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“Flessibilità” degli orari di lavoro e salute: per una ergonomia degli orari di lavoro

Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università di Verona, Verona

Introduzione

Nell’odierna “Società delle 24 ore” il tempo è diventa-to la principale dimensione caratterizzante le attività uma-ne, essendo una componente strategica dell’organizzazio-ne del lavoro attraverso la quale vengono declinate le di-verse modalità di rapporto occupazionale: tempo pieno, part-time, lavoro a turni, lavoro notturno, settimana com-pressa, banca delle ore, orari variabili, orari flessibili, ora-ri irregolaora-ri, ecc.

Tutto ciò è idealmente e dovrebbe essere concretamen-te orientato ad aumentare le possibilità e le capacità di la-voro sia dell’individuo che dell’impresa; il problema che si pone è quello di verificare se ciò abbia o meno interferen-ze con la salute degli operatori. Gli orari di lavoro “flessi-bili” appaiono oggigiorno una strategia in grado di dare ef-fetti positivi in tal senso, ma occorre premettere che at-tualmente, a parte il lavoro notturno (1), abbiamo scarse conoscenze circa il loro impatto sulla salute e il benessere delle persone.

Innanzitutto è opportuno chiarire cosa si intenda per “flessibilità”, parola o concetto che attualmente appare ave-re diversi significati in ave-relazione alle diverse condizioni, prospettive e modelli operativi si vogliano considerare. Co-me opportunaCo-mente sottolineato in una recente rassegna (2), la “flessibilità del lavoro emerge come un concetto ete-rogeneo che comprende aspetti di tipo quantitativo e quali-tativo, nonché di ordine interno ed esterno all’impresa, con tutte le loro possibili combinazioni”. Si può pertanto avere una “flessibilità” di tipo “numerico” (contratti a tempo de-terminato o indede-terminato, lavoro a domanda), “geografi-co” (delocalizzazioni, telelavoro), “funzionale” (arricchi-mento delle mansioni, lavoro di gruppo o a progetto) e “temporale” (part-time, straordinario, lavoro a turni).

La ricerca di modi e metodi volti ad aumentare la “fles-sibilità” degli orari di lavoro comprende quindi diversi ti-pi di interventi che si possono articolare sia nel breve che nel lungo periodo in relazione alle diverse scale temporali prese a riferimento. In pratica essi possono riferirsi a: a) aumento degli orari di lavoro con corrispettivo aumento della retribuzione (ad es. lavoro straordinario, pensiona-mento posticipato); b) modulazioni dello stesso numero di ore lavorate (ad es. lavoro turni, orari di inizio e fine lavo-ro variabili, banca delle ore); c) riduzione dell’orario di la-RIASSUNTO

La ricerca di modi e metodi volti ad aumentare la “flessibilità” degli orari di lavoro comprende diversi tipi di interventi che dipendono da scelte politiche e di organizzazione del lavoro, in ragione di interessi riguardanti l’impresa, l’individuo e la collettività. Il problema che si pone è quello di verificare se ciò abbia o meno interferenze con la salute degli operatori. Sulla base dei dati raccolti nell’ultima indagine sulle condizioni di lavoro in Europa (EURF 2000), emerge come i lavoratori occupati in tipologie di orario diverse dal tradizionale lavoro giornaliero sono la stragrande maggioranza, e che forme organizzative in cui è consentita una maggiore flessibilità degli orari, in termini di maggiore autonomia decisionale della persona, si associano e migliori livelli di salute e benessere. Parole chiave: orari di lavoro, flessibilità, variabilità, salute.

ABSTRACT

[Flexibility of working hours and health: towards ergonomics of working time]

The search for ways and methods able to increase the “flexibility” of working hours deal with several forms of intervention that depend on political choices and work management, according to specific interests and needs of the companies, the individual worker and the whole society. The main problem on the carpet is to evaluate whether that interferes with worker’s health and well-being. According to the data of the last European Survey on Working Conditions (EURF 2000), it appears the workers engaged in working hours different from the traditional daywork are nowadays the vast majority of the population; moreover, organisational forms which allow more flexibility, that is more autonomy, in working time arrangement are associate to better health and well-being.

