Il quadro normativo in materia di controllate estere localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata può pre- sentare alcune criticità in sede di attuazione della disciplina.
I numerosi adempimenti previsti per il contribuente e l’ampiezza della portata applicativa delle dispo- sizioni possono dare luogo, potenzialmente, all’insorgere di un “rischio fiscale”, che appare tanto più elevato quanto più articolato è il gruppo ed estesa la sua presenza all’estero.
Un efficace controllo di tale rischio, con riferimento al tema delle CFC, può essere esercitato attraver- so l’adozione di procedure che consentano, in particolare, di:
- individuare correttamente il perimetro delle controllate estere rientranti nella sfera di applicazione della normativa;
- raccogliere tempestivamente le informazioni e i dati rilevanti al fine di verificare se siano rispetta- te le condizioni previste dalla disciplina CFC;
- effettuare un monitoraggio costante per registrare eventuali evoluzioni (dei dati economici e delle “circostanze di fatto” che interessano le partecipate estere) e misurarne le conseguenze ai sensi della normativa.
A questi fini è essenziale porre in essere un’azione di coordinamento delle diverse funzioni coinvolte all’interno del gruppo soprattutto quando il controllo delle società estere localizzate nei Paesi a fiscali- tà privilegiata non è diretto ma è esercitato attraverso una lunga e articolata catena partecipativa. Si pensi ad esempio al caso in cui le partecipazioni rilevanti ai fini del regime CFC siano detenute at- traverso sub-holding residenti in Stati (a fiscalità ordinaria) i cui ordinamenti non prevedono nessuna misura di contrasto ai “paradisi fiscali” o che adottano regole basate su principi diversi: la giurisdizio- ne “incriminata” in base alla disciplina italiana potrebbe invece non presentare nessun profilo di ri- schio per l’ordinamento del Paese in cui è residente la sub-holding.
È dunque opportuno che all’interno del gruppo si diffondano criteri comuni e condivisi per individuare e misurare le aree di rischio. A tal fine, è necessaria una stretta e sistematica collaborazione tra le strut- ture competenti – il “Tax Department” e lo “Shareholdings Department” – delle diverse società del gruppo in particolare durante la fase in cui si definisce la “mappa” delle partecipate estere rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina CFC.
La capacità di instaurare un “dialogo” efficace tra le diverse funzioni (non solo tra interlocutori appar- tenenti alla medesima area fiscale ma anche con le strutture espressioni del business dell’impresa) rap- presenta dunque un elemento cruciale per la mitigazione dei rischi in tale contesto.
Fino a quando la normativa prevedeva liste per individuare i tax havens l’individuazione delle “legal entities” interessate poteva basarsi semplicemente sulla diffusione, tra le società del gruppo, della black-list adottata ai fini delle regole italiane. Sulla base dell’elenco dei paradisi fiscali e delle infor-
183 mazioni relative alla struttura partecipativa, l’individuazione delle CFC, anche all’interno di un grande gruppo multinazionale, poteva risolversi in un esercizio relativamente privo di complessità. Oggi tale esercizio è stato reso molto più complesso a causa dell’introduzione, quale parametro per la qualifica- zione di un Paese estero come Paese a fiscalità privilegiata, della tassazione nominale, argomento che si approfondirà nei prossimi paragri.
Oggi più di prima a ben vedere, la raccolta delle informazioni e dei dati economici deve essere effet- tuata in modo efficace, mirato e tempestivo, avvalendosi delle diverse strutture coinvolte nelle società del gruppo nel quadro di un processo coordinato e sistematico179.
5.2.1 Il rischio reputazionale
La presenza di un’impresa in una giurisdizione a fiscalità privilegiata, come implicitamente riconosce la stessa normativa CFC attraverso la previsione di specifiche cause di disapplicazione, può certamen- te essere fondata su motivazioni economiche diverse da quella del semplice conseguimento di un van- taggio fiscale, legate piuttosto alla natura dell’attività svolta e ispirate a concrete logiche di business e di penetrazione nei mercati.
Tuttavia, anche in siffatti casi, la presenza nei paradisi fiscali può sollevare questioni legate alla repu- tazione dell’impresa, posto che l’operato di tali giurisdizioni, come è stato ricordato, viene giudicato severamente, e duramente contrastato, in ambito domestico e internazionale.
Ciò è tanto più vero quando tali Paesi, oltre ad un basso livello impositivo, adottano sistemi non tra- sparenti che non consentono un adeguato scambio di informazioni.
Le iniziative intraprese dal Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Pur- poses, incoraggiate dagli incontri del G-20 di Londra e di Pittsburgh nel 2009, testimoniano gli sforzi compiuti per promuovere l’adozione degli standard OCSE in materia di trasparenza e scambio di in- formazioni e per contrastare l’azione dei territori che non intendono cooperare.
In tale contesto, allo scopo di controllare e ridurre i rischi legati al profilo reputazionale è necessario esercitare un’azione di monitoraggio sulle attività poste in essere dal gruppo nelle giurisdizioni a fisca- lità privilegiata. Tale processo può essere efficacemente sviluppato attraverso l’adozione di una policy specifica riguardante i paradisi fiscali che:
• si collochi nel quadro delle ordinarie regole di governance in materia di reputational risk manage- ment;
• sviluppi un approccio comune, a livello di gruppo, relativamente alla percezione, all’individuazione e alla misurazione dei rischi;
• attribuisca al Tax Department della capogruppo una funzione di controllo e supervisione.
A questi fini è necessario redigere una lista di Paesi a fiscalità privilegiata valida per tutto il gruppo, per assicurare il rispetto delle regole previste da tutti i Paesi in cui il gruppo opera, la lista dovrà essere integrata in funzione delle disposizioni adottate da tali ordinamenti (qualora risultassero avere una por- tata più ampia delle norme italiane).
184 La lista, predisposta dal Tax Department della capogruppo, deve essere aggiornata ciclicamente in funzione delle eventuali modifiche legislative ed approvata dagli organismi posti a presidio dei rischi operativi e reputazionali (ad es., Operational and Reputational Risk Committee). L’elenco deve essere diffuso all’interno del gruppo e adottato da tutte le legal entities.
Su questa base, una efficace azione di controllo (e di mitigazione) dei rischi può essere esercitata pre- vedendo uno specifico processo di approvazione ogni qual volta una società del gruppo intenda porre in essere una nuova iniziativa imprenditoriale in una low tax jurisdiction o voglia procedere all’acquisto di una partecipazione in un soggetto che risiede o opera in uno dei territori inclusi nella lista.
L’iter di approvazione potrebbe svolgersi secondo le seguenti modalità:
• la proposta della nuova operazione viene presentata alla struttura competente della legal entity in- teressata, ovvero al Tax Department locale (ove esistente);
• in caso di valutazione positiva da parte della legal entity, la proposta viene sottoposta al Tax De- partment della capogruppo per ottenere una Non Binding Opinion.
Il processo di valutazione dovrà essere ispirato, tra l’altro, alla finalità di evitare ogni legame con i Paesi annoverati nella black list salvo quando l’operazione sia basata su solide ragioni economiche e si configuri come una attività d’impresa concreta e radicata nel territorio, funzionale alle logiche di busi- ness.