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La legge n. 2136 del 1865 disponeva che i fabbricati destinati all’esercizio dei culti ammessi dallo Stato fossero “esenti” dall’imposta fondiaria.

Il T.U.I.I.D.D. di cui al D.P.R. del 29 gennaio 1958, n. 645, e il D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 597, sino al T.U. di cui al D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 hanno invece scelto il regime dell’”esclusione”136.

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Già precedentemente vi erano stati interventi finanziari delle regioni in proposito. Si veda: A. Roccella, Beni culturali di interesse religioso e interventi finanziari pubblici, Il diritto dell’economia, 2003; A. Roccella, Le intese delle Regioni con le autorità ecclesiastiche sui beni culturali di interesse

religioso, Le Regioni, 2006. 134

Per il 2005 la Cei ha potuto usufruire della somma di 984.115.165,49 euro, di cui 471.250.000,00 sono stati destinati ad esigenze pastorali, come stabilito dalla Determinazione Cei, 31 maggio 2005,

Ripartizione delle somme derivanti dall’8 per mille per l’anno 2005, www.Olir.it. 135

I. Pistolesi, La quota dell’8 per mille di competenza statale: un’ulteriore forma di finanziamento

(diretto) per la chiesa cattolica?, Quad. dir. e pol. eccl., 2006, 163 e ss.. 136

Per una sintetica e chiara differenziazione tra i regimi di “esenzione” ed “esclusione” dalle imposte, si rinvia a E. De Mita, Il regime tributario”, AA.VV., Gli edifici di culto tra stato e confessioni religiose,

op. cit., 245 e ss.. Inoltre: A. Gomez de Ayala, Aspetti tributari dell’Accordo tra lo Stato italiano e la santa Sede, Dir. prat. Trib., 1984, 464; N. Colaianni, L’esenzione dall’Invim decennale: un segno di contraddizione nel trattamento tributario degli enti ecclesiastici, Foro it., 1985, 1819; R. D’Angiolella, Il nuovo concordato Stato-Chiesa cattolica: la disciplina civile e fiscale degli enti ecclesiastici, Il Fisco,

1986, 592; T. Mauro, Riflessioni sui principi del regime tributario degli enti ecclesiastici, Dir. eccl., 1987, 803; C. Cardia, Stato e confessioni religiose, Il Mulino, Bologna, 1988; F. Finocchiaro, Diritto

ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 1988; Z. Di Castiglionchio, Edifici di culto, Enc. Giur. Treccani, XII,

Roma, 1989; V. Tozzi, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Edisud, Salerno, 1990; E. De Mita, Profili tributaristici del nuovo concordato, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 1991,

Per l’art. 53 del T.U. citato, infatti, “non si considerano produttive di reddito, se non sono oggetto di locazione, le unità immobiliari destinate esclusivamente all’esercizio del culto, compresi i monasteri di clausura, purché ciò sia compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della costituzione e loro pertinenze”.

La ragione dell’esclusione, è data dal fatto che l’oggetto sia in maniera assoluta, fuori del campo di applicazione del tributo, perché mancante di capacità contributiva. Lo Stato è pienamente consapevole della rilevanza del fattore religiosi, anche per la crescita spirituale della società (art. 4 Cost.) e dei suoi singoli individui. Gli edifici religioso assolvono ad una funzione speciale, cioè quella di consentire lo svolgimento del culto, anche perché sarebbe impossibile prospettare un vantaggio economico a favore del possessore.

L’immobile quindi, indipendentemente dalla categoria di iscrizione sul catasto, è improduttivo di reddito, se destinato esclusivamente alla pratica religiosa, sempre che ciò non contrasti con l’ordinamento giuridico italiano (art. 8, comma 2 Cost.) e non si realizzino, al suo interno, riti contrari al buon costume (art. 19Cost.).

La lettera i. dell’art. 7 del d.lgs. del 30 dicembre 1992, n. 504 sull’Ici prevede l’”esenzione” dall’imposta per gli immobili degli enti non commerciali “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16 lett. a. della l. n. 222 del 1985” ovvero le attività di religione e di culto, quelle dirette all’esercizio e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana).

Quindi, l’ente ecclesiastico può essere esente o quando svolge attività di religione e di culto, oppure, in quanto ente non commerciale, quando svolga attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, ricettive, culturali, sportive e ricreative, come voluto dalla norma.

337; A. Guarino, Il regime tributario degli edifici di culto. Spunti per una ricostruzione, Quad. Scuola di spec. Dir. eccl. e can., Jovene, Napoli, 1993, 197; R. Rivetti, La disciplina tributaria degli enti non profit, Giuffrè, Milano, 2008; I. Bolgiani, Enti di culto e finanziamento delle confessioni religiose. Esperienza di

Secondo una decisione della Corte di Cassazione, dell’8 marzo 2004, n. 4645, l’esercizio di una di queste attività non di culto, ma “oggettivamente commerciali” farebbe venir meno il presupposto per l’esenzione dall’Ici.

Per sanare le polemiche successive alla sentenza della Cassazione, prima con l’art. 6 del d.l. del 22 luglio 2005, n. 169 non convertito (che prevedeva l’esenzione Ici anche per quelle attività, purché “connesse” a finalità di religione e di culto), poi con il comma 2 bis dell’art. 7 del d.l. del 30 settembre del 2005, n. 203, convertito nella l. del 2 dicembre 2005, n. 248, è stata prevista l’esenzione dall’Ici a tutti gli immobili degli enti non commerciali che svolgono le attività suddette “a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse”.

Il c.d. decreto Bersani-Visco, d.l. del 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. del 24 aprile del 2006, n. 248, all’art. 39 prevede però l’obbligo per i Comuni di accertare la natura “non esclusivamente commerciale” dell’attività svolta nell’immobile.

L’art. 59, comma 1, lett. c. del d.lgs. del 15 dicembre 1997, n. 446, ha stabilito che, a partire dal 1998, i Comuni possono stabilire che l’esenzione Ici, concernente gli immobili di enti non commerciali si applichi solo se gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore.

La Corte costituzionale, investita dalla Cassazione della questione di legittimità costituzionale del citato art. 59, (in quanto doveva ritenersi applicabile l’esenzione anche a chi pur non essendo ente non commerciale avesse dato in locazione l’immobile ad un soggetto con i requisiti e l’utilizzazione diretta), con ordinanza n. 429 del 2006, ha dichiarato la questione manifestamente infondata, ritenendo che la facoltà dei comuni non toccherebbe i requisiti oggettivi stabiliti per l’esenzione, vale a dire il possesso dell’immobile e l’utilizzo dello stesso da parte dell’ente non commerciale.

Infine, c’è da segnalare che il 31 dicembre 1992 è stata soppressa l’Invim, avente ad oggetto la tassazione degli incrementi di valore degli immobili.

7. In particolare: le disposizioni canoniche sul finanziamento dell’edilizia