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LA CRISI DEL 2007: IL RUOLO DELLA LIQUIDITA’

Nel documento Il rischio di liquidità in banca (pagine 34-41)

2. LA CRISI E LE CORREZIONI DI BASILEA

2.1 LA CRISI DEL 2007: IL RUOLO DELLA LIQUIDITA’

La crisi finanziaria del 2007-2009 affonda le sue radici nell’insieme delle scelte economiche e politiche degli ultimi decenni: la deregulation e l’espansione della liquidità hanno contribuito alla creazione di un sistema finanziario sempre più scollegato dall’economia reale.

L’espressione principale di tale processo di deregulation si è avuto, nel 1999, con l’abolizione dello storico Glass-Steagall Act, introdotto nel 1931 dopo la grande crisi del ‘29, il quale imponeva una netta distinzione tra le attività delle banche commerciali e quelle delle banche d’investimento che rischiano con operazioni di mercato. La commistione aveva portato a conflitti di interesse, frodi e gestioni arrischiate, contribuendo alla crisi del 1929. Il Gramm-Leach-Bliley Act nel 1999 ha consentito nuovamente agli

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istituti di credito di svolgere sia la normale attività bancaria, che quella di banche d’affari e ha limitato i controlli su banche d’investimento ed istituti di credito ipotecario47

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Nel 2004, la Sec (Securities and Exchange Commision), l’equivalente della Consob italiana, che ha compiti di vigilanza sulle cinque grandi banche d’investimento di Wall Street, concede ad esse l’esenzione dal rispetto dei limiti sui parametri patrimoniali imposti nel 197548. I cinque brokers sono così liberi di usare in modo molto più spinto la leva finanziaria e aumentare il proprio debito fino a 30 o 40 volte il capitale netto, cinque volte il peso consentito agli altri operatori.

Tale decisione è legata alla deregulations finanziaria. Non a caso la crisi ha colpito i cinque ex colossi di Wall Street derogolamentati, e nessun’altra delle cinquemila case di brokeraggio che non hanno goduto dell’esenzione49

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L’altro fattore all’origine della crisi, che è quello che a noi preme di più sottolineare, è stato l’eccesso di liquidità generato dai saggi di interesse molto bassi, che dal mercato statunitense si è esteso progressivamente sugli altri mercati finanziariamente evoluti. Le radici dell’eccesso di liquidità sono lontane, cioè risalgono a prima dell’11 settembre 2001; al boom di borsa della seconda metà degli anni Novanta, segue l’esplosione della bolla della new economy e la FED, guidata da Alan Greenspan, risponde con la riduzione del costo del denaro, portando i saggi dal 6,5% del gennaio 2001, all’1% nel giugno 2003, accrescendo, in tal modo, la liquidità del mercato.

Greenspan ha mantenuto il costo del denaro troppo basso e troppo a lungo, innescando e alimentando la bolla immobiliare, l’indebitamento eccessivo dei consumi e la spirale dei debiti breve delle banche50. Questa eccessiva liquidità ha contribuito a scatenare molteplici effetti. In primo luogo ha trasformato in soggetti finanziari intere fasce sociali, che non lo erano a causa delle debolezze del loro reddito. I mutui concessi a potenziali insolventi e poi cartolarizzati non sarebbero stati possibili senza gli eccessi di liquidità51. La crisi del 2007 è passata alla storia come la “crisi dei mutui subprime”. I mutui subprime sono mutui concessi a soggetti che non hanno accesso al credito ordinario, perché non sono

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M. Mariani, “Lezioni per il futuro”, pag.19, Il Sole 24 Ore, Milano 2009.

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All’epoca i broker mantenevano un rapporto medio tra i debiti e capitale netto di 5 o 6 a 1, se si avvicinavano al massimo di 15 a 1 potevano venire costretti a chiudere.

49 M. Mariani (a cura di), N. Borzi, N. Ciravegna, “La grande crisi”, pag. 34-35, Il Sole 24 Ore, Milano 2008 50 M. Mariani, “Lezioni per il futuro”, pag. 24, Il Sole 24 Ore, 2009

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in grado di offrire adeguate garanzia o perché hanno dimostrato in passato di non essere in grado di onorare i propri debiti.

L’erogazione dei mutui subprime è stata resa possibile dalla diffusione di una pratica finanziaria che ha radici antiche, ma che è stata messa a punto soltanto all’inizio degli anni Ottanta: la cartolarizzazione.

