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IL GIAPPONISMO NELLA MODA ITALIANA

IL GIAPPONISMO NELLA MODA ITALIANA (1859-1926)

3. IL GIAPPONISMO NELLA MODA ITALIANA

Come è stato anticipato nell’introduzione di questa tesi, il giapponismo nella moda italiana non è stato finora studiato in modo approfondito92.

Il giapponismo nella moda francese, invece, è stato oggetto di due mostre che si sono svolte a Parigi e a Tokyo nel 199693. In un fondamentale saggio contenuto nel catalogo francese, Akiko Fukai - che è la direttrice del Kyoto Costume Institute e la massima esperta del giapponismo nella moda a livello mondiale - ha sostenuto che “le japonisme a été l’un des facteurs les plus puissants de l’évolution de la mode”94. Ne ha poi delineato lo sviluppo in quattro tappe: dapprima il kimono è stato introdotto nella moda occidentale come elemento esotico; poi sono stati imitati i motivi giapponesi e i loro metodi di stampa; in seguito si è verificata una “presa di coscienza della plastica del kimono” e infine la moda ha tratto una libera interpretazione dell’estetica giapponese95.

Le fasi di tale processo sono riscontrabili anche nella moda italiana. Tuttavia, dal momento che la quarta tappa si è manifestata in Italia a partire dagli anni settanta del Novecento, sarà trattata nel capitolo 6. In questo capitolo pertanto saranno prese in considerazione le prime tre fasi, senza che tuttavia vi sia una rigida separazione cronologica tra una e l’altra. In linea di massima, possiamo comunque affermare che l’influenza del Giappone nella moda italiana comparve alla fine degli anni ottanta dell’Ottocento, raggiunse il clou nel primo decennio del XIX secolo e scemò progressivamente fino a scomparire alla fine degli anni Venti.

Prima fase del giapponismo nella moda italiana: l’introduzione del kimono come elemento esotico

Come abbiamo visto nel capitolo II, tra la fine del XVII secolo e il XVIII secolo il kimono venne usato in Europa e in Italia come veste da camera maschile. Alla fine dell’Ottocento, in concomitanza con la rinnovata passione per il Giappone, si riaffermò la moda dei kimono come veste da camera, destinati però questa volta soltanto dalle donne.

A Parigi kimono autentici potevano essere acquistati sia nel negozio “Babani”, che importava i più svariati prodotti esotici anche dall’India, dalla Cina e dalla Turchia, sia nel negozio “Au Mikado”96. Qui le signore dell’aristocrazia parigina trovavano in esclusiva i kimono “Sada Yacco”, che l’omonima attrice e ballerina giapponese aveva cominciato a far produrre in Giappone all’inizio del XIX secolo appositamente per il mercato parigino, approfittando del successo che i suoi spettacoli avevano riscosso durante alcune tournée in Europa tra il 1899 e il 1902.

Anche l’Italia fu contagiata dalla ‘kimonomania’ francese. È molto probabile si potessero trovare kimono autentici negli empori aperti dai semai nel Nord Italia97, oppure in altri negozi specializzati nell’importazione di oggetti esotici, come quello delle sorelle Beretta a Roma, descritto da Gabriele

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Si segnalano le uniche due brevi ricognizioni sul fenomeno finora pubblicate: S. Gnoli, Moda tra Oriente e Occidente: Giappone, Europa, Italia, op. cit., pp. 299-303 e L. Dimitrio, Postille sulla nascita del giapponismo in Italia (II), op. cit., pp. 9-25.

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Il catalogo della mostra di Parigi era intitolato Japonisme & mode, op. cit., mentre quello della mostra di Tokyo Japonisme in Fashion, op. cit..

94 A. Fukai, Le japonisme dans la mode, op. cit., pp. 29-55: 29. 95 Ivi, pp. 29-55.

96 F. Falluel, Kimonomania, Belle Époque, in Japonisme & mode, op. cit., pp. 137-143 : 139-142.

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D’Annunzio in alcuni suoi articoli giovanili degli anni Ottanta98. Ma al momento non si hanno notizie sicure di un negozio in Italia che vendesse kimono autentici.

