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La governance della rete: regola o anarchia? 91

Prima che gli Stati a metà degli anni ‘90 iniziassero a riflettere sulla opportunità di introdurre leggi positive per la regolamentazione della rete e che dottrina e giurisprudenza fossero chiamate ad interrogarsi e pronunciarsi sulla governance di Internet e sulla possibilità di applicare le categorie del diritto tradizionale a tale fenomeno, per lungo tempo esso ha funzionato sulla base di un corpo di norme imposte e condivise dagli utenti. Queste prendono il nome di

netiquette (dalla contrazione delle parole network, ovvero rete, ed étiquette, ovvero buona educazione) ed altro non sono che il

complesso di regole informali di comportamento volte a favorire il reciproco rispetto tra gli utenti. Quando, infatti, Internet da rete militare divenne mezzo di comunicazione tra centri di ricerca e università, la ristretta comunità di utenti decise di introdurre una sorta di “galateo informatico” (Acceptable Use Policy). Tuttavia, i tentativi di autoregolamentazione succedutisi nel tempo hanno dovuto misurarsi con la rapida evoluzione della rete in termini tecnologici, di modalità di accesso e di numero di utenti, spesso soccombendo a tali cambiamenti in favore di nuove formulazioni più adatte alle nuove condizioni. Con l’avvento dei social network e l’esplosione del numero dei servizi presenti in Internet, abbiamo assistito ad una frammentazione della netiquette a favore di un sistema in cui ciascun servizio si dota del proprio “galateo informatico”, il cui contenuto è fortemente influenzato dalla tipologia di servizio offerto e di fruitori (esempio Facebook, Whatsapp, Instagram, etc.).

Se la rete in passato era una entità conchiusa che difficilmente riusciva ad incidere sulla realtà, oggi è entrata a far parte della nostra vita quotidiana, interviene sul reale, lo modifica e lo condiziona e contribuisce a disegnarne il futuro. Il confine tra reale e virtuale è

sempre più sottile ed il cyberspazio ha iniziato ad occupare uno spazio fisico.

Per capire se sia possibile regolamentare Internet è opportuno chiedersi prima chi possa vantare una “signoria della volontà” sulle strutture fondamentali della rete. Il principio di resilienza secondo il quale è costruita tutta l’infrastruttura che sorregge Internet fa sì che tutti i protocolli ed i codici immessi nella rete diventino automaticamente di dominio pubblico; i codici sono inoltre oggetto di elaborazione da parte di soggetti estranei, ciascuno dei quali, a propria volta, si apre al pubblico di modo che la reciproca interferenza di questi soggetti, unita alla pubblicità del codice, consente di fatto la democrazia del sistema.

E’ stato sottolineato come, “in questo contesto, l’idea fondamentale che governa la rete è che nessuno ha la forza di possedere il codice, ma il codice è oggetto di una conoscenza diffusa e condivisa, in cui la sua forza è data dall’utilizzo spontaneo da parte degli utenti”113.

Ecco che ci si è chiesti se un non-spazio che presenta caratteristiche del tutto peculiari, senza confini, senza padroni, globalizzato, decentralizzato, che apre nuove frontiere allo sviluppo umano, sia regolabile o se piuttosto sia opportuno lasciarlo libero di autoregolamentarsi.

L’esperienza nord americana ha più volte sottolineato l’opportunità di una indipendenza del cyberspazio, in quanto la rete come codice non può che appartenere alla collettività dei suoi fruitori, sostenendo che, se è possibile una governance del sistema, questa deve provenire dal suo interno. Il self-government è calato in un contesto in cui la rete                                                                                                                

113CONTI G. L., La governance dell’internet: dalla costituzione della rete alla

costituzione nella rete, in NISTICO’ M. PASSAGLIA P., Internet e Costituzione,

costituisce una sorta di territorio che trascende la sovranità degli Stati e si avvicina molto al nomos del mare, che ha messo a dura prova la teoria della sovranità114. In questo contesto la generazione delle regole

che governano la rete è del tutto analoga alla generazione ed immissione di nuovi protocolli e codici, dunque, scaturisce da coloro che li elaborano. L’adozione di queste regole segue, quindi, una logica di mercato in cui è l’utilizzo da parte degli utenti a decretare il successo o l’insuccesso di esse.