La caratteristica di questa pratica di impostare i rapporti finanziari fa sì che i crediti concessi, invece di essere messi all’interno del bilancio della banca che li eroga (e tenuti fino al loro completo pagamento), vengono trasformati in titoli negoziabili, cioè vengono “cartolarizzati”. I titoli prodotti con la cartolarizzazione, a loro volta, sono venduti ad altri investitori. In questo modo, da una parte, la banca erogante può incassare immediatamente l’intero importo del credito erogato, dall’altra essa non sopporta il rischio di credito, ossia il rischio di una possibile insolvenza da parte del debitore; difatti tale rischio viene trasferito agli acquirenti del titolo. Così gli investitori beneficiano non soltanto del rendimento dei titoli, ma anche di possibili guadagni in conto capitale nel caso in cui riescano a rivendere i titoli ad un prezzo più alto del prezzo di acquisto.

L’aspettativa di questi guadagni è stata alimentata dalla crescita delle quotazioni sul mercato immobiliare, a sua volta sostenuta dall’espansione del credito resa possibile dalla cartolarizzazione. All’abbondanza quantitativa dei titoli emessi, si aggiunge un vantaggio qualitativo, per gli investitori, costituito dalla varietà dei titoli emessi, che hanno offerto diverse combinazioni di rischio e rendimento per rispondere ai profili più diversi di preferenze52. Questi sono i vantaggi dei creditori.

Anche i debitori però hanno trovato dei vantaggi: si tratta di debitori che non riceverebbero alcun credito da una banca tradizionale e che invece, grazie a questa tecnica di cartolarizzazione, possono accedere non soltanto all’acquisto della prima casa, ma anche a prestiti per l’acquisto di automobili e all’utilizzo di carte di credito. In tal modo la cartolarizzazione ha ampliato in modo esagerato il numero di persone con accesso al credito, raccogliendo una quantità ingente di denaro proveniente da lavoratori precari, minoranze etniche, emarginati, per l’acquisto di una casa, per accedere all’istruzione e per qualunque spesa corrente.

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Il circuito partiva quindi dalle società di ingegneria finanziaria che progettavano il prodotto, proseguiva con le banche commerciali che erogavano i mutui ai clienti, li “impacchettavano” e vendevano le obbligazioni strutturate alle banche d’affari o le collocavano direttamente sul mercato. In questo modo si creava una sorta di circolo vizioso con l’entrata continua di liquidità derivante dalle vendite di nuovi mutui e finanziamenti. Queste obbligazioni sono le ABS e i CDO. Le ABS (Asset Backed Securities), o “ obbligazioni garantite da attività”, sono prestiti erogati dalle banche, pertanto attività (elementi dell’attivo nel bilancio della banca) impacchettate in obbligazioni e vendute agli investitori (fondi o privati) il cui rimborso è garantito dal pagamento delle rate del mutuo e, in ultima istanza, dall’immobile su cui grava l’ipoteca (nel caso di mutuo immobiliare). Attraverso le Abs, la banca, invece di attendere la scadenza dell’attività, rientra subito del capitale prestato e può espandere la propria attività53.

Per vendere titoli con varie combinazioni di rischio e rendimento, queste Abs sono state poi spacchettate e ricomposte in altre obbligazioni denominate CDO (Collateralised Debt Obligation). I CDO non venivano emessi direttamente dalle banche ma dalle società veicolo, le SIV. Queste società sono create con uno scopo specifico: se una banca vuole cartolarizzare una serie di prestiti immobiliari, cede questi prestiti ad una società veicolo creata appositamente; su questa base di attività la società emette i titoli cartolarizzati. Spesso però queste società risultano una filiazione più o meno legittima delle banche stesse, che hanno preferito fare ricorso ad essi per evitare di sopportare i costi legati al fatto di detenere capitali. Spesso quindi queste società non hanno legami con le banche, altrimenti verrebbero riconosciute come parti integrante del gruppo e i loro bilanci dovrebbero essere consolidati, negando quindi il trasferimento del rischio. Le banche hanno trasferito, infatti, le attività più rischiose a tali entità formalmente fuori bilancio, assegnando ad esse un capitale minimo, al fine di ridurre il capitale detenuto, ossia di aumentare la leva finanziaria.

Infine sono stati creati prodotti finanziari derivati chiamati CDS (Credit Default Swap), cioè “polizze” usate dagli investitori per assicurarsi contro l’insolvenza delle obbligazioni: l’acquirente dell’obbligazione che si copre con il CDS vuole coprirsi dal rischio che la controparte possa non rimborsare il capitale e per questo paga un “premio” ad una

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controparte (esempio una banca). Se il bond finisce in default la controparte è obbligata a rimborsarlo al posto dell’emittente.

