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La filter bubble, lo sharing ed i nuovi modelli di distribuzione

CAPITOLO III: LA COMUNICAZIONE NELL’ERA DELLA

3.2 Internet e l’assetto dell’informazione: i nuovi modelli d

3.2.3 La filter bubble, lo sharing ed i nuovi modelli di distribuzione

Il 4 dicembre 2009 Google in un post sul suo blog ufficiale, con discrezione e senza fare troppo clamore, annunciò quello che sarebbe stato il più grande cambiamento mai avvenuto nel mondo digitale188:

l’algoritmo Page Rank. Se Internet in un primo momento si è proposto come mezzo anonimo in cui tutti potevano essere chiunque, oggi è il mezzo attraverso il quale i nostri dati personali vengono raccolti ed analizzati. Nella rete riversiamo più o meno consapevolmente i dettagli più intimi della nostra vita e per questa via la rete non solo sa chi siamo, ma conosce anche i nostri gusti, le nostre inclinazioni culturali e politiche. Per esempio, i nostri smartphone sanno esattamente dove siamo, chi contattiamo, che cosa leggiamo, le pagine che visitiamo. Con il GPS e il giroscopio sono in grado di sapere se stiamo camminando, siamo in macchina o seduti comodamente sul nostro divano. Colossi del mercato web come Amazon, sulla base dei dati di navigazione, cercano di prevedere quali siano gli interessi dei propri clienti e mettono in evidenza per ciascun di essi i prodotti che si avvicinano di più ai loro gusti.

                                                                                                               

187 LAIDLAW E. B. ; Regulating Speech in Cyberspace, Cambridge, 2015. 188Google Blog, 4 dicembre 2009, consultabile alla pagina

Nonostante i servizi offerti dai grandi motori di ricerca e dai social

network possano apparire gratuiti, tali servizi vengono pagati con le

nostre informazioni. Sono ormai anni che i colossi come Google,

Facebook, Apple e Microsoft conducono una corsa a raccogliere il

maggior numero possibile di dati personali per poi rivenderli ad una schiera sempre più nutrita di società di marketing. Ci troviamo al centro di un fiorente mercato di dati, che svela tutto ciò che facciamo

on-line, controllato da società per la raccolta di dati come BlueKai e Acxiom189. Ogni nostro click è merce che può essere venduta nel giro

di pochi secondi.

Come ha affermato in modo calzante Andrew Lewis “Se non state pagando qualcosa, non siete un cliente, siete il prodotto che stanno vendendo”190.

Se Google ha promesso di non divulgare i nostri dati, altrettanto non è stato fatto da altri siti ed applicazioni molto popolari. I colossi di

Internet utilizzano una sola strategia: più informazioni personali

riescono ad offrire e più spazi pubblicitari possono vendere e più probabilità ci sono che i prodotti che ci vengono mostrati vengano da noi acquistati.

Elis Pariser nel 2011 ha ben descritto questo fenomeno, mettendo in evidenza come i social media ed i motori di ricerca non si limitino, ormai, più solo a selezionare l’informazione da proporre a ciascun utente ma chiudano l’utente dentro ad una bolla costruita su misura sulla base dei suoi gusti, delle sue preferenze, dei suoi pregiudizi. A partire dal 2009 l’algoritmo di ricerca di Google (Page Rank)191 ha

                                                                                                               

189PARISER E.; Il Filtro, il Saggiatore, Milano 2012. 190LEWIS A.; in MetaFilter, blog, consultabile alla pagina

https://www.metafilter.com/user/15556

191MININI A.; Page Rank, consultabile alla pagina

iniziato a formulare i risultati più adatti al singolo utente dando inizio all’“era della personalizzazione” del web. La rete deve essere intelligente e fatta su misura per ciascun internauta.

Un meccanismo analogo di personalizzazione è riscontrabile nell’algoritmo che sta alla base di News Feed di Facebook il quale è in grado di mostrare a ciascuna persona le storie per essa più rilevanti secondo i propri gusti ed i propri interessi.

Tutto ciò costituisce il substrato di quella che è stata definita da Pariser la filter bubble: i social network o i motori di ricerca sono in grado di sfruttare le informazioni estrapolate dagli algoritmi per definire quali siano le notizie di maggior interesse per l’utente, e proporgli post ed articoli sempre più in linea con i suoi interessi e le sue opinioni. L’algoritmo filtra le opinioni e ci fa arrivare sullo schermo solo ciò che ritiene più vicino al nostro modo di pensare, di vedere ed interpretare la realtà. Gli algoritmi, come dei sarti, cuciono e realizzano sostanzialmente un mondo su misura per noi ed affine ai nostri gusti.