Quel che è certo è che le donne italiane avevano comunque la possibilità di procurarseli, facendoseli spedire da Parigi99. Infatti su “La scena illustrata”, “rivista quindicinale di Arte e Letteratura”, comparvero tra il 1908 e il gennaio 1912, quasi su ogni numero, le pubblicità del kimono “Sada Yacco”, dove si deduce che queste “eleganti vesti da camera” potevano essere acquistate per posta al negozio “Mikado” di Parigi. Addirittura, nella prima réclame – pubblicata sul numero del 15 gennaio 1908 - si avvertivano le clienti della possibilità di ammirare i modelli dal vero, in quanto esposti nella sezione francese dell’Esposizione di Milano (FIG. 9)100.

FIG. 9. Pubblicità del Kimono Sada Yacco, “La scena illustrata”, XLIV, n. 2, 15 gennaio 1908.

Come possiamo vedere nella pubblicità qui sopra riprodotta, esistevano diversi modelli. I più preziosi, che costavano 65 lire (equivalenti grossomodo a 200 Euro nel 2016)101, erano “in bellissima seta di Nagasaki, a fondi diversi colori e fiorami multicolori [..]”. I più economici, che costavano 12 lire (equivalenti in linea di massima a 36 Euro nel 2016)102, erano in “stoffa autentica del Giappone, […] in crépon a fiorami multicolori e con oro”. I motivi decorativi comprendevano i “fiorami multicolori”, il “disegno cicogne”, oppure anche – come si trova in altre pubblicità - il “disegno draghi” e quello “pesci”103.

98 Cfr. ad esempio G. D’Annunzio, Toung-Hoa-Lou ossia cronica del Fiore dell’Oriente, in “La Tribuna”, 1° dicembre

1884. L’articolo, già pubblicato in G. D’Annunzio, Pagine disperse. Cronache mondane, letteratura arte di Gabriele D’Annunzio, 1913, pp. 44-48, è stato ampiamente citato e commentato in P. P. Trompeo, Le vetrine giapponesi, in Carducci e D’Annunzio, 1943, pp. 175-177. Sul ruolo di D’Annunzio come cronista del giapponismo romano cfr. M. M. Lamberti, Giapponeserie dannunziane, op. cit., pp. 295-319 e M. Muramatsu, Il buon suddito del Mikado. D'Annunzio japonisant, 1996.

99 L. Dimitrio, Postille sulla nascita del giapponismo in Italia (II), op. cit., p. 11. 100

“La scena illustrata”, XLIV, n. 2, 15 gennaio 1908, terzultima pagina.

101 Cfr. Istat, Il valore della moneta in Italia dal 1861 al 2008, n. 9, 2009. Il testo è consultabile all’indirizzo http://www3.istat.it/dati/catalogo/20100728_00/valore_moneta_1861_2008.pdf, ultima consultazione 10 gennaio 2016.

102 Idem.

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Talvolta, insieme al kimono, era reclamizzato anche il “sapone Sada Yacco”, “delizioso prodotto del Giappone usato dalla celebre attrice tragica giapponese”, che prometteva di rendere “bianca e morbida la pelle, lasciando un profumo finissimo di loto o di rosa”. In tale versione pubblicitaria vi era anche una fotografia di Sada Yacco con indosso, ovviamente, il costume tradizionale del suo Paese (FIG. 10)104.

FIG. 10. Pubblicità del sapone e del kimono Sada Yacco, in “La scena illustrata”, XLVII, n. 9, 1 maggio 1911

Non erano previsti kimono maschili, ma si potevano ordinare kimono per bambini – di cui non vi è però alcuna descrizione – al prezzo di 12 lire105, proprio come sulla rivista francese “Fémina” venivano proposti kimono per bambini a 12 franchi106.

La scelta di pubblicizzare dei kimono su una rivista come “La scena illustrata” destinata a lettrici di estrazione socio-culturale medio-alta può essere considerata una spia del fatto che tali prodotti fossero apprezzati soprattutto tra le classi sociali più elevate.

104 “La scena illustrata”, XLVII, n. 9, 1 maggio 1911, p. 2. 105 Si veda “La scena illustrata”, XLIV, n. 9, 1 maggio 1908, p. 2.

