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Vecellio, Habiti antichi, et moderni di tutto

il mondo, 1598

“In questi paesi portano un busto, e braghesse longhe, e larghe fatte di una tela di seta, così bella, e bianca, che somiglia la carta. Queste sono miniate di diversi colori con fogliami, et uccelli molto vagamente [..]”

In ogni caso, al di là di quali fonti il Vecellio si sia servito per rappresentare il giovane giapponese, quel che conta è che il risultato non fu particolarmente veritiero.

Vecellio non riuscì ad andare molto oltre l’immagine stereotipata delle vesti esotiche lunghe e larghe, realizzate con tessuti riccamente decorati. Infatti scarsa è la caratterizzazione dell’abito giapponese, a differenza di altri abiti orientali raffigurati dal Vecellio in modo più realistico. Ad esempio, nel caso dell’abbigliamento cinese, che presentava anch’esso vesti aperte con i lembi

192

Cfr. paragrafo 5, note 154-155.

193

La scoperta e il suo doppio, op. cit., p. 60 e n. 140 p. 106. Cfr. anche ivi, n. 148, p. 107.

194 Il tabin o tabi era un pesante tessuto di seta marezzata, simile al taffetà. Cfr. E. Savani, Il Linguaggio del sistema

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sovrapposti nella parte anteriore, il Vecellio non mancò di raffigurare questo particolare (FIG. 27), che omise invece, come abbiamo visto, nella rappresentazione del costume del “giovane giapponese” 195.

FIG. 27. “Nobile matrona della Cina”, in Cesare Vecellio, Habiti antichi, et moderni di tutto il

mondo. Di Cesare Vecellio. Di nuouo accresciuti di molte figure. Vestitus antiquorum, recentiorumque totius orbis. Per Sulstatium Gratilianum Senapolensis latine declarati , Sessa,

Venezia, 1598. libro XI , p. 477 v.

Anche nel caso dei costumi medio-orientali, l’artista veneziano ne individuò e rappresentò diffusamente gli elementi tipici come i tessuti riccamente decorati, i copricapi196 e l’allacciatura ad alamari nelle sopravvesti197 (FIG. 28).

195 Questi aspetti comuni tra abiti cinesi e giapponesi si spiegano con il fatto che “una o due tipologie di abiti di corte

cinesi, adottate dal Giappone durante il VII secolo, sono all’origine dell’evoluzione del kimono”. Cfr. Kimonos art déco. Tradition et modernité dans le Japon de la première moitié du XXe siècle, catalogo della mostra (Londra, Victoria & Albert Museum, 13 ottobre 2005 – 1 maggio 2006 e Musée du président Jacques Chirac à Sarran en Corrèze, 15 luglio – 15 ottobre 2006), a cura di A. Van Assche, 2006, p. 8. Sulla rappresentazione degli abiti cinesi nell’opera di Vecellio v. J. Guérin Dalle Mese, L’occhio di Cesare Vecellio. Abiti e costumi esotici nel ’500, 1998, pp. 193-198.

196 Sulla rappresentazione degli abiti medio-orientali nell’opera del Vecellio cfr. G. Butazzi, Tra mode occidentali e

“costumi” medio orientali: confronti e riflessioni dai repertori cinquecenteschi alle trasformazioni vestimentarie tra XVII e XVIII secolo, in Il vestito dell’altro: semiotica, arti, costume, a cura di G. Franci e M. G. Muzzarelli, 2005, pp. 251-270. Cfr. in particolare p. 255: “Seguendo i criteri occidentali, l’autore non si lascia sfuggire il rilievo che, nella corte e nella società mussulmana, assume la testa come punto focale dell’immagine costruita dall’abbigliamento; così non trascura, come disegnatore e come commentatore, i significati legati alle dimensioni dei turbanti maschili, alle loro aggiunte ornamentali [..]”.

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FIG. 28. “Nobile persiano”, in Cesare Vecellio, Habiti antichi, et moderni di tutto il mondo. Di

Cesare Vecellio. Di nuouo accresciuti di molte figure. Vestitus antiquorum, recentiorumque totius orbis. Per Sulstatium Gratilianum Senapolensis latine declarati , Sessa, Venezia, 1598.

libro XI , p. 456 v.