Tutto questo, indubbiamente, porta con sé degli enormi vantaggi, riducendo i tempi e costi di una ricerca, rendendo più semplici e sicuri i nostri acquisti, o aiutandoci a trarre maggiori soddisfazioni nelle interazioni con gli altri (si pensi per esempio alla prenotazione di un viaggio, all’acquisto di un vestito, ai consigli che Netflix offre per la visione di un film in un catalogo di 140 mila pellicole, alla condivisione su di un social di esperienze e sensazioni).

Sebbene gli algoritmi assolvano pienamente al proprio compito nella sfera economica, tuttavia con il loro progredire è sempre più tangibile l’influenza che essi operano all’esterno di tale sfera, andando ad incidere sui rapporti interpersonali e sociali.

In virtù di un numero sempre maggiore di utilizzatori e di algoritmi sempre più efficienti, la rete sta diventando il principale strumento attraverso il quale si accede all’informazione. Questo fenomeno, di contro, ha causato una esponenziale riduzione del consumo di informazioni legato all’industria dell’informazione tradizionale (in particolare la carta stampata) e di conseguenza, per le logiche di mercato, la forte riduzione per essa degli introiti legati al settore pubblicitario.

Ecco che l’utente si trova ad essere esposto prevalentemente a ciò che è in sintonia con il suo pensiero, i suoi pregiudizi, i suoi interessi e finisce per ricevere dal web non tanto quello che ha ricercato ma solo una sorta di eco delle opinioni e dei gusti che ha manifestato (quelle che qualcuno ha definito Echo chamber)192. Il web diviene così un

enorme serbatoio di informazioni ma allo stesso tempo un luogo dove l’internauta finisce per rimanere intrappolato in una camera di risonanza, o se preferiamo in una bolla, dove non fa altro che rafforzare i suoi convincimenti, in un sistema di autoreferenzialità che altera il modo in cui entra in contatto con il pensiero non affine al suo e non gli consente, per certi versi, di fruire di tutte le informazioni, idee, opinioni che corrono sulla rete.

La bolla dei filtri si caratterizza per tre nuove dinamiche: in primo luogo, in un’epoca in cui le informazioni condivise sono alla base di esperienze condivise (si pensi per esempio ad un canale via cavo dedicato ad uno sport che è seguito da telespettatori che hanno una passione in comune), la bolla, invece, ci divide e ci isola nel mondo che ha costruito su misura per noi; in secondo luogo non siamo noi che selezioniamo l’informazione secondo criteri evidenti come avviene nel mondo analogico (si pensi ad esempio alla ricerca di                                                                                                                

192QUATTROCIOCCHI W., VICINI A.; Misinformation. Guida alla società

notizie su giornali che hanno un palese orientamento politico) ma è l’informazione che ci viene proposta attraverso criteri occulti (Google non è così trasparente, non ci dice chi pensa che siamo o perché ci mostra i risultati che vediamo sullo schermo); infine non siamo noi a scegliere di entrare nella bolla, non siamo noi a scegliere il colore delle lenti con le quali guardare ed interpretare ciò che ci circonda, ma ci viene suggerito e in modo strisciante condiziona il modo nel quale percepiamo il mondo193.

Il motivo per il quale i filtri spesso sono apprezzati dagli utenti è legato all’enorme mole di informazioni dalla quale siamo sommersi quotidianamente. Di fronte ad un oceano di notizie ed informazioni provenienti da un testo, da un video, da una e-mail, la nostra attenzione crolla. Per questo quando i filtri personalizzati si offrono di darci una mano (come nel caso delle news feed di Facebook o i suggerimenti di Netflix), vengono accolti con favore. Tanto più se si pensa al fatto che il mondo che ci offrono è una sorta di comfort zone, popolata da amici, desideri ed interessi.

Tuttavia, Ryan Calo professore di diritto a Stanford, ha osservato che “ogni tecnologia ha un punto di intersezione (..) un punto in cui finiamo noi e comincia lei”. E quando il suo compito è quello di mostrarci il mondo, finisce con l’intromettersi tra noi e la realtà, come la lente di una macchina fotografica. “E’ una posizione di grande potere (…) può distorcere in molti modi la nostra percezione del mondo”. Ciò è esattamente quello che fa la bolla194.

Quando poi tante persone iniziano a vivere nella propria bolla (più o meno consapevolmente) oltre alle conseguenze dirette sul piano personale, iniziano ad innescarsi una serie di conseguenze sul piano sociale: la bolla dei filtri finisce per condizionare non solo la nostra                                                                                                                

193PARISER E.; Il Filtro, il Saggiatore, Milano 2012 194  PARISER E.; Il Filtro, il Saggiatore, Milano 2012

vita ma anche il funzionamento del dibattito pubblico e la formazione dell’opinione pubblica.