374 G Ital Med Lav Erg 2005; 27:3 www.gimle.fsm.it voro a parità di retribuzione (lavoro nel week-end,

pre-pen-sionamento); d) riduzione dell’orario di lavoro con ridu-zione di retriburidu-zione (part-time, job sharing); e) riduridu-zione di orario con trasferimento dei costi alla Comunità (ad es. contratti di solidarietà).

Le modalità di attuazione dipendono dai fattori preva-lenti che di volta in volta influenzano le scelte politiche e di organizzazione del lavoro, in ragione di interessi riguar-danti l’impresa, l’individuo e la collettività.

Nel breve periodo gli orari di lavoro possono essere “flessibilizzati” in termini di aumento e/o diminuzione e/o posizionamento delle ore di lavoro giornaliero o set-timanale sia per far fronte a variazioni temporali della do-manda di beni e servizi, sia per ridurre i costi di produ-zione. Nel lungo periodo tali interventi sono maggior-mente condizionati da pianificazioni produttive e sociali, così come da adattamenti e aggiustamenti tra condizioni di vita e di lavoro.

Il crescente interesse verso la flessibilità di carattere “temporale” è quindi in relazione sia a politiche economi-che e occupazionali, sia ad un progressivo spostamento dell’interesse dagli aspetti quantitativi a quelli qualitativi del rapporto tra lavoro e vita sociale. Ci sono pertanto di-versi punti di vista nei riguardi della “flessibilità”, soprat-tutto tra datori di lavoro e lavoratori. I primi sono mag-giormente orientati ad interpretarla in termini di pronto adattamento dei sistemi di produzione alla variabilità del-la domanda di mercato e alle innovazioni tecnologiche e organizzative messe in atto (“Flessibilità orientata all’im-presa”); mentre i secondi sono maggiormente propensi a considerarla un importante strumento di miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro, in grado di atte-nuare le costrizioni del lavoro e migliorare la qualità del-l’impiego (“Flessibilità orientata alla persona”). In altri termini l’impresa moderna è sempre più preoccupata di spondere prontamente alla domanda di mercato, che ri-chiede una estensione delle ore produttive e un loro conti-nuo aggiustamento alle più o meno periodiche fluttuazio-ne della domanda. D’altra parte, i lavoratori stanno pofluttuazio-nen- ponen-do sempre più attenzione ad un rapporto più bilanciato e armonico tra lavoro e vita privata, tenendo anche conto sia delle peculiarità di gruppi e individui diversi (ad es. lavo-ratori anziani, disabili, donne con carichi familiari, bisogni culturali e di formazione professionale) che delle intera-zioni sociali (uso del tempo libero, coinvolgimento nel so-ciale). Anche la Società è interessata a tale flessibilità in quanto ne possono derivare molti vantaggi in termini di at-tività sociali ed erogazione/fruizione di servizi.

L’obiettivo di aumentare la produzione di beni e servi-zi attraverso una maggiore flessibilità è presente a tutti; le difficoltà stanno nel trovare un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco, e nell’evitare i possibili svantaggi che ne possono derivare, sia per l’impresa (ad es. competizio-ne distorta) che per l’individuo (ad es. lavoro precario). La ricerca di un ragionevole compromesso tra le diverse esigenze pone il problema del grado di discrezione e di autonomia che possono o devono avere entrambe le parti. Ciò è il frutto di un’attenta ed intelligente opera di media-zione che deve portare ad un giusto rapporto costi/benefi-ci per entrambi.

Il lavoro a turni, ad esempio, mette l’impresa in grado di variare e incrementare la produzione, così come la So-cietà di estendere l’erogazione dei servizi, ma può causare serie interferenze con la salute e il benessere dei lavorato-ri, con conseguenti aggravi di tipo economico e sociale. È necessario quindi adottare appropriate contromisure sia in termini di organizzazione dei turni, sia in termini di com-pensazioni di carattere sociale, in grado di attenuare gli ef-fetti sfavorevoli di tale condizione. Efef-fetti simili possono essere attesi anche in relazione ad orari prolungati di lavo-ro o ad eccessiva irregolarità e imprevedibilità nel rappor-to tra tempi di vita e tempi di lavoro.

