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Focus sulla situazione italiana

Nel documento Il rischio di liquidità in banca (pagine 103-129)

3. IMPATTI SULLE BANCHE DELLA NUOVA REGOLAMENTAZIONE

3.4 Focus sulla situazione italiana

Dopo aver analizzato nel dettaglio le implicazioni che i due nuovi indicatori quantitativi di liquidità di breve e medio lungo periodo, hanno sul passivo, sull’attivo e sulla redditività degli intermediari bancari, è doveroso fare un focus sulla situazione del sistema bancario italiano.

Mentre quasi tutti i principali stati europei, tra cui la Gran Bretagna, Germania e Irlanda in primis, hanno erogato tra il 2008 e il 2012 rilevanti quote di interventi pubblici in miliardi di euro a favore della ricapitalizzazione delle loro banche, il governo italiano ha previsto una quota inferiore di aiuti che hanno assunto carattere simbolico ed oneroso come i “Tremonti bond” e i “Monti bond”96

.

Il contesto operativo bancario italiano si caratterizza così per un notevole sforzo di ricapitalizzazione da parte degli intermediari bancari interamente sostenuto dal settore e

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Associazione bancaria italiana, “Banche operanti in Italia: il contesto operativo di riferimento”, Giugno 2014.

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dai suoi azionisti volto ad incrementare l’erogazione del credito e da un inesorabile declino della redditività registrato dall’avvio della crisi che evidenzia lo svantaggio competitivo del settore nel confronto intra-europeo in termini di perdita di prodotto interno lordo, della produzione industriale e degli investimenti fissi.

Tutto ciò ha provocato una riduzione della domanda di credito, creato un ambiente di bassi tassi di interesse in cui gli spread commerciali sono crollati e prodotto un marcato incremento delle perdite su crediti a riflesso del pesante aumento delle sofferenze.

È importante infatti che una banca non si limiti all’attività di pura intermediazione ma completi la stessa con un’attività in proprio, di lungo termine, realizzata tramite un proprio portafoglio composto da titoli di investimento e/o di negoziazione o tramite le partecipazioni di imprese delle quali cura operazioni di finanza straordinaria o valuta le rispettive prospettive di crescita per il recupero di crediti deteriorati.

Oltre alle risorse umane, patrimoniali e all’information and communication technology (ICT), che ha effetti sulle relazioni e sulle azioni della clientela, anche le condizioni dell’ambiente esterno, il grado di integrazione dei mercati monetari e finanziari e l’affermarsi dell’economia globale, hanno condizionato in modo determinante le modifiche dei business plans delle aziende di credito italiane agevolando lo sviluppo di nuove operatività in campo industriale e sviluppando così un nuovo modo di fare banca grazie a processi di ristrutturazione del sistema creditizio e finanziario.

La ristrutturazione del sistema bancario italiano negli anni novanta, realizzata tramite un processo di privatizzazione delle casse di risparmio, degli istituti di credito di diritto pubblico, degli istituti di credito speciale e tramite fusioni e acquisizioni, aveva dato origine a gruppi bancari che presentavano una gestione contemporanea sia di credito ordinario, in grado di mobilitare capitali di rischio privati, e sia di credito non ordinario da parte di risorse umane più generiche che specialiste, senza poter contare su politiche di raccolta puntuali e aumentando di fatto il rischio di trasformazione delle scadenze. Da qui è derivata l’esigenza di una maggiore concentrazione del sistema creditizio nazionale organizzandolo in gruppi con specializzazioni funzionali e con autonome politiche di raccolta di fondi da parte delle controllate dislocate sul territorio. In Italia, senza alcuna prospettiva strategica, la ricerca delle dimensioni dei gruppi creditizi ha seguito

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principalmente la via delle fusioni cercando di salvaguardare le posizioni dei manager e dei soci di riferimento97.

I gruppi bancari italiani, dopo quattro anni consecutivi in perdita, sono tornati a registrare risultati positivi a partire dal 2015. Sull’andamento generale del settore negli ultimi anni hanno pesato le tensioni sui margini, le pesanti rettifiche su crediti e le continue richieste di patrimonializzazione da parte delle autorità di vigilanza.