Questo perché i filtri personalizzati, da un lato, ci propongono una sorta di autopropaganda invisibile, ci indottrinano con le nostre stesse idee e dall’altro riducono enormemente, o addirittura fanno venire meno, la possibilità di incontrare idee, esperienze e culture diverse, costruendo intorno a noi un mondo familiare dove però non c’è niente da imparare, dove rimangono vivi i nostri preconcetti, convinzioni e paure. Questo, inevitabilmente, porta con sé una distruzione progressiva del concetto di pluralismo che sta alla base dei sistemi democratici occidentali.

Le nostre bolle, agendo da casse di risonanza tendono ad intrappolare ed amplificare contenuti “leggeri” con i quali è più facile interagire, spesso legati al gossip, al sesso, alla violenza, al potere o alla comicità, ed a isolare ed attenuare contenuti legati a problemi sociali, alla politica, all’attualità fino anche a farli scomparire. In sostanza, questioni importanti, ma complesse, arrivano con più difficoltà alla nostra attenzione in virtù delle modalità di selezione dell’informazione messe in atto dai filtri.

Tuttavia il cittadino, a differenza del consumatore, ha il diritto e dovere di confrontarsi con argomenti al di fuori della sua sfera di interesse, in modo da poter partecipare a pieno al dibattito pubblico. La struttura dei mezzi di informazione da sempre influisce sul carattere della società: la carta stampata ha consentito il confronto democratico come non avrebbero mai potuto fare i manoscritti copiati su pergamena, la televisione ha inciso ed influito profondamente sulla vita politica dell’ultimo secolo, e l’avvento di Internet ha fatto sperare in un sistema capace di garantire come mai prima il pluralismo e il confronto.

Cass Sunstein aveva individuato una importante distinzione, quella tra la sovranità del consumatore nel libero mercato e la sovranità del cittadino in una nazione libera; ma quello che va bene per un consumatore non va bene per un cittadino. Se l’informazione tagliata su misura dei gusti del consumatore può rendere più facili e soddisfacenti le sue scelte di consumo, altrettanto non può dirsi per il cittadino. La sovranità politica ha un diverso fondamento che richiede un dibattito pubblico dove possano entrare in contatto e confrontarsi idee diverse e molto distanti tra di loro e soprattutto lontane dall’idea dominante195. Alla base delle democrazie occidentali c’è il c.d.

government by discussion, cioè il principio secondo cui deve essere

garantito un confronto pubblico ed aperto ad idee diverse e confliggenti, che permetta ad ogni cittadino di scegliere la sua verità196.

La filter bubble porta, invece, alla frammentazione del discorso pubblico ed alla chiusura piuttosto che al confronto. Sul web nascono tante comunità chiuse, delle vere e proprie nicchie, in cui ciascuna parla e si rivolge a chi la pensa allo stesso modo e riceve notizie da chi condivide le stesse idee. In questo modo ciascuno si rinforza nei propri pregiudizi riconoscendoli come l’unica verità esistente e finisce con il considerare fuorvianti, infondate, devianti tutte le altre idee che non circolano nella sua comunità virtuale. Così si viene a delineare un sistema chiuso ed autoreferenziale e non aperto al mondo come ci si era immaginati quando Internet è nato. In poche parole rimaniamo invischiati nelle camere di risonanza.

Allora il problema non è più quello di garantire il pluralismo inteso come efficace sistema di circolazione delle idee, delle opinioni, la presenza del maggior numero possibile di voci nell’area della pubblica                                                                                                                

195 SUNSTEIN C.R.; Republic.com 2.0, Princeton 2007, p.38.

196PITRUZZELLA G.; La libertà di informazione nell’era di Internet, in Parole e

discussione, perché questo risultato è stato raggiunto proprio grazie ad

Internet. Ognuno di noi può in ogni momento, in Internet, esprimere

le proprie opinioni e trovare tutte le informazioni delle quali necessita per essere un cittadino informato. Si tratta piuttosto, alla luce del funzionamento degli algoritmi, dei sistemi personalizzati di selezione delle informazioni, chiusi come siamo nelle nostre bolle e camere di risonanza, di rivedere il concetto di tutela del pluralismo come possibilità di essere raggiunti da una pluralità di opinioni diverse, dalle informazioni, in modo più trasparente e consapevole, di garantire per questa via il confronto, la discussione e la riflessione.