Gli attori responsabili della self-governance sono sostanzialmente quei soggetti che fin dalle origini della rete hanno favorito l’elaborazione del codice e dei protocolli ovvero: Internet Society, Internet

Architecture Board (IAB), Internet Engineer Task Force (IETF), Internet Corporation for Assigned Names and Numbers115 (ICANN), World Wide Web Consortium, etc. Questi soggetti, in quanto

caratterizzati da una presenza fisica sul territorio, una sede, uno statuto hanno una origine in qualche misura statale e seguono generalmente le leggi degli Stati che li ospitano, in questo caso gli Stati Uniti. Tali attori operano già da tempo seguendo modelli strutturati secondo le c.d. task force caratterizzate da partecipazione su base volontaria, riunioni virtuali, e pubblicazione completa di tutte le attività svolte. Questi soggetti che collaborano per lo sviluppo della rete, recentemente, nel 2013 hanno concorso alla creazione di una                                                                                                                

114SCHMITT C., Il nomos della terra, Adelphi, Milano 1991.

115 L’ICANN è un ente non-profit nato nel 1998, con sede in California incaricato,

fra l’atro, della assegnazione degli indirizzi IP, della gestione del sistema dei nomi a dominio generici di primo livello (DNS – Domain Name System) quali “.com”,

“.net”, “.org”, e del Country code Top Level Domains (ccTLD), che identificano

uno specifico territorio (es. per l’Italia “.it” , per la Spagna “.es”). L’ICANN ha il compito di salvaguardare la stabilità operativa di Internet, di promuovere la competizione a livello di mercato dei nomi a dominio di garantire il più elevato livello di rappresentatività della comunità Internet e di sviluppare politiche coerenti con il suo mandato tramite processi partecipati e consensuali. Le sue decisioni non sono soggette al potere di veto degli Stati e si rivolgono direttamente ai soggetti privati, sui diritti dei quali hanno capacità di incidere. Il ruolo di ICANN, anche in ragione della carenza di legittimazione democratica che lo connota, viene da più parti contestato. https://www.icann.org/news/announcement-2013-10-07-en

sorta di Costituzione per la salvaguardia dei valori collegati allo sviluppo della rete: la Dichiarazione di Montevideo116.

Se da un punto di vista logico tale approccio appare quello più opportuno, da un punto di vista sociale appare difficilmente giustificabile. Quando le attività svolte su Internet, infatti, impattano sul sistema reale, spesso entrano in conflitto con altri principi e valori fondamentali (ad esempio, la sicurezza degli Stati, la libertà di iniziativa economica, la tutela dei diritti fondamentali della persona etc.) e da qui sorge la necessità di un intervento governativo (statale o sovranazionale che sia) che operi un bilanciamento tra la libertà della rete e le altre libertà con le quali entra in conflitto. Questo bilanciamento dovrebbe avvenire in un ordinamento giuridico in cui la libertà della rete e gli altri valori con i quali entra in conflitto sono affermati e costituiti. Tuttavia, le caratteristiche di sovrastatalità della rete rendono difficile l’individuazione di una adeguata normazione a supporto di questa opera di bilanciamento: in primo luogo, sembra insufficiente una regolamentazione a livello statale, poiché un singolo Stato si troverebbe ad interferire con le libertà costituzionali di altri Stati; in secondo luogo, una regolamentazione a livello internazionale vedrebbe in realtà la partecipazione solo di alcuni Stati e non avrebbe la legittimazione a limitare le libertà dei cittadini di una realtà diversa e globale quale quella della rete.

Alla luce di quanto esposto è evidente come entrambi gli approcci presentino dei punti di forza e delle criticità. Mentre l’approccio anglosassone del self-government rischia, muovendo da una logica puramente di mercato, di consegnare il controllo della rete ad una ristretta élite (ieri i matematici dell’IETF, oggi i grandi attori della

Silicon Valley: Facebook, Google, Apple etc.) la quale può risentire a

                                                                                                               

116 Dichiarazione di Montevideo consultabile alla pagina

sua volta delle pressioni da parte degli Stati nei quali risiede, l’approccio della co-regolamentazione, che prevede un intervento governativo, soffre della mancanza di una arena globale nella quale discutere delle limitazioni alla libertà della rete.