Ad oggi, l’attenzione delle banche italiane si sta progressivamente focalizzando sulla raccolta indiretta, sulla razionalizzazione nell’uso delle risorse, su una maggiore funzionalità ed efficienza delle strutture e sistemi operativi e su una ricerca di maggiori margini commissionali per perseguire un aumento dei livelli di produttività e redditività. Per capire quanto e come il Liquidity Coverage Ratio e il Net Stable Funding Ratio stanno determinando conseguenze ed implicazioni nelle banche italiane occorre leggere ed analizzare nel dettaglio i dati relativi alla raccolta, alla quantità e qualità degli attivi, alla redditività, gli aggregati principalmente condizionati dalla progressiva entrata in vigore dei nuovi vincoli quantitativi di liquidità.

Nel mese di giugno 2018 l’indice medio di copertura della liquidità (Liquidity Coverage Ratio, LCR) era diminuito al 159% (Figura 9), un livello comunque ampiamente superiore al minimo regolamentare del 100%. Secondo diverse simulazioni, che utilizzano i rendimenti dei titoli e i dati sull’LCR registrati alla fine di giugno, un aumento di 100 punti base dell’intera curva dei tassi sui titoli di Stato ridurrebbe l’LCR medio al 133%. L’indicatore diminuirebbe dal 145% al 120% per le banche significative e dal 232% al 203% per quelle meno significative.

Ad oggi possiamo affermare con certezza che il sistema bancario italiano dispone di riserve di liquidità sufficienti e in grado di far fronte a eventuali deflussi netti in situazioni di stress.

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Figura 9

Fonte: Banca d’Italia, “Rapporto sulla stabilità finanziaria”, Novembre 2018

3.4.1 IL PASSIVO

Come noto il Liquidity Coverage Ratio e il Net Stable Funding Ratio generano per l’intermediario bancario prima di ogni cosa un vincolo nella composizione del suo passivo, fonte di gestione del problema della liquidità.

Muovere dalla centralità del ruolo del passivo e rispondere coerentemente alle richieste della vigilanza per mezzo dei vincoli di liquidità LCR e NSFR ha significato per le banche italiane impostare, ricercare e realizzare politiche di raccolta stabili, con una scadenza eccedente l’orizzonte temporale di misurazione degli indicatori, principalmente rivolte alla clientela al dettaglio e che portino benefici nel calcolo degli ipotetici deflussi di cassa nel caso del Liquidity Coverage Ratio ed una predilezione per i depositi retail e small business nel caso del Net Stable Funding Ratio.

A febbraio 2019 i prestiti al settore privato, corretti per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari, sono cresciuti dell’1,2% su base annua (0,9% in gennaio). I prestiti alle famiglie sono cresciuti del 2,6%, mentre quelli alle società non finanziarie sono diminuiti dello 0,1% (erano calati dello 0,7% in gennaio).

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Figura 10

Fonte: Banca d’Italia, “Banche e moneta: serie nazionali”, Statistiche, 9 Aprile 2019

L’evoluzione temporale delle principali passività bancarie con i residenti in Italia, in conformità con i vincoli di composizione derivanti dal LCR e dal NSFR, predilige i depositi in conto concorrente.

I depositi del settore privato difatti sono cresciuti del 2,8% su base annua (2,3% nel mese precedente) mentre la raccolta obbligazionaria è diminuita del 10,3% (-10,4% nel mese precedente).

Figura 11

Fonte: Banca d’Italia, “Rapporto sulla stabilità finanziaria”, Novembre 2018

Diversamente, il ricorso al rifinanziamento presso l’Eurosistema delle controparti operanti in Italia si mantiene stabile, intorno a 240 miliardi, la raccolta al dettaglio come detto è aumentata, i depositi hanno continuato a crescere, sostituendo per quasi due terzi il calo

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delle obbligazioni detenute dalle famiglie, in forte diminuzione dall’inizio del 2018 a causa dei mancati rinnovi e delle vendite di obbligazioni per le quali è venuto meno il trattamento fiscale di favore rispetto ai depositi bancari e postali.

La ricomposizione tra diversi strumenti finanziari riflette sia le strategie di offerta delle banche per contenere i costi della raccolta, sia l’esigenza dei risparmiatori di mantenere scorte liquide a fronte della crescita degli investimenti in strumenti finanziari più rischiosi in conformità con i vincoli di composizione derivanti dal LCR e dal NSFR.

