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La nuova fattispecie del reato di dichiarazione infedele

4.9 La rilevanza penale del transfer pricing

4.9.2 La nuova fattispecie del reato di dichiarazione infedele

A seguito delle modifiche apportate all’articolo 4 del D.Lgs. n. 74/2000 ad opera del D.Lgs. n. 158/2015, oggi, in particolare, il reato di dichiarazione infedele si configura quando il contribuente, al fine di evadere le imposte, indichi nelle dichiarazioni elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti a condizione che siano congiuntamente superate due specifiche soglie di punibilità. Le novità riguardano non solo il noto innalzamento delle soglie quanti- tative di rilevanza penale175 della condotta integrante il reato di dichiarazione infedele, ma gli stessi elementi che ne costituiscono la fattispecie.

A seguito della revisione della norma, infatti, gli elementi passivi indicati in dichiarazione tali da far configurare il reato in argomento non sono più quelli “fittizi” bensì quelli “inesistenti”. Tale diversa qualificazione supera le precedenti diatribe sorte in dottrina in ordine alla natura degli elementi passivi

173“a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a € 50.000; b) l’ammontare

complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore ad € 2 milioni”.

174Transfer pricing a basso rischio penale, di Claudia Marinozzi, in "Il fisco" n. 46 del 2015.

175Oggi il reato di dichiarazione infedele si configura nel caso di indicazione in dichiarazione di elementi attivi

inferiori a quelli effettivi o di elementi passivi inesistenti, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, se congiuntamente: (i) l’imposta evasa è superiore ad euro 150.000; (ii) gli elementi attivi sottratti ad imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 10% del dichiarato o comunque a euro 3.000.000.

180 rilevanti ai fini del reato. Con la nuova formulazione, pertanto, rilevano ai fini penali i soli elementi passivi inesistenti, cioè a dire quelli che non trovano alcun riscontro nella realtà.

Per circoscrivere il rischio penale a carico del contribuente in fattispecie di carattere valutativo sono stati introdotti nell’articolo 4 due nuovi commi. In particolare il comma 1-bis che prevede che ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si debba tener conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali.

Nel nuovo comma 1-ter è stato invece stabilito che non danno comunque luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione infedele le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette e che degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella veri- fica del superamento delle soglie quantitative di rilevanza penale della condotta.

Orbene dalla lettura del nuovo articolo 4 emerge che il reato di dichiarazione infedele non dovrebbe ricorrere, in caso di contestazioni in materia di transfer pricing aventi ad oggetto, quanto meno, rettifi- che di costi nonché nelle ipotesi in cui la documentazione delle operazioni intercompany predisposta dal contribuente ai sensi dell’articolo 26 D.L. n. 78/2010 sia idonea a rappresentare agli organi di con- trollo i criteri di pricing adottato.

Nel primo caso, infatti, nell’ipotesi in cui l’Amministrazione sostenga che il contribuente abbia acqui- stato da una consociata estera beni o servizi ad un prezzo maggiore rispetto a quello normalmente ap- plicato in transazioni tra parti terze e per l’effetto contesti l’indeducibilità dei relativi costi, il reato non sarà configurabile in quanto mancherà l’elemento della fattispecie consistente nell’indicazione in di- chiarazione di “elementi passivi inesistenti”176.

Nel secondo caso, il delitto di dichiarazione infedele, non sarebbe configurabile in quanto per espressa previsione normativa non rilevano ai fini del reato le rettifiche derivanti da una non corretta valutazio- ne di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti i cui criteri sono stati indicati in documentazio- ne rilevante ai fini fiscali.

In tal caso infatti (i) la rettifica fiscale operata dall’Amministrazione finanziaria deriva da una diversa valutazione di componenti reddituali, reali ed effettivi, derivanti dalle operazioni di transfer pricing; (ii) i criteri di determinazione del valore delle operazioni contestate sono comunque riportati nella do- cumentazione predisposta in conformità al citato Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle en- trate177.