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Il motivo del successo del kimono in Francia e in Italia come veste da camera dipende dal fatto che esso, poiché veniva indossato senza corsetto ed aveva una linea dritta, era considerato un indumento comodo e rispettoso delle forme del corpo femminile107.

In realtà, come ha evidenziato lo storico Bernard Rudofsky nel suo volume The Kimono Mind del 1965, da quando nel periodo Edo (1615-1868) l’obi divenne sempre più rigida e alta, il kimono si è trasformato in uno degli indumenti femminili meno comodi, tanto che nel 1887 l’imperatrice del Giappone condannò l’ampia obi come “inadatta al corpo umano”108. Inoltre i kimono stretti intorno al corpo costringevano le giapponesi ad un lento incedere, a piccoli passi.

Tuttavia in Francia e in Italia il kimono veniva indossato perlopiù ‘all’europea’, cioè con una sovrapposizione minima dei lembi anteriori e con cinture non troppo alte, il che rendeva quest’indumento molto pratico109. L’usanza è testimoniata in Francia nel Ritratto di Madame Hériot che il celebre pittore francese Renoir eseguì nel 1882 (FIG. 11), dove il kimono di Madame Hériot ha i lembi appena sovrapposti ed è fermato in vita da una cintura con un fermaglio occidentale. Per quanto riguarda l’Italia, utile è a tal proposito una fotografia scattata nel 1903 a Palermo. Tale fotografia è stata trovata in un diario, corredato da fotografie, che venne redatto all’inizio del Novecento da Alice Maude Gardner, una signora appartenente ad una famiglia alto-borghese di origine inglese, trasferitasi in Sicilia per curare i propri interessi economici nell’isola (FIG. 12)110. Nella fotografia, intitolata nel diario The geishas, compare in primo piano a sinistra Alice Maude Gardner, insieme a due ragazze e un bambino. Le tre donne indossano il kimono in un’ambientazione insistentemente giapponese (si notino il paravento, i ventagli aperti e la bambola giapponese retta dalla ragazza in piedi a sinistra), forse durante una “cerimonia del tè”. Anche il kimono della Gardner, come quello di Madame Hériot, presenta i lembi appena sovrapposti ed è dotato di una bassa obi, così come sottile è l’obi della ragazza in piedi a sinistra, il cui kimono cade largo senza stringerle i fianchi.

107 “Il kimono dai colori armonizzanti e sfumati, dalla breve scollatura a punta, dalle ampie maniche che giungono poco

più in giù del gomito, reso più elegante da un’alta o ampia sciarpa di seta per cintura, è la foggia preferita per la vestaglia d’uso, che è tanto piacevole indossare, tornando dalle vie soffocate e polverose della città [..]. Davvero per questi abiti da casa, vi sono ora delle fogge così eleganti e preziose, che la comodità e la fresca impressione di riposo per chi li porta, s’unisce all’effetto piacevole e artistico di chi li vede portare”. Il passo è tratto da un articolo contenuto nella rivista femminile “La Moda Universale Butterick”, n. 6, giugno 1907, p. 4, cit. in M.L. Natolo, Le influenze giapponesi nella moda italiana tra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX, tesi di laurea, IULM, 2003-2004, p. 77.

108

B. Rudofsky, The Kimono Mind, 1986 [1 a ed. 1965], p. 44.

109 Cfr. A. Fukai, Le japonisme dans la mode, op. cit., pp. 29-55: 37.

110 La fotografia è stata pubblicata in G. Bonini e E. Mucci, a cura di, Mon Rêve. Fondo foto/grafico di Alice Maude

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FIG. 11. Auguste Renoir, Ritratto di Madame Hériot con indosso un kimono allacciato all’europea. Olio su tela, 1882. Amburgo, Hamburger Kunsthalle111.

FIG. 12. The geishas (1903). La fotografia ritrae Alice Maude Gardner a Palermo con alcune amiche. Le tre donne indossano il kimono.

