2.8.2 Il processo penale
2.8.2.1 La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione III penale,
ché il fatto non sussiste - in relazione alle accuse di evasione fiscale contestate nei confronti di due no- ti stilisti milanesi, Domenico Dolce e Stefano Gabbana. L’assoluzione, che era già stata resa nota nell’ottobre 2014, ma di cui si attendevano le motivazioni , ha quindi portato a definitiva conclusione il contenzioso penale con la Procura di Milano.
La sentenza esclude che l’elusione fiscale possa assumere rilevanza penale, così ribaltando l’impostazione teorica che era stata impressa alla fattispecie dalla precedente sentenza della Sezione II penale n. 7739/201278. Per arrivare a questa decisione, la sentenza sviluppa tre macro-temi: la riaffer- mazione del primato del diritto penale sul diritto tributario; l’interpretazione dei principi, di fonte in- terna e comunitaria, in materia di sede della società; il dolo di evasione, ritenuto differente ed incom- patibile con il dolo di elusione.
78La soluzione negativa della questione della rilevanza penale dell’elusione fiscale è stata nel frattempo messa in
ombra dalle sopravvenienze normative: da un lato, il D.Lgs. n. 128/2015, di codificazione dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale con l’introduzione dell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente e, dall’altro lato, la riforma dei reati tributari, in particolare degli artt. 1 e 3 D.Lgs. n. 74/2000, operata dal D.Lgs. n. 158/2015.
Il D.Lgs. n. 128/2015, ha chiaramente escluso, nell’art. 10-bis, comma 13, della Legge n. 212/2000, che le ope- razioni abusive possano avere rilevanza penale.
L’art. 1, lett. g-bis), D.Lgs. n. 74/2000, come di recente riformato, nel definire le modalità di condotta del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 stesso Decreto, pone una distinzione fra le ope- razioni abusive (definite, a loro volta, dal citato art. 10-bis della Legge n. 212/2000) e le operazioni simulate og- gettivamente e soggettivamente, a voler positivamente suggellare che le operazioni elusive non devono avere ri- levanza penale. Pertanto, qualora fosse possibile qualificare la fattispecie oggetto della recente sentenza “Dolce e Gabbana” in termini di elusione fiscale, essa, oggi, non avrebbe comunque rilevanza penale.
76 La sentenza ha affrontato numerose questioni che, per la loro importanza, sono tali da proiettare la loro valenza al di là del caso specifico.
La sentenza n. 43809/15 ha totalmente ribaltato il disposto di entrambe le pronunce relative all’operazione societaria in questione. La Suprema Corte ha chiarito che il concetto di direzione effet- tiva, quale criterio di determinazione della residenza fiscale di una società (ai sensi della Convenzione Italia/Lussemburgo sul divieto di doppia imposizione, ratificata in Italia con la Legge 14 agosto 1982 n. 747), che fa riferimento al luogo di svolgimento dell’attività, alla residenza degli amministratori ov- vero al luogo di convocazione e riunione dell’assemblea sociale, non può essere utilizzato in modo au- tomatico ove ciò porti a conclusioni inaccettabili tenuto conto della specifica realtà aziendale.
Nel caso in esame i Giudici sono giunti alla conclusione che nei precedenti gradi di giudizio sia stata operata una valutazione avulsa da tale analisi ed ha per questo accolto il ricorso degli istanti specifi- cando che, relativamente a tale aspetto, non potesse ritenersi sussistente un’ipotesi di abuso del diritto atteso che la GADO Sarl aveva natura di società controllata.
