brancaccio, Le ambascerie giapponesi al papato nel secoli XVI e XVII, op. cit., p. 57. Sull’ostilità nei confronti dei cristiani in Giappone nel 1597-98 si veda F. Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo, op. cit., pp. 103-106.

210 G. Brancaccio, Le ambascerie giapponesi al papato nel secoli XVI e XVII, op. cit., p. 59. Cfr. anche F. Maraini, La

scoperta del Giappone in Italia, in Italia-Giappone 450 anni, 2003, I, pp. 3-12: 6.

211 G. Pittau S.I., Il missionariato cattolico e i grandi missionari bresciani in Giappone, op. cit., p. 43. 212

F. Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo, op. cit., p. 94, nota 15: “F. Saverio era giunto in Giappone il 15 agosto 1549; quando ne riparte, due anni dopo, si possono contare già un migliaio di Cristiani che nel 1582, secondo le stime del Valignano, sono circa 150.000. Ma nel 1587 il Cristianesimo viene proibito e, con le persecuzioni del 1597 e del 1612, viene di fatto annientata la comunità cristiana (che all’inizio del sec. XVII contava oltre 300.000 unità)”.

58

Nel 1614, a seguito dell’editto di espulsione dei missionari, dei 144 presenti allora in Giappone213, si fermarono clandestinamente 47 missionari, di cui 19 gesuiti214. Pochissimi altri sacerdoti riuscirono ad entrare di nascosto in Giappone negli anni successivi. Tutti quelli che non furono scoperti e pertanto torturati215 o arsi vivi216, affrontarono una vita di stenti e gravissimi disagi, come scrissero alcuni missionari nel 1622 in una lettera al papa: “persecutionem magnam patimur, sed sustinemus, habentes finissimam spem”217.

In mezzo a tanti travagli, i missionari che in quel periodo stavano in Giappone certo avevano ben altre priorità rispetto a quella di descrivere gli abiti dei giapponesi. Per cui le loro, peraltro rare, relazioni non sono utili ai fini della presente ricerca218.

Fa eccezione La Relatione del Regno di Yezo scritta nel 1621 dal gesuita siciliano Gerolamo de Angelis, giunto in Giappone nel 1602 e martirizzato a Edo (l’attuale Tokyo) nel 1623219. Nella sua attività missionaria si spinse nel Nord del Giappone fino a Yezo (l’attuale Hokkaido), un’isola abitata dagli Ainu e allora “pressoché sconosciuta ai giapponesi stessi”220. A Yezo il de Angelis scrisse una relazione sulla geografia del luogo e sui suoi abitanti221, pubblicata per la prima volta a Roma nel 1624222. Vi descrisse anche gli abiti degli Ainu:

“Gli abiti sia degli uomini che delle donne sono lunghi. La forma di questi vestiti è come quella delle dalmatiche dei diaconi e dei suddiaconi, con molti ricami e decorazioni. E i ricami sono tutti a fanagruz (croce a fiore), alcune grandi altre piccole. Ed è vero che le maniche dei vestiti non sono aperte come la dalmatiche, ma chiuse. E sono chiuse anche lateralmente, e i vestiti non sono così stretti come le dalmatiche ma molto larghi. Il materiale dei vestiti è seta per alcuni, momen (cotone) per gli altri, e

213 Primi contatti tra Italia e Giappone. Arte e testimonianze, op.cit., p. 43.

214 J.F. Schütte, Il primo annuncio della fede cristiana in Giappone., op. cit., p. 337. Negli anni successivi il loro

numero diminuì, fino al 1644, quando non si registrò più alcuna presenza. Cfr. A. Tollini, I missionari italiani in Giappone nei secoli XVI, XVII e XVIII, op.cit., pp. 147-168:162.

215

J.F. Schütte, Il primo annuncio della fede cristiana in Giappone., op. cit., p. 338.

216 Nel 1622, 55 cristiani europei e giapponesi furono martirizzati a Nagasaki. Cfr. Primi contatti tra Italia e Giappone.

Arte e testimonianze, op. cit., pp. 44-45. Nel 1626 nove gesuiti furono arsi vivi a Nagasaki. Cfr. A. Zambarbieri, Al tramonto del secolo cristiano in Giappone: un rapporto del gesuita G.B. Zola, in Europa e America nella storia della civiltà. Studi in onore di Aldo Stella, a cura di P. Pecorari, 2003, pp. 267-298:267.