I CDS sono quotati su mercati non regolamentati (OTC). Più è alto il rischio di insolvenza, più alto sarà il premio che deve pagare chi vuole coprirsi dal rischio.

In tale contesto, la struttura dei modelli di valutazione del rischio non è stata modificata rispetto all’ingegneria finanziaria. Le agenzie di rating, infatti, hanno mostrato una notevole accondiscendenza nei confronti di molti prodotti finanziari difficili da valutare sia per la scarsa esperienza che per l’opacità intrinseca dei crediti strutturali54. Le agenzie di rating sono state accusate di aver contribuito alla crisi finanziaria globale, di non aver saputo prevedere l’inaffidabilità dei mutui subprime americani e di non aver saputo quantificare il rischio dei moderni strumenti finanziari, aiutando a creare prodotti strutturati cui hanno assegnato una generosa tripla A e che poi si sono trasformati in titoli tossici, cioè con così basso valore da avvelenare i portafogli delle banche e dei risparmiatori.

Gli economisti hanno puntato il dito contro i pesanti conflitti di interesse che caratterizzano tali società, dato che gli emittenti dei titoli pagano le agenzie di rating per avere la valutazione; spesso le stesse agenzie forniscono servizi di consulenza su come creare i prodotti finanziari che possano ottenere il miglior profilo di rischio e, quindi, una valutazione migliore.

Fino alla crisi del 2007 questo conflitto era stato reputato ininfluente sull’affidabilità del rating, ma l’andamento della crisi ha dimostrato che non è così; per esempio i titoli emessi dalla Lehman Brothers hanno goduto della tripla A fino a pochi giorni prima del fallimento della banca, prima di essere precipitosamente declassati, quando però ormai era troppo tardi.

La Sec ha approvato, nel 2009, regole più stringenti e tre mesi dopo l’Unione Europea ha a sua volta introdotto nuove norme sui controlli e la supervisione di tali agenzie.

Fino a questo punto abbiamo analizzato quelle che sono le origini e le cause scatenanti della crisi del 2007; è giunto ora il momento, però, di delineare le caratteristiche fondamentali di questo disfacimento.

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Le molteplici contraddizioni insite nelle pratiche della nuova ingegneria finanziaria hanno iniziato ad esplodere, nell’estate del 2007.

La lunga fase positiva di crescita dell’economia americana degli anni Novanta, unita ad una successiva fase di tassi di interesse particolarmente bassi, dalla fine del 2001 al 2004, ha creato le condizioni per un boom del settore immobiliare.

La ricchezza accumulata, negli anni Novanta, e i saggi sui mutui molto conveniente, hanno spinto molte famiglie americane ad acquistare una casa55.

L’intero sistema si reggeva su due elementi: il prezzo delle case che continuava a crescere ed i bassi tassi di interesse che facilitavano la catena dell’indebitamento e la gestione del debito. Il ribasso dei prezzi delle abitazioni, unito all’aumento dei saggi di interesse voluto dalla politica monetaria, che ha reso più costosa la liquidità necessaria per rifinanziare il possesso, mette in difficoltà le famiglie americane.

A partire dal 2005, la serie di rialzi dei saggi di interesse decisi dalla FED ha reso più onerose le rate dei mutui e di conseguenza ha aumentato il rischio di insolvenza delle famiglie, soprattutto a causa della grande quantità di mutui ipotecari a saggio variabile, i cosiddetti ARM “Adjustable Rate Mortgage”, erogati dopo il 2000, particolarmente ai mutuari dei mutui subprime.

Iniziano le inadempienze, specie tra i titolari di questi mutui, che spesso avevano debiti superiori al valore delle case o non erano in grado di sostenere i continui rialzi delle rate mensili con i redditi correnti56.

All’inizio le banche non riescono a valutare correttamente questi segnali negativi come un problema, in quanto i mutui subprime sono stati quasi tutti “cartolarizzati”, quindi gli istituti di credito hanno ceduto i mutui e trasferito i rischi ad altri investitori, pensando cosi di averli ridotti. Ma questi rischi sono stati invece moltiplicati, non ridotti.

Le ABS, che in America, a fine del 2007, ammontano a quattromiladuecento miliardi di dollari, sono state infatti in gran parte, “impacchettate” in CDO il cui valore ammonta ad altri tremila miliardi di dollari: il rischio subprime si è diffuso in tutto il mondo attraverso questi bond e nessuno sa in quante ABS e CDO sia effettivamente finito57.