La sommarietà della rappresentazione degli abiti giapponesi può essere spiegata con il fatto che il Giappone era stato ‘scoperto’ in tempi relativamente recenti, mentre i contatti ormai secolari che Venezia intratteneva con il Medio-Oriente e con la Cina (si pensi al viaggio di Marco Polo in Cina nella seconda metà del XIII secolo) avevano fatto sì che giungessero nel tempo molte più informazioni sugli abiti di quei Paesi198.

197 Ivi, p. 257. Sulla rappresentazione degli abiti persiani nell’opera di Vecellio cfr. J. Guérin Dalle Mese, L’occhio di

Cesare Vecellio. Abiti e costumi esotici nel ’500, op. cit., p. 189.

198 Basti pensare che il primo missionario si recò in Cina nel 1246. Era il francescano e italiano Giovann da Pian del

Carpine. V. I francescani e la Cina. Ottocento anni di storia. Atti della Giornata di studio in preparazione alla canonizzazione dei martiri cinesi (Santa Maria degli Angeli-Assisi, 9 settembre 2000), 2001.

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8. LA SECONDA AMBASCIATA GIAPPONESE IN ITALIA (1615)

L’alter ego francescano del gesuita Valignano nella diffusione del cattolicesimo in Giappone fu lo spagnolo Luis Sotelo (1574- 1624), giunto nel 1603 in Giappone, dove sarebbe morto martire nel 1624.

Nel tentativo di ristabilire un clima di collaborazione con le autorità politiche giapponesi in un momento in cui queste dimostravano piena ostilità nei confronti dei missionari cattolici, il Sotelo si propose come sostenitore della politica economica dello shōgun, che intendeva stabilire un’alleanza commerciale con la corona di Spagna. Con questi intenti il missionario francescano organizzò una seconda ambasceria giapponese in Europa, finalizzata ad ottenere, “attraverso la mediazione del papa, l’appoggio della Spagna alla politica commerciale dello shōgun” 199.

Grazie anche al sostegno di un potente daimyō (signore feudale) del Nord, Date Masamune (1567 – 1636), il Sotelo partì alla volta della Spagna e di Roma il 28 ottobre 1613 insieme a ben 180 persone.

Nonostante l’elevato numero dei membri della missione – molti dei quali sarebbero peraltro morti durante il viaggio – quest’ambasceria ebbe in Europa accoglienze assai meno trionfali rispetto alla prima e si rivelò un fallimento dal punto di vista politico200. Non così fu invece dal punto di vista culturale, dal momento che anche in questa occasione, come già era avvenuto nel 1585, furono pubblicate in Italia diverse relazioni sulla visita della delegazione giapponese. Fra tutte spicca la

Historia del Regno di Voxu del Giappone (1615)201 scritta da Scipione Amati, che nel 1615 accompagnò in qualità di interprete e di cronista l’ambasceria da Lisbona a Roma. Proprio nel volume dell’Amati è descritta la cerimonia ufficiale con cui gli ambasciatori furono accolti a Roma il 29 ottobre 1615. Tale passo è particolarmente interessante perché contiene una dettagliata descrizione dell’abbigliamento di un membro della delegazione, il vassallo cristiano Hasekura Tsunenaga (1561-1622) “vestito con drappi indiani ricchissimi, e divisati con molti compartimenti

di lavori, figurato con animali, augelli, e fiori tessuti con seta, oro e argento, che davano assai nel bianco”. L’Amati aggiungeva che l’ambasciatore indossava “un collare lattucato, e il cappello alla romana, con il quale salutava con viso gratissimo, e rendeva saluti al popolo, che con atti di riverenza l’honorava, com’anche facevano quelli della sua casata” 202.