217 Cit. in A. Zambarbieri, Al tramonto del secolo cristiano in Giappone: un rapporto del gesuita G.B. Zola, op. cit., p.

280 e nota 37 p. 280.

218 La maggior parte di queste relazioni si soffermano infatti sui patimenti fisici e morali sopportati dai missionari in

Giappone. Si consideri ad esempio una relazione scritta nel 1623 dal gesuita bresciano Giovanni Battista Zola (martirizzato a Nagasaki nel 1626) e pubblicata in A. Zambarbieri, Al tramonto del secolo cristiano in Giappone: un rapporto del gesuita G.B. Zola, op. cit., pp. 267-298.

219 Sul De Angelis v. A. Tollini, I missionari italiani in Giappone nei secoli XVI, XVII e XVIII, op. cit., pp. 159-160;

Gerolamo De Angelis disegna Ezo, in A. Boscaro in Ventura e sventura dei gesuiti in Giappone (1549-1639), 2008, doc. n. 11, pp. 141-146.

220 A. Tollini, I missionari italiani in Giappone nei secoli XVI, XVII e XVIII, op. cit., p. 159.

221 Ivi, p. 228: “Parlerò dei nativi della terra di Yezo dei quali dico che sono uomini robusti e di buona statura e di solito

sono più alti di corporatura dei Giapponesi [..]. questi, in genere, sono più bianchi dei Giapponesi, hanno barbe lunghissime che a volte giungono a metà del ventre. Non hanno brutta faccia, e sono ben proporzionati nel corpo e buona apparenza. [..]”.

222

A. Tamburello, La cartografia italiana e l’insularità dell’Hokkaido. Le prime conoscenze europee degli Ainu attraverso l’opera di Girolamo De Angelis, in Italia-Giappone 450 anni, a cura di A. Tamburello, 2003, I, pp. 33-34:33. La sua relazione è stata recentemente ripubblicata (tradotta in italiano dal portoghese) in A. Boscaro in Ventura e sventura dei gesuiti in Giappone (1549-1639), 2008, doc. n. 11, pp. 222-234.

59

anche se sono di momen hanno i loro ricami. Chiesi la ragione per cui c’erano tante croci sui vestiti. Dissero che era segno che tutti loro erano gente ririxis (maestosa) e avendo poi chiesto perché avevano preso la croce come segno di essere ririxis e non un altro segno, dissero di non sapere la causa di ciò. Sia gli uomini che le donne sotto le vesti portano dei calzoni. E a volte, quando è caldo e vengono a Munçumay, non usano calzoni. Le donne appendono al collo al posto di catene d’oro delle perle di vetro di vari colori, e come fibbia un pezzo d’argento con forimono [horimono, intagli] grande come uno specchio del Giappone. I capelli delle donne non sono lunghi come quelli delle donne di altri regni, ma proprio come caburos [kaburō, capelli tagliati e tenuti sciolti] del Giappone. Le donne si tingono le labbra di colore azzurro, e sui polsi si dipingono anche cinque o sei cerchi dello stesso colore” .

Come si deduce dalla descrizione del de Angelis, la peculiarità etnografica degli Ainu si rispecchiava anche nel loro abbigliamento. Infatti uomini e donne indossavano lunghe e ampie vesti aperte sul davanti come il kosode, ma decorate con singolari motivi a croce. Tali caratteristiche si sono mantenute nel corso dei secoli, come possiamo vedere in due esemplari di vesti degli Ainu del XIX e dell’inizio del XX secolo conservate presso il The Japan Folk Crafts Museum di Tokyo (FIG. 32)223 .

FIG. 32 A sinistra, veste Ainu con ricami, XIX secolo. A destra, veste Ainu con ricami, XIX- XX secolo. Entrambe sono conservate presso il The Japan Folk Crafts Museum di Tokyo.

223 Le due fotografie sono reperibili all’indirizzo http://www.mingeikan.or.jp/english/exhibition/special/201304.html,

61

CAPITOLO II

LA CHIUSURA DEL GIAPPONE AI PAESI STRANIERI (1639-