Secondo la terza Sezione Penale della Cassazione, identificare tout court la sede amministrativa della società controllata con il luogo nel quale si assumono le decisioni strategiche o dal quale partono gli impulsi decisionali può in questi casi comportare conseguenze aberranti ove esso dovesse identificarsi con la sede della società controllante, in evidente contrasto con le ragioni stesse della politica del gruppo e le esigenze sottese a tale controllo. Ove si agisse in contrasto con tale impianto interpretativo si avrebbe qual risultato quello di realizzare una abrogazione di fatto delle norme che ammettono e di- sciplinano il concetto di eterodirezione delle società controllate di cui agli articoli 2497 e ss. c.c.. I Giudici chiariscono che sarebbe stato auspicabile, nel caso in questione, seguire la scelta del legisla- tore fiscale che, nell’ipotesi di società estere controllate, privilegia il dato dell’effettivo esercizio dell’attività quale elemento selettivo della riconducibilità o meno, in Italia, dei redditi prodotti all’estero.
La Corte, ricostruendo l’iter logico-giuridico seguito nei precedenti gradi di giudizio, individua e chia- rifica l’errore di diritto cui i Giudici erano precedentemente incorsi. La Corte ha specificato che la norma contenuta nel comma 5-bis dell’articolo 73 T.U.I.R. non può essere applicato nei confronti di GADO Sarl atteso che quest’ultima è società controllata e non una controllante.
Inoltre, la controllata aveva una durata di tempo indeterminata, aveva addetto del personale in pianta stabile e provvedeva a compiere nella propria sede lussemburghese tutte le operazioni necessarie al perseguimento del proprio oggetto sociale riguardante la gestione e la tutela dei marchi D&G e Dol- ce&Gabbana.
I Giudici hanno spiegato, inoltre, che la circostanza che una società venga creata in uno stato europeo per fruire di una legislazione fiscale più vantaggiosa non costituisce abuso della libertà di stabilimento né che possa ritenersi sussistente, per ciò solo, una presunzione generale di frode fiscale. Nella senten- za si evince sia stato pienamente compreso dalla Corte il vero fine dell’operazione di ristrutturazione, ovvero: in primo luogo quello di adeguare la struttura societaria alle nuove esigenze strategico- operative tenuto conto della crescita registrata negli anni dai marchi, in secondo luogo l’interesse a ri-
77 durre le difficoltà gestionali connesse ad una proprietà dei marchi divisa nella misura del 50% tra i due stilisti e, soprattutto, l’intenzione di presentare il gruppo ad una piazza più appetibile per i finanziatori in vista della imminente quotazione in borsa.
Tale operazione, pur garantendo vantaggi fiscali ingenti, di fatto favoriva l’interpenetrazione econo- mica del gruppo nel territorio della Comunità, obiettivo, questo, perseguito in ambito internazionale. La Corte di Giustizia Europea ha più volte evidenziato che a un soggetto passivo che ha la scelta tra due operazioni, la sesta direttiva non impone di scegliere quella che implica una maggiore imposta. Al contrario, il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli per- mette di limitare la sua contribuzione fiscale. E ancora, il vantaggio fiscale non è un indebito solo per- ché l’imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fi- scale, diviene tale solo ove lo ottenga attraverso situazione di puro artificio.
La strategia di mercato dei gruppi di imprese non può essere valutata in modo analogo a quella dell’imprenditore singolo che finalizza l’attività al conseguimento di redditività in tempi brevi , dovrà invece svolgersi un’indagine analitica inerente l’esistenza di ragioni organizzative, strutturali e funzio- nali.
La sentenza n. 43809/15, dunque, costituisce un importante precedente che dovrà essere utilizzato da monito dai Giudici che affronteranno casi analoghi inerenti tali strutture societarie.
La Cassazione nel testo della motivazione ha riportato un principio già affermato in precedenza dalla sezione V, secondo cui sussiste abuso del diritto di stabilimento nel caso di esterovestizione, ossia di localizzazione fittizia della residenza fiscale all’estero di una società, ove si accerti che il trasferimento della impresa non vi è stato, ovvero quando l’operazione consista nella creazione di una forma giuridi- ca che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.