176Nel caso di specie infatti la contestata operazione infragruppo è stata realmente posta in essere a fronte di cor-

rispettivi effettivamente pagati. Ciò che contestato al contribuente, infatti, non è l’inesistenza del costo sostenuto bensì lo scostamento tra il valore normale ed il prezzo concordato ed effettivamente pagato.

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CAPITOLO QUINTO - LE CONTROLLED FOREIGN COMPANIES

5.1 Il ruolo dei paradisi fiscali nell’ambito della tax governance

Il tema dei paradisi fiscali e la questione dello scambio di informazioni nei rapporti tra le Amministra- zioni sono da tempo al centro di un articolato dibattito, ma soprattutto negli ultimi anni, sono stati og- getto di significativa attenzione da parte di diversi enti ed organismi internazionali.

Mai come in questo periodo è apparsa tanto forte e diffusa la percezione del danno che i paradisi fisca- li possono arrecare alle economie degli Stati a fiscalità ordinaria, poiché i Paesi a fiscalità privilegiata si avvalgono di un sistema che, oltre a bassi livelli impositivi, garantisce anche, in determinati casi, un certo grado di opacità sul piano regolamentare e dello scambio di informazioni. Altrettanto forte e dif- fusa è apparsa la necessità di adottare contromisure efficaci e di porre in essere azioni difensive tese a tutelare la base imponibile dei Paesi a fiscalità ordinaria e a disincentivare la condotta dei paradisi fi- scali.

Il ruolo svolto dall’OCSE in questo campo è stato decisivo: l’obiettivo che l’Organizzazione ha sem- pre perseguito e che nell’ultimo periodo è andato definendosi in modo sempre più chiaro è stato quello di incalzare le giurisdizioni a fiscalità privilegiata affinché abbandonassero sistemi poco trasparenti per consentire un compiuto ed esteso scambio di dati e notizie tra le Amministrazioni.

La stesura delle black list per gli Stati non virtuosi e la compilazione di elenchi dei Paesi collaborativi si sono rilevati strumenti efficaci ed hanno ispirato le legislazioni di diversi Stati membri (tra cui an- che l’Italia, anche se ad oggi nel nostro Paese tali liste sono state eliminate come si vedrà nel proseguo del capitolo).

È in questo contesto che va considerato l’insieme di norme e disposizioni che regolano la materia delle partecipazioni estere detenute in società localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata. La disciplina CFC (controlled foreign companies) è stata adottata nel nostro ordinamento solo nel 2000, ma nel corso de- gli anni ha subito alcune importanti modifiche mirate ad estenderne la portata applicativa e ad aumen- tarne sensibilmente l’efficacia.

La valutazione degli aspetti che riguardano tale fattispecie ha un’importanza centrale nell’ambito delle funzioni di tax governance all’interno di un gruppo multinazionale caratterizzato da una diffusa pre- senza all’estero, posto che la tematica dei paradisi fiscali solleva diverse questioni che vanno affronta- te anche nell’ottica della gestione del rischio reputazionale.

Sul piano organizzativo, l’applicazione della disciplina CFC presenta evidenti profili di complessità e richiede un adeguato processo di raccolta dei dati e delle informazioni, posto in essere e gestito nel quadro di una efficace azione di coordinamento delle diverse funzioni coinvolte all’interno del gruppo. Le specifiche caratteristiche della disciplina italiana, che ha un ambito applicativo ampio e prevede un’articolata serie di adempimenti, concorrono a determinare oneri amministrativi elevati in capo al contribuente a cui viene richiesto un impegno notevole per far fronte ai complessi profili attuativi della normativa.

L’adozione di procedure adeguate per la gestione di tali rischi, anche attraverso l’introduzione di una policy interna che disciplini la materia, nel quadro delle ordinarie funzioni di tax governance, appare

182 un elemento necessario per assicurare una corretta attuazione della normativa e il pieno adempimento degli obblighi che essa prevede178.