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Alla fine del secolo diciannovesimo le nuove teorie liberali portarono alla emanazione, prima nel Regno di Sardegna e Piemonte, e poi nel Regno d'Italia, di una serie di norme conosciute come "legislazione eversiva dell'asse ecclesiastico". Esse

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Il quadro normativo nato dall’Assemblea Generale del 14-18 maggio 1990 fu concepito come un rapporto giuridico fra tre soggetti: la C.E.I. che finanzia l’opera fino al 75%-85% dei costi parametrali, la diocesi destinataria del contributo, i terzi che progettano ed eseguono l’opera.

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R. Botta, Le fonti di finanziamento dell’edilizia di culto, in AA.VV., (a cura di C. Minelli), L’edilizia di culto. Profili giuridici, Università cattolica del Sacro Cuore. Atti del Convegno di Studi (Milano, 22-23 giugno 1994), Milano, 1995, 1995, 73 e ss..

soppressero gli ordini religiosi e altri enti ecclesiastici, incamerandone i beni, al fine di restituire alla libera circolazione nel mercato l'ingente patrimonio (c.d. “manomorta”) accumulato nel corso del tempo dagli ordine religiosi.

L'enorme patrimonio acquisito fu affidato ad un ente distinto dallo Stato e dotato di autonomia patrimoniale e gestionale, denominato dal 1866, Fondo per il Culto140.

Il Fondo conservò presso di sé la proprietà degli edifici sacri aperti al culto ritenuti necessari alle esigenze spirituali della popolazione, e parte dei complessi conventuali annessi a tali edifici. Le rimanenti parti di convento vennero o restituite alla pubblica fruizione, mediante la loro cessione in proprietà ai comuni e/o province, che si impegnavano ad utilizzarli per fini di pubblica utilità (uffici pubblici, ospedali, scuole, ospizi), ovvero devoluti al demanio dello Stato che li alienò come opere pubbliche.

Il Fondo per il Culto, incardinato fino al 1932 nel Ministero della Giustizia e dei culti e poi, da tale anno, nel Ministero dell'Interno, ebbe principalmente il compito di provvedere all'erogazione delle pensioni ai membri delle corporazioni religiose disciolte, e della congrua ai parroci. Per quanto riguarda la gestione degli edifici di culto rimasti nella sua proprietà, ne affidò l'uso e la gestione ordinaria e straordinaria alle stesse amministrazioni comunali e/o provinciali cui aveva già ceduto, come detto, la proprietà dei conventi.

L’art. 6 della legge del 27 maggio 1929, n. 848, applicativo dell’art. 29 lett. a. del Concordato Lateranense, prevedeva che dovessero essere “consegnate” all’autorità ecclesiastica gli edifici di culto “già appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi” ai quali fosse riconosciuta la personalità giuridica di un ente-chiesa, che ne avrebbe curato la manutenzione e l’officiatura. A tali enti sarebbe stata assegnata la “rendita che attualmente il Fondo per il culto destina a ciascuna” delle chiese. L’art. 6 della l. n. 848 del 1929, stabiliva che esse sarebbero state “consegnate all’autorità ecclesiastica, restando revocate le concessioni attuali delle medesime, in qualunque tempo e a qualunque titolo disposte”.

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Con parere del 18 ottobre 1989, n. 1263141, il Consiglio di Stato dichiarò che la restituzione di tali edifici dovesse essere effettuata anche in favore dei nuovi enti parrocchiali ai quali spettavano gli edifici di culto di proprietà pubblica, da essi detenuti a qualunque titolo.

Tale situazione, rimase immutata fino a quando nel 1985 furono stipulati i nuovi Accordi concordatari tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica a seguito dei quali fu emanata la legge del 1985, n. 222 recante nuove disposizioni sugli enti ed i beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico, per effetto della quale sono venute meno quelle finalità fino ad allora affidate al Fondo per il Culto.

Venne così creato un nuovo ente denominato Fondo Edifici di Culto che subentrò in tutti i rapporti attivi e passivi nel patrimonio dell'estinto ente e delle altre aziende con analoghe finalità, e a cui fu affidato l'esclusivo compito di provvedere, mediante la gestione di un patrimonio, alla conservazione, tutela e valorizzazione degli edifici di culto di proprietà della Chiesa142.

Il F.E.C., entrato in funzione il 1° gennaio 1987, ha sostituito le Amministrazioni preesistenti. Tra queste, oltre al il Fondo per il culto: il Fondo di beneficenza e religione per la città di Roma; gli ex Economati dei benefici vacanti e dei Fondi di religione delle province austro-ungariche confluiti nei Patrimoni riuniti ex economati; le Aziende speciali per il culto, tra cui il Fondo del clero veneto, l’Azienda speciale di culto della Toscana, il Patrimonio ecclesiastico di Grosseto, e tutte le altre aziende speciali, destinate a scopi di culto, di religione, di beneficenza, gestite dalle Prefetture competenti.

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In Il dir. eccl., 1989, Milano, 535 e ss..

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V. Tozzi, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Salerno, 251 e ss.; G. Casuscelli, Edifici ed

edilizia di culto, Problemi generali, Milano, 1979; V. Tozzi, Le vicende del patrimonio artistico della Regione Campania nei recenti interventi di finanziamento pubblico, in AA.VV., I beni culturali nello sviluppo e nelle attese della società italiana, Milano, 1981, 137 e ss.; id., I luoghi dell’arte dove convivono Stato e Chiesa, Il Manifesto, (Quotidiano – 27 marzo 1986).