Ecco allora emergere l’importanza del dissenso, parte essenziale del corredo genetico della libertà di informazione nelle democrazie pluralistiche e nelle società democratiche, da affiancare alla necessità di avere fori pubblici aperti alla discussione nei quali esporre le proprie opinioni e la tutela del pluralismo delle fonti di informazione. La proliferazione delle bolle informative tende anche a combinarsi, come aveva previsto Michel Maffesoli, con una sorta di “tribalizzazione”: all’interno dei social network il comportamento dell’utente tende ad essere tendenzialmente omofilo ovvero la maggior parte degli utenti tende a circondarsi da amici che condividono le stesse idee politiche e valori, ma soprattutto si espone esclusivamente a fonti di informazione che confermano le proprie opinioni197.

Tutto ciò, se spostato sul piano delle scelte sociali e politiche finisce con il favorire un processo di radicalizzazione e polarizzazione dei gruppi come già osservato da Cass Sunstain.

                                                                                                               

197PALANO D.; La bolla mortale della nuova democrazia, il Foglio, 1 maggio

2017, consultabile alla pagina https://www.ilfoglio.it/politica/2017/05/01/news/la- bolla-mortale-della-nuova-democrazia-132173/

Tuttavia quella “folla psicologica” degli assembramenti digitali che popolano il web, è paragonabile secondo il filosofo Byung-Chul Han ad uno “sciame digitale che non possiede un’anima o uno spirito” e che “è composto da individui isolati”. Però mentre la folla intesa come massa può marciare, lo sciame digitale è liquido, fugace, incoerente e destinato a dissolversi così come si è costituito. Quindi lo sciame si presenta molto diverso da quelle masse che i partiti politici novecenteschi tendevano a educare, organizzare e mobilitare198.

Un altro fenomeno che si accosta a quello della filter bubble, alimentato soprattutto da social network come Facebook e Twitter, è lo sharing. Esistono due tipi di sharing: il primo riguarda la condivisione di informazioni attraverso l’interfaccia di Facebook dove i suoi utenti creano profili personalizzati con foto, video, liste di argomenti di interesse, post, chat private e di gruppo attraverso le quali è possibile condividere informazioni e comunicare. Gli utenti di

Facebook possono commentare i post altrui, condividerli (share) con i

propri amici, oppure esprimere la propria preferenza con un like199.

Anche Twitter è caratterizzato da una pluralità di azioni, non solo è possibile rispondere ad un tweet ma anche applicare una stellina (simile al like di Facebook), condividerne il contenuto con un retweet, oppure aggiungere un commento personale con una citazione (quote). Il secondo tipo di sharing entra in gioco quando la condivisione si allarga a terze parti. Queste ultime possono sfruttare l’ecosistema di

Facebook per rendere virali certe informazioni ed utilizzare tale

sistema per guadagnare attraverso la pubblicità. Infatti i rinvii alle                                                                                                                

198HAN B.C.; Nello sciame, Nottetempo, 2015.

199HERRMAN J.; Inside Facebook’s (Totaly Insane, Unintentionally, Gigantic,

Hyperpartisan) Political-Media Machine, The New York Times Magazine, 24

agosto 2016 consultabile alla pagina

https://www.nytimes.com/2016/08/28/magazine/inside-facebooks-totally-insane- unintentionally-gigantic-hyperpartisan-political-media-machine.html

pagine di Facebook assicurano ai siti di notizie un flusso di lettori pari a quello offerto da Google (che in passato era il principale punto di distribuzione delle notizie sul web). Ecco che gli editori per raggiungere il pubblico, molto spesso, sfruttano la capacità di

Facebook di fungere da intermediario. Uno dei meccanismi che

sempre più spesso è possibile riscontrare vede in primo luogo la costruzione di un ampio seguito su di una pagina del social network, in secondo luogo si postano link ad articoli presenti su di un sito web esterno in cui sono generalmente presenti numerose inserzioni pubblicitarie, e infine se i rinvii al sito crescono, con i click crescono i guadagni.

Tali meccanismi vengono sempre più sfruttati da quei siti che diffondono notizie in grado di suscitare sentimenti forti e colpire l’immaginazione, ma non richiedono approfondimenti e indagini particolari200.

E’ in questo contesto, molto complesso, dove i poteri di filtraggio e il fenomeno dello sharing si fanno sempre più imperanti, che hanno trovato terreno fertile, proliferato e debbono essere letti alcuni fenomeni spinosi, sempre esistiti, ma che negli ultimi anni hanno suscitato non poche preoccupazioni, quali quelli della disinformazione frammentata e polarizzata, delle fake news e degli hate speech.

                                                                                                               

200PITRUZZELLA G.; La libertà di informazione nell’era di Internet, in Parole e