Soggetti e Metodi

Nell’ambito di un progetto europeo SALTSA sugli ora-ri flessibili (3), si è utilizzato il database dell’ultima inda-gine sulle Condizioni di Lavoro in Europa effettuata nel 2000 dalla Fondazione Europea di Dublino (4). Essa ha ri-guardato 21505 soggetti degli allora 15 stati membri della Unione Europea, bilanciati per paese, età, sesso e tipo di impiego: in particolare sono stati inclusi 3595 lavoratori autonomi e 17910 lavoratori dipendenti, 11815 uomini e 9690 donne.

Il questionario era composto di 70 domande relative a settore lavorativo, orari di lavoro, ambiente di lavoro, li-vello retributivo, fattori di rischio e condizioni di salute.

Si sono in particolare analizzate le domande relative agli orari di lavoro e, in base ad alcune di esse, si sono de-rivati due indici:

il primo, denominato “variabilità” degli orari, più ri-spondente alla definizione di “flessibilità orientata al-l’impresa” ossia maggiormente soggetta a decisione e controllo aziendale, e caratterizzata dal fatto di: a) non lavorare lo stesso numero di ore ogni giorno: b) di non lavorare lo stesso numero di giorni la settimana; c) di non avere orari fissi di inizio e fine turno;

il secondo, denominato “flessibilità”, più rispondente alla definizione di “flessibilità orientata all’individuo” e cioè più soggetta alla discrezione e al controllo indi-viduale, e caratterizzata dall’essere in grado di: a) in-fluenzare i propri orari di lavoro; b) prendere pause a propria discrezione; c) essere liberi di scegliere i gior-ni di riposo e i periodi di ferie.

Tali indici sono stati posti in relazione con i principali disturbi lamentati dai lavoratori intervistati.

L’analisi statistica è stata condotta mediante il softwa-re STATA 8.0.

Risultati

L’analisi del campione generale in relazione alle di-verse forme di organizzazione degli orari evidenza come, una volta sottratte le persone che lavorano ad orari “non-standard” (ossia più di 40 ore/sett., più di 10 ore/die, di notte, la Domenica, a turni, a tempo parziale e di Sabato), alla fine solo il 24% dei lavoratori, in particolare il 27% dei dipendenti e l’8% degli autonomi, svolgono

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te dei primi lavora più di 40 ore settima-nali, nel fine settimana, nelle ore serali e notturne. D’altro canto essi riferiscono di avere molto più autonomia nell’orga-nizzazione degli orari di lavoro, che tut-tavia risulta del tutto ininfluente sulla lo-ro vita familiare e sociale.

Anche in riferimento al sesso si no-tano delle importanti differenze, ove le donne lavorano maggiormente a part-ti-me e part-ti-meno di notte, part-ti-mentre denunciano una minore possibilità di influenzare i loro orari di lavoro.

L’Italia, rispetto alla media europea, si caratterizza per una minor percentua-le di lavoratori a part-time (10% vs. 16%), con lavoro notturno (14% vs. 18%) o di Domenica (22% vs. 28%), ma per una maggior percentuale di per-sone che lavorano più di 40 ore setti-manali (28% vs. 21%), in turni giorna-lieri variabili (20% vs, 16%) e di Sabato (61% vs. 51%); mentre è sostanzialmente nella media europea per quanto riguarda le persone che lavorano più di 10 ore al giorno (34%) e nelle ore serali (45%).

Il confronto tra le due forme di “flessibilità degli ora-ri di lavoro”, ossia tra quella più oora-rientata all’individuo, definita “flessibilità”, e quella più orientata all’impresa, definita “variabilità”, mostra come esse abbiano un dif-ferente impatto sulle condizione di salute e di benessere dei lavoratori intervistati: la prima ap-pare essere associata a migliori condi-zioni di salute e di benessere (in parti-colare per quanto riguarda la soddisfa-zione lavorativa, la fatica e l’integra-zione sociale), mentre la seconda ap-pare avere una influenza più negativa (Tabella II).

L’analisi logistica multipla, volta ad indagare la loro interazione con altri fattori personali (età, sesso, condizioni familiari) e organizzative (carico di la-voro fisico e mentale, pressione del tempo, lavoro a turni e notturno, livello professionale) evidenzia come orari ri-gidi di lavoro si associno in modo si-gnificativo a una maggiore prevalenza di disturbi digestivi (OR= 2.1), fatica cronica (OR=1.8), interferenze con la vita familiare e sociale (OR=2.3) e in-soddisfazione sul lavoro (OR=2.8), ri-spetto agli orari flessibili (3).

