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La flessibilità dei formati e la loro caratterizzazione discorsiva

PARTE I – Profilo storico, apparato teorico e strumenti di analisi

Capitolo 3. Grammatica di Categorie e Costruzioni

3.4. La grammatica di Categorie e Costruzioni

3.4.5. La flessibilità dei formati e la loro caratterizzazione discorsiva

Benché le categorie principali corrispondano alle esigenze semantiche di rappresentare nel sistema le entità del primo e del secondo ordine, non si può affermare che tra una categoria e l’entità designata esista un rapporto biunivoco. È stato infatti già mostrato che attraverso formati nominali si possono veicolare stati di cose diversi dalle entità del primo ordine. Come mettono in luce Simone (2008) e Simone & Pompei (2007) esiste una serie nutrita di valori verbali che possono essere distaccati sui nomi. La distinzione tra i nomi e i verbi non costituisce quindi una dicotomia discreta ma può essere rappresentata nei termini di un continuum in cui si il passaggio da una categoria all’altra avviene in maniera graduale (Ross 1972: 316):

“I will postulate, instead of a fixed, discrete inventory of syntactic categories, a quasi- continuum, […] The distinction between them and the other categories […] is not discrete, but "squishy", possibly even quantifiable.”

Quante più caratteristiche proprie del formato nominale saranno possedute da una singola istanza della categoria, tanto più quest’ultima si mostrerà resistente al distaccamento di tratti verbali. Tale corrispondenza è stata mostrata da Simone (2008: 23) in sistemi linguistici tipologicamente diversi, per i quali la forza predicativa è un tratto molto importante per consentire il distaccamento di coefficienti verbali:

“La proposta che avanzo è che il distacco dei coefficienti verbali sui N vada di pari passo […] col crescere del coefficiente di verbalità incorporata nei N. Quanto più il N è [+V], tanto più

138 Bybee (1984: 28): “In the sample, we find lexically-determined allomorphy for valence in Ainu, Georgian, Malayalam

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su di esso possono distaccare i coefficienti verbali. I Quasi-Nomi restano fuori del campo di distacco dei coefficienti verbali perché ad essi non può essere attribuita nessuna Forza Predicativa.”

Non è quindi possibile definire le distinzioni tra verbi e predicati nei termini di una dicotomia discreta nella quale i confini tra le categorie sono codificati in maniera rigida. Si rivela al contempo necessario elaborare un modo per caratterizzare e distinguere le categorie. Per conciliare le esigenze euristiche di classificazione con la reale situazione linguistica è stato introdotto il concetto di prototipicità, mutuato dalla psicologia. Conformemente a questo le categorie vengono definite grazie agli esemplari che ne rappresentato maggiormente le caratteristiche.

I motivi profondi che giustificano la dicotomia tra formati verbali e nominali non rimandano esclusivamente alle proprietà semantiche della entità designate. Hopper & Thompson (1984: 156) hanno infatti messo in evidenza che le caratteristiche fondamentali che oppongono le categorie di nome e verbo possono essere ricondotte al ruolo che le diverse entità svolgono nel discorso:

“In this paper we hope to present evidence that the lexical semantic facts about nouns and verbs are secondary to their discourse roles, and that the semantic facts (perceptibility, etc.) which are characteristic features of prototypical nouns and verbs are in fact derivative of, and perhaps even secondary to, their discourse roles. This evidence shows that the extent to which prototypical nounhood is achieved, as manifested in morphosyntactic features, is iconically a function of the degree to which the form in question serves to introduce a discrete participant into the discourse.”

Il formato nominale, designando entità tendenzialmente stabili e non soggette a repentine fluttuazioni temporali, è una risorsa linguistica ottimale per veicolare la continuità topicale. Per tale ragione i pronomi, caratterizzati dalla funzione anaforica di rimandare a referenti già introdotti nel discorso, presentano tipicamente tratti morfosintattici del formato nominale. I nomi stessi, inoltre, possono essere impiegati nel discorso per mantenere la continuità referenziale. La necessità di mantenere uno snodo informativo nucleare e stabile determina alcune peculiarità del formato nominale, quali la struttura sintagmatica spesso poco articolata (sintagma nominale e modificatori). Il verbo invece rappresenta la parte informativamente più densa poiché, da un lato, indicando le situazioni dinamiche, designa i mutamenti che si producono nella realtà e pertanto introduce pertanto le novità, dall’altro, descrivendo il modo di articolare le entità e i loro rispettivi rapporti, dispone le entità in un determinato schema configurazionale; si consideri ad esempio Hopper (2013: 310):

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“For nouns, this function was to introduce a new, previously unspecified participant into the discourse. For verbs, it was to report a new, foregrounded event. Forms assumed the external attributes of noun or verb respectively only as they took on these functions. These attributes consisted of things like case, number, and gender suffixes for nouns, and tense, aspect, and modality markers for verbs.”

Sul nucleo verbale si addensa quindi una rilevante salienza informativa, in virtù della quale il predicato coincide spesso con la parte rematica dell’enunciazione. Il sintagma verbale quindi, a causa della rilevante quantità di informazioni che condensa, non rappresenta una porzione enunciativa facilmente manipolabile per fini discorsivi. La situazione del predicato risulta speculare rispetto a quella del nome che, come è stato intuito da Hopper & Thompson (1984), designa entità che possono essere manipolate a livello di discorso. Tale idea ha trovato generale consenso nella letteratura tipologica (Baker 2003: 96):

“My theory thus shares a point of similarity with Hopper and Thompson’s (1984) intuition that nouns indicate “discourse manipulable participants” – i.e. they are uniquely suited to reference-tracking. This idea also bears a more general similarity to the widespread intuition that nouns are inherently associated with the function of reference (see, for example, Croft [1991])”

Nel lavoro verrà messo in evidenza che anche i processi di trasposizione di una categoria in un’altra possono essere determinati da esigenze di natura pragmatica che sorgono nell’articolazione delle forme linguistiche nel discorso. Tale regolarità si mostra specialmente nella nominalizzazione, ovvero nel processo attraverso il quale un verbo assume le caratteristiche morfosintattiche del nome. Il verbo nominalizzato può infatti essere utilizzato nella posizione topicale, perdendo il carico informativo proprio della frase piena.

Nei prossimi paragrafi verranno definiti i criteri formali che permettono di individuare i confini categoriali dei formati principali. È necessario chiarire primariamente i motivi che inducono a ritenere sovraordinate le categorie di nome e verbo.