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Finanziamenti infruttiferi infragruppo

I finanziamenti infragruppo sono spesso usati dai gruppi quale tecnica di aggressive tax planning per spostare base imponibile in Paesi che garantiscono trattamenti fiscali agevolati.

I finanziamenti intercompany ricorrono piuttosto frequentemente nelle operazioni dei gruppi societari e, in ambito nazionale, probabilmente il problema principale concerne la prova dell’eventuale infrut- tuosità del finanziamento, laddove le parti abbiano voluto operare in tal senso, mentre, in ambito inter- nazionale, si pone una problematica ben più articolata: il transfer pricing.

Come noto, infatti, le operazioni di base erosion and profit Shifting possono essere veicolate anche at- traverso strumenti di credito infragruppo e, per questo motivo, l’attenzione degli organi di controllo su di essi è sempre elevata.

Prendiamo a riferimento una società residente in Italia che concede a una società controllata estera un finanziamento infruttifero di interessi. In caso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate ritiene che, in sede tale ipotesi, trovi applicazione la disciplina dei prezzi di trasferimento, di cui all’articolo 110, comma 7, del TUIR, e, conseguentemente, può contestare l’omessa contabilizzazione di interessi atti- vi, determinandone la misura sulla base del saggio di interesse che sarebbe stato pattuito per un presti- to fruttifero fra imprese indipendenti.

È bene evidenziare subito che la tesi dell’Agenzia delle Entrate è condivisa da:

161Cass., n. 24005 del 23 ottobre 2013 - Transfer pricing: ai fini dell’applicazione del principio dell’arm’s lenght

rileva il mercato del fornitore dei beni o servizi, di Antonio Veneruso, in “Il fisco” n. 41 dell’11 novembre 2013. Analisi di comparabilità e ricostruzione del valore normale secondo la giurisprudenza, di Piergiorgio Valente e Salvatore Mattia, in "Il fisco" n. 3 del 2015.

170 1. dalla Corte di Cassazione;

2. circolare del Ministero delle finanze n. 32 del 22 settembre 1980;

3. Modello di convenzione fiscale OCSE del 1995- 1996, articolo 9, nonché Linee guida sul transfer pricing, pubblicate nel 1979 e in data 22 luglio 2010;

4. provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, emanato in data 29 settembre 2010, che specifica la documentazione idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimenti praticati.

Nella sentenza n. 11949 del 13 luglio 2012, la Corte di Cassazione precisa che la normativa sui prezzi di trasferimento ha “la finalità di consentire all’amministrazione finanziaria un controllo dei corri- spettivi applicati alle operazioni commerciali e/o finanziarie intercorse fra società collegate e/o con- trollate residenti in nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano aggiustamenti ‘artificiali’ di tali prezzi, determinati dallo scopo di ottimizzare il carico fiscale di gruppo, ad esempio canalizzando il reddito verso le società dislocate in aree o giurisdizioni caratterizzate da una fiscalità più mite. Un ruolo centrale in tale prospettiva assume, nel nostro ordinamento, l’art. 110, comma 7 del D.P.R. n. 917/86 (art. 76, comma 5 del testo previgente), a norma del quale i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello stato che, direttamente o indirettamente controllano l’impresa o ne sono controllate, o che sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa nazionale, sono valutati in base al ‘valore normale’ dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. n. 917/86”.

Per la Corte di Cassazione, in conclusione, la normativa sui prezzi di trasferimento si applica alle se- guenti categorie di operazioni:

a) operazioni commerciali;

b) operazioni finanziarie. Le operazioni finanziarie sono i prestiti intercorrenti tra le società collegate e/o controllate residenti in Stati diversi.

La Circolare del Ministero delle finanze n. 32 del 22 settembre 1980 dedica un apposito capitolo (il capitolo IV) a valore normale e interessi, precisando che “gli interessi derivanti da operazione di fi- nanziamento … rientrano nella disciplina del prezzo di trasferimento”.

La norma sui prezzi di trasferimento va letta ancora in relazione con l’articolo 9 del modello di con- venzione fiscale OCSE del 1995 - 1996, secondo il quale “quando le condizioni convenute o imposte tra le due imprese, nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono diverse da quelle che sarebbe- ro state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle due imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono es- sere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza”.

Tornando all’esempio puramente teorico fatto all’inizio del paragrafo, nel bilancio della società con- trollante italiana, il finanziamento infruttifero risulta iscritto nell’attivo tra le immobilizzazioni finan- ziarie. Per effettuare un finanziamento alla società controllata, la società controllante deve reperire i mezzi finanziari, i quali possono avere la seguente fonte:

171 b) capitale sociale apportato dai soci.

Se i mezzi finanziari provengono da affidamenti bancari, la società controllante italiana deve sostenere degli interessi passivi verso le banche. Tali mezzi finanziari – per il principio della sana amministra- zione – dovrebbero essere investiti in modo da ottenere un provento, almeno nella misura da poter co- prire l’ammontare dell’onere finanziario corrisposto al soggetto fornitore dei mezzi finanziari mede- simi. Se, invece, i mezzi finanziari sono stati trasferiti a una società controllata estera in modo infrutti- fero, la società controllante italiana subisce un danno, cioè sostiene un onere finanziario senza ottenere la contropartita di un provento finanziario.

In questo caso, l’applicazione della norma sui prezzi di trasferimento consente all’Agenzia delle Entra- te di imputare alla società controllante italiana un provento finanziario, come precisa la Circolare del Ministero delle finanze n. 32 del 22 settembre 1980: “Anche in materia di finanziamenti deve essere osservato il principio di libera concorrenza: il saggio di interesse della transazione in verifica sarà, cioè, determinato considerando quello pattuito o che sarebbe stato pattuito per un mutuo similare contratto da imprese indipendenti”.