Un’ulteriore analisi fattoriale ha mostrato che le condizioni in cui si as-sociano una scarsa “flessibilità” e un’elevata “variabilità” degli orari di lavoro sono maggiormente correlate a minori livelli di benessere psico-fisico (in particolare per quanto riguarda i di-sturbi del sonno, la fatica cronica, lo Figura 1. Distribuzione percentuale del campione in relazione alla presenza o

meno delle condizioni di orario considerate

Tabella I. Distribuzione % delle diverse forme di orario nei 15 Paesi dell’Unione Europea nel 2000 mente il loro lavoro nel cosiddetto orario “normale” gior-naliero, ossia tra le 07.30-08 del mattino e le 17-18 del pomeriggio, dal Lunedì al Venerdì, e per un massimo di 40 ore settimanali (Figura 1).

La Tabella I riassume la distribuzione del campione in relazioni alle diverse tipologie di orario di lavoro, indicando una notevole variabilità e diversificazione. Emergono chia-ramente delle significative differenze tra lavoratori autono-mi e lavoratori dipendenti, ove in particolare la maggior

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stress percepito e la vita sociale), mentre una bassa “va-riabilità” e una maggiore “flessibilità”, ossia autonomia negli orari, hanno un effetto opposto (6).

Conclusioni

Appare importante analizzare attentamente le diverse forme di organizzazione degli orari di lavoro onde valuta-re meglio il loro impatto sulle condizioni di salute, dal mo-mento che le conoscenze (a parte il lavoro notturno) sono ancora molto scarse in merito (3,6,7). È altresì importante tenere in considerazioni il grado di autonomia e di con-trollo che il soggetto riesce ad avere sugli orari, in quanto ciò può compensare notevolmente i disagi e i possibili ef-fetti negativi sul suo benessere psico-fisico. È necessario altresì approfondire e ottenere un generale consenso sulla definizione di “flessibilità” degli orari di lavoro, in modo da poter poi confrontare diverse situazioni in maniera omogenea, oltre che promuovere azioni ed interventi atti ad introdurre forme positive di flessibilità.

Bibliografia

1) Costa G. Lavoro a turni e notturno. Organizzazione degli orari di la-voro e riflessi sulla salute. Firenze, SEE Editrice, 2003.

2) Goudswaard A, de Nanteuil M. Flexibility and working conditions: a qualitative and comparative study in EU countries. Dublin, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions Pub, 2000.

3) Costa G, Åkerstedt T, Nachreiner F, Carvalhais J, Folkard S, Frings Dresen M, Gadbois C, Gartner J, Grzech Sukalo H, Härmä M, Kan-dolin I, Silvério J. As time goes by - Flexible work hours, health and wellbeing. Stockholm. Working Life Research in Europe Report No. 8. Stockholm, The National Institute for Working Life, 2003. 4) Paoli P, Merllié D. Third European Survey on Working Conditions

2000. Dublin, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions Pub, 2001.

5) Bohnert V, Janssen D, Nachreiner F. Effects of flexible working hours on health and well-being - results form a secondary analysis of a European survey. Shiftwork Int Newsl 2003; 20: 421.

6) Janssen D, Nachreiner F. Health and psychosocial effects of flexible working hours. Rev Saude Publica 2004; 38(Supl): 11-18. 7) Meijer EM, Skuiter JK, Frings-Dresen MHW. Review on the effects

of working time and recovery aspects on work ability of (older) workers. Amsterdam, Coronel Institute, Rapport no. 01-16, 2001.

Tabella II. Prevalenza % dei principali disturbi in relazione alla condizione di maggiore o minore “variabilità” e “flessibilità” negli orari di lavoro (* p<.001 al χ2)

Richiesta estratti: Prof. Giovanni Costa, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università di Verona, Strada Le Grazie 8, 37134 Verona, tel. 045 8027634, fax 045 8027633, e-mail giovanni.costa@univr.it

G Ital Med Lav Erg 2005; 27:3, 377-379 © PI-ME, Pavia 2005 www.gimle.fsm.it

A. Paoletti, L. Tobia

Diagnosi e denuncia di malattia professionale: un’attività sempre

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