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Nel frattempo si erano cominciate a produrre anche in Italia vesti da camera che imitavano gli originali giapponesi. Molte di queste vesti da camera furono pubblicate nelle riviste femminili dell’epoca. L’imitazione però non era pedissequa: le vesti di fattura italiana presentavano infatti dei dettagli che le differenziavano rispetto ai modelli nipponici e le rendevano particolarmente comode. Ad esempio nel “Corriere delle signore”, nel 1903, venne pubblicata, accanto ad una vestaglia dal taglio occidentale, una “vestaglia di forma giapponese”, che in realtà di giapponese aveva ben poco. Imitava infatti il kimono solo per l’apertura anteriore, lo scollo incrociato a scialle e le maniche ampie e lunghe (FIG. 13)112. Ma i lembi erano poco sovrapposti e, soprattutto, era completamente assente la cintura-obi - accessorio invece fondamentale nel kimono giapponese -, il che aumentava di molto la linea fluida della veste. Si noti, per inciso, che l’assenza dell’obi è ricorrente nelle vestaglie “giapponesi” dell’epoca, a conferma della libertà con cui il modello nipponico veniva reinterpretato.

FIG. 13. A destra, “vestaglia di forma giapponese”. “Corriere delle signore” 1903.

112 “Corriere delle signore”, n. 11, 14 marzo 1903, p. 87, cit. in M.L. Natolo, Le influenze giapponesi nella moda

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Negli anni successivi, se da un lato si accentuarono alcuni riferimenti al kimono, sia per l’allungamento delle maniche - che imitavano quelle pendenti dei furisode113 -, sia per l’inserimento di motivi decorativi giapponesi nelle stoffe, dall’altro lato la comodità delle vestaglie continuò ad essere garantita dal fatto che esse erano fermate in vita da cinture meno ingombranti rispetto alle

obi, che in Giappone potevano raggiungere la considerevole lunghezza di 3 metri.

È il caso dell’“abito da mattina per signore” dalle lunghe maniche pendenti, pubblicato nel 1906 nel “Corriere delle Signore” (FIG. 14.a )114, chiuso da una sottile cintura, e della “vestaglia di broccato per signore e signorine” (FIG. 14.b)115, pubblicata nella stessa rivista nel 1913. Questa vestaglia, oltre ad avere le maniche pendule, era decorata con disegni di rondini, che erano un soggetto ricorrente nell’arte e nelle stoffe giapponesi. Presentava un’obi eccezionalmente alta, che tuttavia era morbidamente avvolta attorno al corpo.

FIG. 14. A sinistra, 14.a, “abito da mattina per signore” con maniche lunghe e pendenti che imitano quelle dei furisode. “Corriere delle Signore”, 1906. A destra, 14.b, “Vestaglia di broccato per signore e signorine” decorata con motivi di rondini. “Corriere delle Signore”, 1913.

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I furisode erano i kimono con le maniche lunghe e pendenti, indossati in Giappone dalle nubili.

114

“Corriere delle signore”, n. 14, 7 aprile 1906, p. 110, cit. in M.L. Natolo, Le influenze giapponesi nella moda italiana, op. cit., p. 99.

115 “Corriere delle signore”, n. 8, 22 febbraio1913, p. 5, cit. in M.L. Natolo, Le influenze giapponesi nella moda

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A riprova della persistenza, in Italia, della moda del kimono come veste da camera si segnala che nel 1926 comparve su diversi numeri del mensile femminile “Fantasie d’Italia” la pubblicità del Kimono “Piatti”, probabilmente prodotto dall’omonima ditta, di cui però non sono state trovate al momento notizie (FIG. 15).

FIG. 15. Due pubblicità dei kimono “Piatti” comparse sulla rivista “Fantasie d’Italia” nel 1926116.

Seconda fase del giapponismo nella moda italiana: l’imitazione nei tessuti dei motivi decorativi giapponesi

Un’altra modalità con cui si affermò il giapponismo nella moda italiana consistette nell’imitazione dei motivi giapponesi nelle stoffe, senza che venisse necessariamente apportata alcuna modifica alla foggia occidentale degli abiti.