55 L. Trevisan, “Quei titoli senza regole”, Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2008. 56 R. Shiller, “Finanza Shock”, pag. 5, Milano 2008.

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Chiunque detenesse, nel proprio portafoglio, tali obbligazioni legate ai mutui subprime ha iniziato a venderli precipitosamente, ma con difficoltà, perché ormai erano privi di garanzie ed i prezzi erano scesi profondamente.

L’opaca complessità della catene della cartolarizzazione ha reso inadeguate le informazioni su dove i titoli strutturati fossero finiti, e su quali operatori gravassero effettivamente i rischi delle operazioni.

Il collocamento dei derivati si è diffuso in Europa e sul mercato globale. Nei rapporti interbancari si è diffusa la sfiducia internazionalmente, coinvolgendo anche chi non aveva consistenti rischi subprime.

Le difficoltà delle istituzioni finanziarie creano, quindi, una crisi di sfiducia reciproca tra le banche e progressivamente il mercato interbancario si ingessa, in quanto le banche non si prestano più soldi sul mercato a breve, perché temono che, da un giorno all’altro, la controparte possa fallire, e quando lo fanno applicano tassi di interesse elevatissimi.

Questo crea una crisi di liquidità che coinvolge anche i mutui delle famiglie italiane, agganciati proprio ai saggi interbancari come l’Euribor.

I prestiti interbancari che sono alla base della circolazione dei capitali nell’intero sistema, sono congelati, perché le banche temono di ricevere titoli “avariati” come garanzia e perché nessuno sa se l’istituto a cui si presta andrà in crisi prima della scadenza del prestito. Questo si riflette in un maggiore costo del denaro e in una pesante stretta creditizia (Credit Crunch); la sfiducia ha bloccato l’erogazione del credito da parte degli investitori, minacciando una restrizione del credito generalizzata e peggiorando le aspettative degli investimenti, dei consumi, della produzione e dell’occupazione58

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Le banche centrali, per evitare che il crollo della fiducia potesse paralizzare il mercato del credito, sono intervenute con decisioni per fornire liquidità e dare stabilità al mercato. I mercati si sono dunque irrigiditi in una crisi di liquidità che ha provocato l’insolvibilità di molti istituti finanziari, che si erano riempiti le casse di “titoli tossici”. Il crollo delle cartolarizzazioni e i salvataggi delle società-veicolo fuori bilancio attraverso le quali le banche avevano comprato bond cartolarizzati, hanno causato alle banche pesanti perdite. A livello mondiale, gli istituti di credito hanno dovuto svalutare più di cinquecento miliardi di dollari di obbligazioni, causando perdite ingenti all’interno dei bilanci. Numerosi istituti

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bancari ed assicurativi sono stati, infatti, pesantemente colpiti dal crollo delle quotazioni dei titoli di debito legati ai prestiti immobiliari e dell’uso spregiudicato degli strumenti derivati (soprattutto CDS) su mercati privi di regolamentazione.

Tra il 2007 e il 2008, diverse banche americane hanno dichiarato pesanti insolvenze, e solo gli interventi di sostegno e salvataggio congiunto del governo e della FED, mediante enormi iniezioni di liquidità hanno scongiurato fallimenti che avrebbero aggravato ulteriormente la situazione già critica.

Il governo ha così evitato il fallimento di importanti istituzioni finanziarie, che avrebbero potuto travolgere milioni di risparmiatori.

Diversamente da qualsiasi altra azienda, quando fallisce una banca ci rimettono non solo gli azionisti, i dipendenti ed i manager, ma anche i clienti e le altre banche (che hanno prestato a quella banca). Si produce cosi un effetto contagio al resto del sistema finanziario, tanto più quanto più importante è la banca che fallisce.

Il tragico fallimento della banca Lehman Brothers insegna che le banche possono fallire. Secondo il proverbio “too big too fail”, se il fallimento di una singola banca rende probabile una crisi sistemica, questa banca deve essere salvata dallo Stato, anche a costo di gravare sui contribuenti e causare possibili distorsioni sul mercato.

Questo però non deve diventare un incentivo ad assumere rischi insostenibili o creare invenzioni finanziari, con l’unico obbiettivo di moltiplicare i guadagni.

2.2 RISPOSTE REGOLAMENTARI ALLA CRISI: BASILEA

Nel documento Il rischio di liquidità in banca (pagine 34-41)