Attualmente, le principali organizzazioni internazionali (l’Unione europea, il Consiglio d’Europa, l’ONU) hanno avviato una serie di progetti che prevedono il coinvolgimento dei protagonisti della rete di comunicazione globale, quali provider, motori di ricerca, associazioni rappresentative degli utenti, destinati a favorire la cooperazione tra gli Stati, oltre che a coordinare gli strumenti di autoregolamentazione già esistenti. In particolar modo si ricorda l’Internet Governance Forum117 (IGF), un tavolo di dialogo e confronto istituito dall’ONU nel 2006

che ogni anno organizza un congresso su di un diverso profilo della

governance della rete e promuove soluzioni per singoli Paesi in

relazione ai problemi presentati da ciascuno di essi118.

Sebbene tali tentativi siano un primo passo verso una governance universale della rete, perdono di efficacia nel momento in cui, in virtù del principio di resilienza dei protocolli, e della globalità della rete, le normative prodotte risultano facilmente aggirabili facendo leva sulla loro territorialità: ad esempio, sarebbe possibile eludere una disposizione con efficacia in un determinato Stato o Regione semplicemente spostando i contenuti o i server in altro Stato dove tale disposizione non abbia efficacia.

Tuttavia Internet non deve e non può essere considerato una realtà in grado di sottrarsi al diritto, né uno spazio di libertà incondizionata.                                                                                                                

117Sono, inoltre, stati creati gruppi di lavoro permanenti volti a promuovere obiettivi

specifici (per esempio Dynamic Coalition on Privacy; Dynamic Coalition on the

Internet Bill of Rights; Freedon of Expression and Freedom of the Media on the Internet, etc.). IGF 2017 consultabile alla pagina

http://igfitalia2017.cirsfid.unibo.it

118GARDINI G., Le regole dell’informazione. L’era della post-verità, Giappichelli,

Tutte le attività compiute in Internet, infatti, producono conseguenze percepibili nella vita reale: quelle che in modo più evidente ci mostrano questo contatto tra vita on-line ed off-line sono quelle legate alla libertà di espressione. Il web come strumento di comunicazione ha ampliato enormemente gli spazi nei quali gli individui possono esprimere opinioni, critiche ed istanze, ma allo stesso tempo ha moltiplicato i reati legati all’abuso di tale libertà. Si pensi alla diffamazione realizzata attraverso un blog o alla istigazione alla discriminazione razziale propugnata con un tweet o un post all’interno di un social network. Il fatto che la comunicazione in rete avvenga mediante il filtro della tecnologia non attenua le conseguenze lesive per i diritti individuali, anzi, spesso tali attività esercitate dietro ad uno schermo risultano ancora più aggressive. Da qui la necessità di una serie di regole ad hoc pensate proprio per Internet.

Nonostante siano in corso molteplici progetti di cooperazione a livello internazionale, il principale punto di riferimento normativo per

Internet rimane, allo stato attuale, la disciplina nazionale e

l’interpretazione giurisprudenziale con tutti i limiti che porta con sé. Ma se, come ha sottolineato Azzariti119, “la dimensione di Internet è

quella planetaria, la regolamentazione giuridicamente efficace non può che essere quella globale”, occorre dunque prendere coscienza del fatto che i diritti umani e la loro tutela non sono più di esclusiva pertinenza degli Stati (come testimonia ormai da tempo la crisi della sovranità legata alla globalizzazione e all’appartenenza a ordinamenti sovranazionali). Solo un auspicabile impegno degli Stati verso la ricerca e l’applicazione di principi globali riusciranno ad individuare delle regole per Internet onde evitare che tale fenomeno, che è nato spontaneamente, si allontani dai valori fondamentali della democrazia, quali la trasparenza, responsabilità, contraddittorio, parità di                                                                                                                

119AZZARITI G., Internet e Costituzione, in Costituzionalismo.it n.2 p.6, 2011,

trattamento, pluralismo e tutela dei diritti. Questo percorso sta muovendo i suoi primi passi e porta con sé la difficoltà di inquadrare le attività on-line all’interno delle tradizionali e consolidate categorie giuridiche e delle politiche legislative da adottare in relazione a questo nuovo mezzo di comunicazione120.

                                                                                                               

120 GARDINI G., Le regole dell’informazione. L’era della post-verità, Giappichelli,

2.3 Il diritto di accesso ad Internet ed il Digital divide