I motivi decorativi nipponici che più spesso compaiono nei tessuti italiani dell’epoca sono i crisantemi e i ventagli. Un crisantemo (kiku) stilizzato è il simbolo della casa imperiale giapponese. L’importanza di questo fiore in Giappone è tale che ancora oggi ogni anno il 9 settembre ricorre la festa dei crisantemi. Il crisantemo, che nella cultura estremo-orientale era ritenuto simbolo di

116 La pubblicità a sinistra è stata pubblicata in “Fantasie d’Italia”, anno II, n. 3, marzo 1926, p. 40, mentre quella a

destra, pubblicata nel numero di Agosto del 1926, è stata citata in D. Cimorelli, A. Villari, Manifesti. Pubblicità e moda italiana 1890-1950, 2012, p. 44.

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fertilità e longevità117, è stato un soggetto ricorrente sia nell’arte che nei tessuti giapponesi118. Addirittura, intorno al 1869, la moda giapponese prescriveva che le obi più eleganti fossero adorne di un disegno di crisantemi simili a quelli delle insegne del Mikado119.

In concomitanza con la passione per il Giappone, anche in Europa e in Italia questo fiore, fino ad allora raramente raffigurato in quanto considerato il “fiore dei morti”, cominciò ad essere usato per decorare tessuti e abiti. Per esempio sul quindicinale femminile “Margherita” del 15 giugno 1900 venne presentato un “cuscino di raso ricamato a crisantemi”120, mentre il “Corriere delle Signore” pubblicò nel 1902 un “abbigliamento di seta rosa [..] ornato di crisantemi ricamati” (FIG. 16) 121. Anche i ventagli, che erano motivi decorativi ricorrenti nelle stoffe giapponesi122 , comparvero nei tessuti italiani con la nascita del giapponismo. Si consideri a tal proposito un abito decorato con piccoli disegni di ventagli sulla gonna e sul corpetto, pubblicato sulla rivista “Margherita” nel 1885 (FIG. 17)123.

La presenza di motivi di derivazione giapponese sui tessuti italiani si protrasse fino agli anni Venti, quando il comasco Guido Ravasi, produttore di sete e collezionista di stoffe giapponesi, realizzò dei tessuti con disegni desunti dalla tradizione iconografica nipponica124. Ad esempio nel 1923 realizzò un tessuto operato, decorato con alberi (probabilmente salici piangenti) dal tronco arcuato, iterati a comporre strisce orizzontali (FIG. 18.a)125. Il tronco ricurvo dei salici può apparire a prima vista come un’onda spumeggiante e sembra riecheggiare la forma de La grande onda presso la costa di

Kanagawa (FIG. 18.b) raffigurata nel 1830-32 dal celebre pittore giapponese Hokusai in una

xilografia che tanto successo aveva riscosso in Europa alla fine dell’Ottocento. Un altro tessuto da lui realizzato nel 1929 con un fondale marino riprende alcuni dettagli di una xilografia dell’artista giapponese Utagawa Kuniyoshi (1798-1861), le cui opere vennero spesso riprodotte nelle riviste d’arte dell’epoca (FIG. 19)126.

117

Sul significato simbolico del crisantemo in Oriente e in Giappone cfr. J. Goody, La cultura dei fiori. La tradizioni, i linguaggi, i significati dall’Estremo Oriente al mondo occidentale, 1993, pp. 377 e segg

118 Si consideri per esempio un abito a maniche lunghe (furisode) della fine del periodo Edo, conservato al Museo

d’Arte Orientale di Venezia, decorato con un ricco repertorio vegetale che comprende fiori di crisantemo; un soprabito da cerimonia a maniche piccole (kosode-uchikake) del sec. XIX, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, in cui gruppi di crisantemi si alternano a giunchi e imbarcazioni sulle sponde di un corso d’acqua e infine un furisode del sec. XIX, conservato al Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma, decorato con rami di pino, bambù, fiori di pesco e crisantemi. I tre indumenti sono stati pubblicati in La seta e la sua via, op. cit., 1994, pp. 284-285, nn. 191-193.