Nel bilancio della società controllata estera, il finanziamento infruttifero rappresenta un debito verso la controllante non oneroso: la non onerosità del debito verso soci non produce effetti negativi sul reddito imponibile della società estera; anzi, la gratuità del prestito – a parità di altre condizioni – dovrebbe aumentare il reddito imponibile (circ. del Ministero delle finanze n. 32 del 22 settembre 1980).

Con la sent. n. 11949 del 13 luglio 2012, la Corte di Cassazione ha così interpretato le norme sul prez- zo di trasferimento: “l’applicazione delle norme sul transfer pricing non combatte l’occultamento del corrispettivo, costituente una forma di evasione, ma le manovre che incidono sul corrispettivo palese, consentendo il trasferimento surrettizio di utili da uno Stato all’altro, sì da influire in concreto sul re- gime dell’imposizione fiscale. Per tali essenziali connotazioni, pertanto, deve ritenersi che tale disci- plina costituisca – secondo l’interpretazione più diffusa anche nella giurisprudenza di questa Corte – una clausola antielusiva, in linea con i principi comunitari in tema di abuso del diritto, finalizzata ad evitare che all’interno del gruppo di società vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l’applicazione di prezzi inferiori o superiori al valore normale dei beni ceduti, al fine di sottrarli all’imposizione fiscale in Italia a favore di tassazioni estere inferiori (cfr. Cass. n. 22023/06, n. 11226/07), o comunque a favore di situazioni che rendano fiscalmente conveniente l’imputazione di utili ad articolazioni del gruppo diverse da quelle nazionali”162.

162La norma sui prezzi di trasferimento non contiene alcun riferimento ai vantaggi fiscali ipoteticamente raggiun-

ti dal gruppo o dall’impresa italiana che ne fa parte, limitandosi a presidiare una corretta determinazione del red- dito tassabile in Italia, assumendo a tal fine quale parametro per la misurazione della ricchezza il valore normale dei beni o dei servizi scambiati. Infatti, il singolo Stato ha l’interesse ad una corretta determinazione e misura- zione della porzione di ricchezza prodotta sul proprio territorio, indipendentemente dal carico fiscale complessi- vo gravante sul gruppo di società e dalla situazione in cui versano le consociate di altri Paesi.

Ed è per questa ragione che le normative sul transfer pricing, diversamente da altri strumenti di contrasto all’elusione/evasione internazionale (si pensi alle norme sulle controlled foreign companies), prescindono dai livelli di tassazione cui sono assoggettatele diverse consociate, ed operano anche in ipotesi di invarianza del pre- lievo complessivo gravante sul gruppo a seguito di una determinazione non corretta dei prezzi di trasferimento.

172 La Suprema Corte con la sentenza n. 27087/2014, aveva stabilito che la previsione dell’articolo 110, comma 7, del TUIR, che pone un limite minimo assoluto di redditività dell’operazione infragruppo pa- rametrato al valore normale, va intesa restrittivamente, in quanto volta a limitare la libertà negoziale privata. Pertanto, il dato letterale della norma impone di riconoscere che le operazioni infragruppo transfrontaliere che devono essere regolate al valore normale sono solo quelle da cui “derivano” com- ponenti di reddito positivi o negativi, sempreché l’applicazione del valore normale comporti un au- mento del reddito imponibile (come stabiliti dal primo periodo del predetto comma 7). Poiché, tutta- via, nell’ipotesi di mutuo a titolo gratuito non si verifica alcuna incidenza sulla produzione di reddito della società - ovverosia il finanziamento infruttifero, per sua stessa natura, non determina interessi e quindi ricavi per la società erogante - ne consegue l’inapplicabilità della disciplina del transfer pricing. Tale posizione, però, è stata ribaltata con la sentenza n. 7493 del 15 aprile 2016. Gli Ermellini hanno spiegato, innanzitutto, che la normativa sul transfer pricing non costituisce una disciplina antielusiva, tuttavia, essa, elaborata sulla base delle Direttive OCSE, mira a “colpire” quelle operazioni internazio- nali infragruppo non regolate sulla base del valore normale, ovvero non parametrate alle normali con- dizioni di mercato che si verificano tra imprese indipendenti; l’applicazione del valore normale, quin- di, prescinde dalla capacità originaria di produrre reddito e dal pagamento del corrispettivo per l’operazione.

Alla luce di tali argomentazioni, la Suprema Corte ha escluso che la pattuizione delle parti, circa l’infruttuosità del finanziamento internazionale infragruppo, sia idonea ad esonerare l’operazione dall’applicazione del meccanismo di controllo del transfer pricing da parte dell’Amministrazione fi- nanziaria. Diversamente opinando, del resto, si perverrebbe all’irragionevole risultato per cui l’Agenzia delle entrate potrebbe applicare il controllo sulla base del transfe pricing ad operazioni di finanziamento internazionale infragruppo che avvengano a condizioni inferiori a quelle previste dal criterio del valore normale, anche per importi contestati complessivamente irrisori, mentre le sarebbe inibita la contestazione qualora le parti si fossero accordate per l’infruttuosità del finanziamento stes- so, anche nell’ottica di sottrarsi così alla normativa di controllo in oggetto. In sostanza, quindi, per la Cassazione, nel caso di finanziamento infruttifero tra imprese dello stesso gruppo si può applicare il transfer pricing.163.