Figura 12

Fonte: Banca d’Italia, “L’economia italiana in breve”, n. 144, aprile 2019

L’aumento dell’incidenza della raccolta al dettaglio e la diminuzione dei prestiti concessi hanno determinato per le banche la riduzione della parte di prestiti non finanziati dalla raccolta al dettaglio: il funding gap. Come noto, questo non è solo una misura in senso stretto della liquidità ma strutturando l’insieme di strumenti di debito a breve e a medio lungo termine che vengono utilizzati per aumentare il grado di leva finanziaria utilizzabile per espandere le attività e che generano il fabbisogno di contante a trenta giorni che si trova proprio al denominatore del Liquidity Coverage Ratio, è divenuto un vincolo, obiettivo imprescindibile nelle strategie di pianificazione e gestione di tutti gli intermediari bancari, in modo particolare quelli dei paesi maggiormente colpiti dalla gravità della crisi finanziaria.

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La relazione tra LCR e Funding Gap è dunque inversa: per avere un Funding Gap nullo, ovvero una raccolta diretta esattamente pari agli impieghi, il LCR deve essere superiore a 1 e ogni miglioramento del primo, dato dalla raccolta diretta superiore agli impieghi, implica aumenti del secondo98. Tutto ciò presuppone una crescita del peso della raccolta diretta al dettaglio, privilegiata nell’applicazione dei run off , un aumento della componente costituita da obbligazioni al dettaglio oltre che un allungamento della sua durata media; entrambe le circostanze tendono però a fare aumentare il costo del funding interno con implicazioni non indifferenti in termini di redditività.

Questo è quello che sta avvenendo anche in Italia: il LCR, generando nuovi vincoli alla gestione del passivo che comportano la necessità di aumentare il funding interno più stabile, determina un calo del funding gap, più consistente nelle banche più piccole motivato dalla loro tipica vocazione traditional, sia per l’aumento dell’incidenza della raccolta al dettaglio, spinta dall’aumento dei depositi che ha più che compensato la forte riduzione delle obbligazioni collocate presso le famiglie, e sia per la diminuzione dei prestiti concessi alla clientela.

Questa misura è costantemente monitorata nelle sue dinamiche da parte delle autorità di vigilanza ed è divenuta un imprescindibile vincolo ed obiettivo delle strategie di managament degli intermediari bancari italiani maggiormente colpiti dalla crisi.

Coerentemente al LCR e al NSFR le banche italiane muovono alla ricerca delle fonti quanto più stabili e di elevata qualità possibile prima di scegliere il modo più efficace ed efficiente di utilizzarle. Dai due vincoli discendono la predilezione e crescita delle componenti di deposito retail nella raccolta, la riduzione dei tassi ad essi applicati e la diminuzione necessaria della quota di prestiti non finanziata da raccolta al dettaglio, il funding gap.

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M. Lossani, P. Sella, A. Bombassei, “Banche e imprese dopo la lunga recessione: la sfida della crescita”, ASSBB, Marzo 2014.

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Figura 13

Fonte: Banca d’Italia, “L’economia italiana in breve”, n.144, aprile 2019

3.4.2 L’ATTIVO

Conseguentemente alla stabilizzazione della raccolta, gli intermediari sono vincolati dal LCR e dal NSFR ad una composizione coerente dei propri impieghi con conseguenti effetti sulla qualità degli stessi e sul finanziamento dell’economia reale.

Per gli intermediari bancari italiani soddisfare il vincolo di liquidità di breve periodo (LCR) significa aumentarne progressivamente il valore sia per mezzo di un incremento dell’high quality liquidity asset realizzato tramite l’emanazione di capitale proprio in misura maggiore rispetto al debito con conseguente riduzione della leva finanziaria (deleveraging), e tramite la riduzione dei prestiti concessi a breve termine ed estensione delle loro scadenze oltre l’anno, e sia per mezzo di una diminuzione dell’aggregato posto al denominatore (deflussi netti di cassa) ottenuta attraverso la sostituzione di titoli a basso rating con altri di qualità superiore e la riduzione dei prestiti al settore privato a lungo termine.

Dunque sia il LCR che il NSFR, secondo il quale i prestiti con vita residua inferiore a un anno devono essere finanziati da raccolta stabile, disincentivano fortemente il sostegno all’economia reale tramite le aperture di credito in quanto queste vengono considerate ai sensi del LCR come un deflusso di cassa entro 30 giorni e come un'attività stabile richiedente la dovuta copertura in termini di provvista su base annua ai sensi del NSFR;

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anche le banche italiane preferiscono concedere prestiti a breve termine piuttosto che quelli a medio-lungo termine in quanto meno pesanti ai fini del calcolo del NSFR e potenzialmente vantaggiosi ai fini del LCR.