Il testo era corredato da un’incisione raffigurante Hasekura stante (FIG. 29) 203. Nell’immagine tuttavia mancano diversi dettagli citati nel testo, come ad esempio le ricche decorazioni del tessuto, che appare invece in tinta unita. Ciò si spiega con ogni probabilità con il fatto che l’incisione non vanne realizzata a partire da un ritratto realizzato per l’occasione, ma è la copia in controparte di un’altra incisione raffigurante un “nobile giapponese” contenuta nel volume di Jean-Jacques Boissard, Recueil de costumes étrangers, edito in Francia nel 1581 (FIG. 29a) 204. Identiche sono

199

Cfr. G. Brancaccio, Le ambascerie giapponesi al papato nel secoli XVI e XVII, op. cit., p. 59. Sull’ambasceria del 1615, cfr. A. Zambarbieri, Primi echi europei dell’ambasceria Hasekura-Sotelo, in Riflessioni sul Giappone antico e moderno, a cura di M. Mastrangelo, L. Milasi e S. Romagnoli, 2014, pp. 115-137.

200 F. Maraini, La scoperta del Giappone in Italia, in Italia-Giappone 450 anni, 2003, I, pp. 3-12: 6. 201 Cfr. Di linea e di colore: il Giappone, le sue arti e l'incontro con l'Occidente, op. cit., II.37, p. 329. 202

Ivi, II.36, p. 326.

203

L’incisione è stata pubblicata in G. Malena, Le ambascerie giapponesi in Italia (1585, 1615) ed il loro lascito nell’editoria e nelle arti, op. cit., pp. 41-52: 47.

204 L’incisione è nel f. 56. Tutto il volume di Boissard è consultabile on-line all’indirizzo http://gallica.bnf.fr/services/engine/search/sru?operation=searchRetrieve&version=1.2&query=%28gallica%20all%20

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infatti le fattezze dei due uomini ivi raffigurati, così come il loro abbigliamento e persino il foglio di carta piegato che reggono in una mano.

FIG. 29 (a sinistra). Incisione raffigurante Tsunenaga Hasekura, qui chiamato “PHILIPPUS FRANCISCUS FAXICURA”. L’immagine è contenuta nel volume di Scipione Amati, Historia

del Regno di Voxu del Giappone (1615).

FIG. 29a (a destra). Jean-Jacques Boissard, Recueil de costumes étrangers, edito in Francia nel 1581, f. 56. A sinistra è raffigurato un “Nobile giapponese”.

Ben più veritiero, e corrispondente alla descrizione dell’Amati, è il ritratto di Hasekura Tsunenaga eseguito dal pittore Archita Ricci nel 1615 (FIG. 30)205. L’ambasciatore vi è rappresentato con indosso l’abito bianco da cerimonia composto da hakama e kimono, che è incrociato sul davanti e infilato dentro l’hakama. Entrambi sono decorati con spighe di riso. Sotto al kimono si intravede la camicia all’europea con colletto e polsi ornati di pizzo citata dall’Amati (“un collare lattucato”), mentre sopra un’ampia giacca aperta, in cui sono ben riconoscibili disegni di daini e code di pavone aperte a ruota (cfr. ancora l’Amati: “ […] figurato con animali, augelli, e fiori tessuti con seta, oro e

argento, che davano assai nel bianco”) . Ai piedi Hasekura indossa dei tradizionali sandali infradito

senza tacco, detti zōri .

Come ben evidenziato da Francesco Morena206, Hasekura porta, secondo una consuetudine in uso tra i nobili giapponesi, il daishō, che era una coppia di spade: una lunga, la katana, e una corta, detta wakizashi, originariamente portata solo dai samurai. Sull’elsa della lunga spada di destra è ripetuto più volte un decoro a traforo di nove sfere concentriche, che era lo stemma del clan di Date Masamune, il daimyō di cui Hasekura era fedele vassallo.

%22Jean-Jacques%20Boissard%2C%20Recueil%20de%20costumes%20%C3%A9trangers%22%29#resultat-id-1, ultima consultazione 18 dicembre 2015.

205 Il dipinto è stato pubblicato nella relativa scheda di catalogo in Di linea e di colore: il Giappone, le sue arti e

l'incontro con l'Occidente, op. cit., II.36, p. 327.

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Tra le immagini fino ad allora realizzate in Italia raffiguranti gli abiti dei giapponesi207, questa è senz’altro la più realistica. Pertanto tale dipinto fu a quell’epoca un importante strumento per la conoscenza dei costumi giapponesi in Italia.