Certamente, in caso di società controllata estera (articolo 2359, comma 1, c.c.) non può costituire crite- rio esclusivo di accertamento la sede della direzione effettiva da cui partono gli impulsi gestionali e le direttive amministrative, al contrario deve verificarsi la sussistenza dei requisiti per qualificare la so- cietà quale mero schermo.
Tali accertamenti appartengono alla ricostruzione del fatto di reato e devono essere condotti dal giudi- ce in modo autonomo, secondo le regole tipiche del processo penale che non tollera inammissibili in- versioni della prova mediante il ricorso alle presunzioni fiscali.
Se non vi è costruzione artificiosa, non vi è abuso; per tale ragione, la Corte, riconoscendo nella GA- DO una società reale ed operativa ha accolto il ricorso dichiarando che il fatto ascritto ai ricorrenti, re- lativamente al reato di omessa dichiarazione, non sussiste.
Il reato di omessa dichiarazione di cui all’articolo 5 del D.Lgs. 74/2000, ha natura di reato omissivo proprio a dolo specifico. Ai fini della condanna è necessario, dal punto di vista oggettivo dimostrare la sussistenza di taluni presupposti: la natura dell’operazione; l’assenza di valide ragioni economiche; l’aggiramento di obblighi e/o divieti previsti dall’ordinamento tributario; il conseguimento di riduzio- ne di imposte altrimenti indebiti.
78 Tali elementi di fatto non possono ritenersi dimostrati ricorrendo alle presunzioni tipiche del diritto tributario, ma vanno provate secondo le regole tipiche del procedimento penale; pertanto il giudice può utilmente fare ricorso ai documenti, gli atti, ed i registri non esibiti o trasmessi in ritardo agli or- gani d i polizia giudiziaria o ai funzionari della amministrazione finanziaria, anche se gli stessi non po- tranno essere utilizzati dalla parte in sede di contenzioso tributario.
Ne deriva che, relativamente alla verifica dell’elemento soggettivo del reato di omessa dichiarazione, non basta dimostrare la volontà di porre in essere l’operazione elusiva poiché ciò significherebbe rite- nere sufficiente il dolo generico.
Ciò che al contrario va assolutamente verificata è la volontà di evadere l’imposta mediante le specifi- che condotte tipizzate dal legislatore penale tributario, ovvero il dolo specifico di evasione.
Quest’ultimo, non deve essere confuso con il dolo elusivo, ovvero la consapevolezza della sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo oggetto; tali due elementi, infatti, nel reato di omessa dichiara- zione, provano l’elemento oggettivo della fattispecie, ma non quello soggettivo rappresentato dal fine ulteriore della condotta penalmente rilevante. Ove si operasse in modo difforme si svilirebbero le ra- gioni che hanno condotto il legislatore a diversificare le violazioni tributarie in illeciti amministrativi ed illeciti penali; nel primo caso, infatti, scopo della sanzione è quello di recuperare il gettito fiscale, nel secondo caso, invece, recuperare la persona autrice del fatto illecito.
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CAPITOLO TERZO – LA STABILE ORGANIZZAZIONE: TRA NORMATIVA ED ELU- SIONE
3.1 Il concetto di stabile organizzazione
L'istituto che meglio di tutti ha saputo rispondere alle esigenze del nuovo sistema fiscale internaziona- le dominato dall’economia globale è sicuramente la stabile organizzazione. Infatti, il tema della stabile organizzazione è considerato, ormai, come uno dei concetti fondamentali della fiscalità internazionale, in particolare, rispetto all’importanza che la stabile organizzazione assume nei confronti del potere impositivo degli Stati nazionali.