Tra i tanti provvedimenti adottati in ambito europeo , nella riunione del 10 aprile 2019 il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE)99 ha deciso che i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale rimarranno invariati rispettivamente allo 0,00%, allo 0,25% e al −0,40%. Il Consiglio direttivo si attende che i tassi di interesse di riferimento della BCE si mantengano su livelli pari a quelli attuali almeno fino alla fine del 2019 e in ogni caso finché sarà necessario per assicurare che l’inflazione continui stabilmente a convergere su livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio termine. È stato deciso inoltre che sarà introdotta una nuova serie di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (OMRLT III) trimestrali, a partire da settembre 2019 fino a marzo 2021, ciascuna con scadenza a due anni. Queste nuove operazioni contribuiranno a preservare condizioni favorevoli del credito bancario e l’ordinata trasmissione della politica monetaria. Nell’ambito delle OMRLT III, le controparti potranno ottenere finanziamenti per un importo pari a fino il 30% dello stock di prestiti idonei al 28 febbraio 2019 con tasso indicizzato al tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali per la durata di ciascuna operazione. Come il programma di OMRLT in essere, le OMRLT III incorporeranno incentivi al fine di preservare condizioni creditizie favorevoli.

A riguardo è importante sottolineare come ad oggi in Italia aumentino principalmente e quasi esclusivamente i prestiti concessi alle famiglie e alle imprese che presentano condizioni finanziarie solide.

Il credito al settore privato, alle società non finanziarie e alle famiglie, dopo il tracollo iniziato a partire dal 2011 che ha fatto segnare percentuali nulle, è tornato a crescere dalla metà del 2013 a ritmi moderati ma maggiormente sostenuti nei comparti dove la ripresa dell’attività economica si è avviata più stabilmente. Dalla fine del 2007, periodo antecedente all’inizio della crisi, ad oggi i prestiti a famiglie e imprese sono cresciuti da 1.279 a 1.404 miliardi di euro100.

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Banca d’Italia, “Decisioni di politica monetaria del 10 Aprile 2019”, Comunicati stampa BCE, Aprile 2019

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Dal lato delle famiglie, muovendo da una crescita della domanda di finanziamenti incentivata da tassi di interesse particolarmente contenuti in un contesto di maggiore fiducia dei consumatori e di migliori prospettive del mercato immobiliare, è aumentato il credito al consumo, in particolare quello finalizzato all’acquisto di autoveicoli, sostenuto dalla crescita del reddito disponibile e dalle più favorevoli condizioni del mercato del lavoro, e il credito per l’acquisto delle abitazioni per effetto sia della maggiore pressione concorrenziale fra le banche sia per le più favorevoli prospettive economiche e del mercato immobiliare.

Si sta però assistendo, allo stesso tempo ad un aumento dei tassi sui titoli pubblici; questo si sta lentamente trasferendo al costo dei finanziamenti concessi dalle banche ai privati. In particolare proprio sui mutui per le famiglie, dove i margini delle banche sui prestiti a tasso fisso sono aumentati di 50 punti base (ma sono rimasti pressoché invariati sui prestiti a tasso variabile). La quota dei mutui a tasso fisso, per giunta, sta diminuendo, ed è scesa dal 66 al 63%. “Qualora il divario di costo tra i finanziamenti a tasso fisso e quelli a tasso variabile continuasse ad ampliarsi, la ricomposizione verso i mutui a tasso variabile potrebbe procedere rapidamente, come accaduto nel 2009, accrescendo l’esposizione delle famiglie ai rischi di futuri rialzi dei rendimenti di mercato”101 sottolinea Bankitalia.

Figura 14

Fonte: Banca d’Italia, “L’economia italiana in breve”, n.144, aprile 2019.

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Guardando al grafico seguente (Figura 15) all’evoluzione temporale dei tassi d’interesse applicati dagli intermediari bancari ai finanziamenti concessi alle imprese e alle famiglie per l’acquisto delle abitazioni in un confronto con l’area euro, emerge nel caso italiano un crollo più marcato per quelli applicati alle imprese nel primo periodo post crisi seguito da una breve risalita e un nuovo calo dalla fine del 2011 meno marcato rispetto all’area euro ed oggi tendente all’uniformità di valore per entrambe le categorie di tassi.