119 Cfr. Felice Beato. Viaggio in Giappone 1863-1877, a cura di C. G. Philipp, D. Siegert, R. Wick, 1991, pp. 205-206. 120 “Margherita”, XXII, n. 12, 15 giugno 1900, p. 184. La descrizione del cuscino e un particolare del ricamo si trovano

a p. 179, n. 6: “Cuscino di raso ricamato a crisantemi. Ogni fiore, di una tinta diversa, passa dal malva chiaro al viola scuro, dal rosa granato al bianco roseo, e dall’oro cupo all’oro più brillante e chiaro [..]. Il ricamo dei fiori e delle foglie è fatto pure a punto stelo. I boccioli dei fiori sono oro. [..]”.

121 “Corriere delle Signore”, V, n. 7, 15 febbraio 1902, p. 51.

122 Cfr. ad esempio un tessuto giapponese con ventagli della fine del sec. XIX, pubblicato in A. Jackson, Japanese

Textiles in the Victoria and Albert Museum, 2000, n. 144, fig. p. 137.

123

“Margherita”, VIII, n. 37, 16 agosto 1885, p. 293.

124

Cfr. Guido Ravasi. Il signore della seta, catalogo della mostra a cura di M. Rosina e F. Chiara (Como, Fondazione Ratti, 2008), 2008.

125 Il tessuto è stato pubblicato ivi, p. 99.

101

FIG. 16. A destra, “abbigliamento di seta rosa [..] ornato di crisantemi ricamati”. “Corriere delle Signore”, 1902.

FIG. 17. “Costume di faglia francese per signora sparso di piccoli ventagli”. “Margherita”, 1885.

102

FIG. 18. A sinistra, 18.a, Guido Ravasi, tessuto operato con salici piangenti, 1923. Il tessuto è probabilmente ispirato a La grande onda presso la costa di Kanagawa (1830-32) di Hokusai ( a destra, 18.b).

FIG. 19. A sinistra, 19.a, Guido Ravasi, tessuto operato con cavallucci di mare e calamari, 1929. La raffigurazione del calamaro è molto simile a quella presente nella xilografia La

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Terza fase del giapponismo nella moda italiana: la “presa di coscienza della plastica del kimono”

Progressivamente si affermò in Francia e in Italia quella che Akiko Fukai ha definito la “presa di coscienza della plastica del kimono”. Con quest’espressione la studiosa giapponese intendeva una comprensione progressivamente sempre più profonda della struttura del kimono (FIG. 20), che comportò un cambiamento nella foggia degli abiti occidentali.

FIG. 20. Struttura del kimono 127

Va precisato comunque che non tutte le novità presentate all’epoca come desunte dal kimono riflettevano l’autentica struttura dell’abito giapponese. Ad esempio, si affermarono tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento in Francia e in Italia abiti e bluse con le cosiddette “manches japonaises”128 o “maniche alla giapponese”, dette anche “maniche kimono”. Tali maniche, che erano ricavate dall’estensione del taglio del busto, comportavano l’abolizione del giromanica e una conseguente maggior libertà di movimento delle braccia. Si ritrovano per esempio in un abito da sera confezionato da una sartoria torinese tra il 1917 e il 1918, che è evidentemente ispirato al kimono anche per il taglio dritto e l’apertura incrociata sul davanti (FIG. 21).

Ma curiosamente, nonostante la loro denominazione, le “maniche alla giapponese” non rispecchiavano la forma delle maniche del kimono, che sono invece rettangolari e tagliate a parte rispetto al busto (FIG. 22).

127 L’immagine è stata pubblicata in Kimonos art déco. Tradition et modernité dans le Japon de la première moitié du

XXe siècle, op. cit., p. 8.

128 Cfr. V. Guillaume, Remarques sur la manche japonaise ou l’emmanchure kimono, in Japonisme & Mode, op. cit.,

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FIG. 21. Abito da sera con maniche alla giapponese, 1917-1918. Sartoria “Sacerdote”, Torino129.

FIG. 22. La differenza tra la cosiddetta ‘manica kimono’ e la manica del kimono. Nella figura a sinistra, disegno della ‘manica kimono’, chiamata oggi anche ‘manica a pipistrello’, che è ricavata dall’estensione del taglio del busto130. A destra, schema riassuntivo delle possibili