Gli Stati hanno ideato dei criteri omogenei di regolamentazione, atti ad individuare un collegamento giuridico tra il fatto economico oggetto di imposizione e il momento spaziale, territoriale dello Stato, dando valore ad elementi oggettivi e soggettivi. Si è quindi dato origine a sistemi impositivi a base ter- ritoriale, incentrati sul collegamento materiale del fatto economico al territorio statale, e sistemi di tas- sazione a base mondiale, facenti perno sul concetto di residenza fiscale, grazie al quale si delinea un potere impositivo statale senza limiti spaziali, poiché il soggetto residente dal punto di vista fiscale in un determinato Stato si vede assoggettato a tassazione per i redditi da esso ovunque prodotti. La mag- gioranza degli Stati, infatti, adopera la combinazione dei due sistemi impositivi, a base territoriale ed a base mondiale, affinché nessun utile, realizzato all’interno della sfera di supremazia statale, possa sot- trarsi all’imposizione nazionale. La definizione di un sistema combinato di imposizione comporta, pe- rò, dei seri problemi giuridici che si esplicano con conseguenze rilevanti sul piano del diritto interna- zionale, dando origine al fenomeno della doppia imposizione internazionale.
L’importanza giuridica del concetto della stabile organizzazione vide luce, proprio, in riferimento al problema della doppia imposizione. Nel diritto internazionale tributario la stabile organizzazione è un criterio di attribuzione della potestà normativa ai fini dell’eliminazione della doppia imposizione, mentre nell’ordinamento interno, è un centro di imputazione di situazioni giuridiche dell’impresa79. La stabile organizzazione diventa, quindi, fondamentale per la definizione della territorialità dei redditi d’impresa, al fine di stabilire la potestà impositiva dello Stato della fonte e quello della residenza. In- fatti, la stabile organizzazione è il concetto mediante il quale viene precisato e concretizzato il princi- pio di tassazione del reddito in base al luogo di svolgimento dell’attività d’impresa, che è a sua volta espressione del principio della tassazione del reddito nel Paese alla fonte.
La stabile organizzazione costituisce un elemento di collegamento tra il soggetto non residente e il ter- ritorio nazionale entro i cui confini spaziali tale reddito si è effettivamente concretizzato, dunque, la stabile organizzazione è un criterio di collegamento tra la sfera impositiva degli Stati e i redditi realiz- zati da un’impresa non residente (art. 23 del TUIR). In un contesto caratterizzato dalla presenza mas- siccia di soggetti non residenti, e di una fitta rete di relazioni commerciali e industriali tra Stati diversi, il concetto di stabile organizzazione costituisce un indispensabile parametro per conferire soggettività
79Si parla di centro di imputazione in quanto la stabile organizzazione non è un soggetto giuridicamente distinto
dalla sede centrale, non costituisce cioè un soggetto passivo, per effetto della mancanza di indipendenza e di au- tonomia giuridica dalla casa madre. Tale circostanza è chiaramente evidenziata dall’articolo 73, comma 1, lettera d), del TUIR, che include tra i soggetti passivi IRES “le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità
80 tributaria autonoma nello Stato ai soggetti esteri, per quanto attiene alle operazioni ivi poste in essere e ai relativi redditi, infatti il concetto di stabile organizzazione è correntemente adottato dalla gran parte degli Stati quale presupposto per sottoporre a imposizione nel proprio territorio i redditi prodotti da soggetti non residenti. Si comprende quindi come la stabile organizzazione serva per risolvere il pro- blema inerente alla connessione dei redditi al territorio dello Stato, e si evidenzia l’importanza che tale concetto assume a livello interno ed internazionale. Si noti, quindi, l’importanza, economica e strate- gica, di una definizione normativa della stabile organizzazione, la quale permette di vedere inseriti nel bacino del presupposto d’imposta di uno Stato, redditi realizzati da soggetti non residenti, ma, comun- que, enucleatesi all’interno dello spazio territoriale dello Stato medesimo.
La fonte principale del concetto di stabile organizzazione risulta essere quanto statuito in sede OCSE, in particolare ai sensi dell’articolo 5 del Modello OCSE contro la doppia imposizione internazionale, al quale la stragrande maggioranza degli Stati si è conformata per dare soluzione giuridica al concetto di stabile organizzazione80.