Figura 15

Fonte: Banca d’Italia, “L’economia italiana in breve”, n.144, aprile 2019

I vincoli di liquidità LCR e NSFR non riguardano però solo l’aspetto quantitativo ma combinano quest’ultimo con un imprescindibile vincolo qualitativo delle poste inserite nei loro aggregati di numeratore e denominatore. E’ la qualità dell’elemento che ne garantisce l’elevata e pronta liquidabilità tale da fornire stabilità all’intermediario nel caso in cui dovesse fronteggiare problemi di liquidità nel breve o nel medio lungo periodo.

L’aspetto qualitativo è particolarmente rilevante con riferimento all’attivo in quanto l’evoluzione temporale inserita nel difficile contesto economico mondiale combinata alle nuove regole in materia di vigilanza, tra cui i due nuovi indicatori di liquidità, hanno generato un peggioramento della qualità degli attivi bancari con effetto immediato di contrazione dei canali di erogazione dei prestiti e di perdite economiche che hanno ridotto notevolmente le performance reddituali. La perdita, negli anni della crisi, di quasi dieci punti di PIL e di circa un quarto di produzione industriale ha avuto pesanti ripercussioni

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sui bilanci delle banche italiane e sulla qualità dei loro prestiti sempre più deteriorati: il problema è serio ma può essere gestito coniugando rapidità ed economicità delle operazioni di recupero.

3.4.3 LA REDDITIVITA’

Le stime fatte subito dopo la pubblicazione della nuova normativa Basilea III avevano immediatamente prospettato per le banche europee un impatto di dimensioni rilevanti in termini di fabbisogno di capitale, di funding e di liquidità con conseguenti azioni di riequilibrio determinanti un autentico crollo delle performance reddituali degli intermediari bancari interessati.

Le azioni possibili per mitigare l’impatto negativo sulla redditività derivante da Basilea III riguardano l’efficienza nella compliance, il riassetto del bilancio e il riposizionamento dei modelli di business.

I nuovi regimi della liquidità e dell’equilibrio del funding, irrilevanti prima della crisi, impongono agli intermediari funzioni rafforzate di tesoreria centrale, strumenti di previsione accurata dei flussi finanziari, strumenti di monitoraggio del rischio di liquidità, sistemi di allocazione e pricing più efficienti, politiche di raccolta ottimizzate in quanto esplicitamente integrate alla pianificazione complessiva della banca e al processo di allocazione del capitale.

Il tema del riassetto di bilancio può essere rilevante sotto diversi aspetti: la qualità del capitale proprio, la gestione dell’attivo-passivo ed in particolare il controllo del costo del funding a lungo termine. Circa quest’ultimo, il nuovo indicatore di liquidità di medio lungo periodo vincola alla previsione di una raccolta stabile di fondi tale per cui una leva concorrenziale fondamentale diventa una componente core di depositi stabili, presidiata tramite un’adeguata rete di sportelli a costo competitivo.

Infine, c’è una esigenza di ridefinizione dei modelli di business riguardante sia il disegno funzionale, contrattuale e gestionale del prodotto in termini di risk-adjusted pricing e di misura di impatto di capitale e di liquidità, sia la definizione innovativa del mix di prodotti

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sulla base della priorità rappresentata dal capitale richiesto a copertura, al fine di ottimizzare la compliance con Basilea III e migliorare quindi la redditività102 .

Come detto più volte, la redditività è il link tra l’equilibrio finanziario e l’equilibrio patrimoniale: una contrazione della liquidità porta gli intermediari a raccogliere con molta difficoltà le risorse adeguate per poter realizzare i propri impieghi.

Questo di riflesso porta ad una contrazione dei canali del credito a favore delle famiglie e delle imprese le quali, a causa delle sempre più difficili condizioni economiche e sociali, fanno fatica a restituire gli eventuali prestiti che hanno ottenuto causando alle banche ingenti perdite, a motivo del peso crescente e preponderante delle rettifiche di valore su crediti ed indebolimento del patrimonio. Pertanto qualsiasi intervento per il raggiungimento di un equilibrio in termini di liquidità non può prescindere da impatti sulla redditività: così è stato e continua ad essere per il settore bancario interessato all’adesione al LCR e al NSFR.

I nuovi vincoli quantitativi di liquidità, riducendo l’esposizione delle singole banche alla rispettiva fattispecie rischiosa per mezzo dell’uniformazione della composizione quantitativa e qualitativa dell'attivo e del passivo e per mezzo della riduzione dell'attività di trasformazione delle scadenze, contribuiscono alla determinazione di basse performance reddituali.

Nello specifico, se il Liquidity Coverage Ratio incoraggia le banche alla creazione e alla

Nel documento Il rischio di liquidità in banca (pagine 103-129)