La rappresentanza giuridica spetta al Ministro dell’Interno (coadiuvato da un consiglio di amministrazione composto anche da rappresentanti della C.E.I.143) che ne cura anche l’amministrazione, per mezzo della Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto, diretta da un prefetto, inserita nel Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, e dagli uffici territoriali di Governo- prefetture in sede periferica. Per l’amministrazione si seguono le norme che regolano le gestioni patrimoniali dello Stato con i privilegi, le esenzioni e le agevolazioni fiscali ad esse riconosciuti.

Il Fondo ha un proprio bilancio, con voci di entrate e di uscite. Il bilancio preventivo e quello consuntivo sono sottoposti all’approvazione del Parlamento, e sono inseriti in allegato, rispettivamente, del preventivo e del consuntivo del Ministero dell’Interno.

Il patrimonio è composto da beni provenienti principalmente dall’eversione dell’asse ecclesiastico con oltre settecento chiese di grande interesse storico-artistico; da tutte le opere d’arte custodite nelle chiese; dai mobili antichi e i rari libri della Biblioteca della Direzione Generale degli Affari dei Culti; dai beni produttivi derivanti dalle rendite di caserme, appartamenti, cascine; dal complesso forestale del Tarvisio (UD), di Quarto Santa Chiara (CH), di Monreale e di Giardinello (PA)144.

Al F.E.C. spetta di assicurare una rigorosa gestione del patrimonio, la conservazione, la manutenzione, la tutela e la valorizzazione di beni di incommensurabile valore artistico. La progettazione e l’esecuzione delle relative opere

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la partecipazione dei rappresentanti della C.E.I. nel Consiglio di Amministrazione del F.E.C. è criticata da A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, Milano, 1986, 456.

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Con la circolare n. 59 del 1987 del Ministero dell’Interno, Quad. dir. e pol. eccl., 1987, 435 e ss., è stata regolata l’amministrazione di detto patrimonio dando ulteriori disposizioni alle Prefetture. Con la circolare del 18 ottobre 1985, n. 107 e con la circolare del 18 dicembre dello stesso anno, n. 50, Quad. dir. e pol. eccl., 1985, 436 e ss., il Ministero dell’Interno ha impostato il censimento del patrimonio del F.E.C. e si è appreso che esso risulta proprietario di oltre 3000 edifici di culto, comprese la Basilica di S Francesco di Paola a Napoli, la Cappella di S. Pietro nel palazzo ex reale di Palermo, la Chiesa di S. Gottardo a Milano, di molte Chiese palatine (cioè annesse alle dimore reali), di edifici di culto già appartenenti agli enti religiosi soppressi dalle leggi n. 3036 del 1866, n. 3848 del 1867 e n. 1402 del 1873 (in quanto non restituite in base all’art. 29 del Concordato Lateranense e della sua legge applicativa n. 848 del 1929).

edilizie sono affidate, salve le competenze del Ministero per i beni culturali, al Ministero dei Lavori Pubblici145.

I beni del F.E.C. non appartengono al patrimonio dello Stato, o dei Comuni, delle Province e delle Regioni e quindi la tutela non può evincersi dagli articoli 826 e 828 del c.c., relativi al patrimonio dello Stato e degli altri enti territoriali. Ad esso potrebbe applicarsi invece l’art. 830 sui beni degli enti pubblici non territoriali146.

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Le finalità del Fondo sono enunciate dall’art. 58 della citata le n. 222 del 1985: “la conservazione, il restauro, la tutela e la valorizzazione degli edifici di culto appartenenti al fondo medesimo…” e altri oneri a suo carico. Nell’art. 30 del regolamento di cui al D.P.R. del 13 febbraio 1987, n. 33 si afferma: “I beni culturali di proprietà del Fondo edifici di culto non possono essere utilizzati per fini diversi da quelli cui sono destinati senza l’autorizzazione del Ministero dell’Interno”. Questa particolare protezione sembra giustificata dall’interesse dello Stato al mantenimento degli scopi cultuali delle chiese-edifici. La normativa statale non ha dettato nessuna disposizione cui il Ministero debba attenersi nell’amministrare il patrimonio del F.E.C.. Va affermandosi una interpretazione, quindi, che vorrebbe detto patrimonio vincolato alla destinazione di culto, derivante dalla stessa natura storica dell’ente. In realtà l’unico vincolo imposto dalla normativa è quello di cui all’art. 30 del regolamento della legge n. 222 del 1985 che vincola la destinazione di questi beni del F.E.C. solo in presenza di “beni culturali”. Il cambiamento di destinazione può essere effettuato solo su autorizzazione del Ministero dell’Interno.

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Per un quadro generale sulle norme invocate, V. Cerulli Irelli, voce “Beni pubblici”, Beni pubblici, Dig. disc. pubbl., Torino, 1987.

CAPITOLO SECONDO. Gli edifici di culto delle confessioni di minoranza e la giurisprudenza.

1. Nozione e nomenclatura utilizzata. 2. Le nuove confessioni e la costruzione di luoghi per il culto. 3.