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Un gentiluomo o letterato d’Europa fino al tardo Set- tecento poteva certo leggere in originale le opere del Tasso, o le traduzioni in spagnolo, francese, inglese della Liberata e dell’Aminta, prototipi internazionali dell’epica cristiana e della pastorale. Oltre i due capo- lavori molta attenzione ebbero dai poeti barocchi anche le Rime e la teoria poetica, specie in Inghilterra; qui an- cora vivente Tasso, The Faerie Queen (La regina delle

Fate, 1590) di Edmund Spenser è il primo importante

poema fiabesco-allegorico a mostrarne evidente traccia, in particolare per il Bower of Bliss (II, 12), tributario del Giardino d’Armida, la cui scia è evidente anche nell’E- den del Paradise Lost (1667) di Milton, poema di cospi- cua intertestualità con la Liberata (tramite la versione di Fairfax del 1600); Milton aveva anche conosciuto il Manso a Napoli (celebrato nel poemetto latino Mansus) e tenne ben conto della teoria tassiana di un’epica cri- stiana, in versione riformata. Del resto anche l’ugonotto Agrippa d’Aubigné riprese spunti dalla Liberata nel suo poema epico-satirico Les Tragiques (1616) sulle guerre di religione in Francia. Primo traduttore della Liberata (1587) lo spagnolo Cristóbal de Mesa ne fece anche il modello del proprio poema Las Navas de Tolosa (1594) sulla omonima celebre battaglia contro gli Arabi del 1212, ma altro diretto imitatore fu Lope de Vega, con la sua Jerusalén Conquistada (1609), ambientata nella ter- za crociata. L’Aminta invece è il modello centrale dell’o- pera del savoiardo Honoré d’Urfé, sia nella pastorale

Sireine (1603) sia nel romanzo fiume L’Astrée (1607).

Quello che affascinava i lettori europei era quella sorta di «strategic opacity» (l’espressione è di Greenblatt per Shakespeare), che ben sigla anche quanto di inquieto, alluso e oscuro vibra nel poeta del «non so che» tra epi- sodi, personaggi e notturni, potenziato dalla magia di un verso quanto mai morbido e insinuante, spesso sulla soglia tra il visibile e il nascosto, il detto e il gesto.

4. Puskin, Evgenij Onegin, trad. G. Giudici, Milano 1999, p. 25. 5. Trad. A. Prete.

L’acquerello Vista dal Monastero di Sant’Onofrio a Roma fu realizzato da Rudolf von Alt nel 1835

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Il classicismo francese con Boileau stigmatizza come sciocco chi antepone «le clinquant [pacchiano] du Tasse

à tout l’or de Vergile», ma ancora nel ‘700 il Tasso avrà

i suoi seguaci in lettere, per non dire dei multipli quadri e affreschi su tanti episodi, primeggiante sempre la zona di Armida. Del resto Armida, seduttrice e sedotta, già impiantata dall’autore stesso in un ruolo di melodram- ma, ebbe un impareggiabile destino musicale, passando si può dire di mano in mano – per dire solo dei massi- mi – dall’Armide di Lulli a quelle di Gluck, di Haydn, di Rossini e infine, fuori tempo, di Dvorak, all’alba del Novecento, in una situazione postwagneriana dove il li- brettista (il poeta vittorughiano Jaroslav Vrchlicky) non esita a contaminare Armida con Clorinda.

Ultima categoria i fedeli lettori che si sono identificati con lui e i suoi personaggi. Non Goethe, a onta del suo dramma, ma ipoteticamente Stendhal e continuamente Rousseau. Anche Stendhal, come Delacroix, abbinava Tasso e Mozart e utilizzò un verso della Liberata («in queste voci languide risuona / un non so che di flebile e soave») per siglare il fascino delle Nozze di Figaro. Il «milanese» ne fu appassionato lettore fin dall’infanzia

 BIBLIOGRAFIA 

Atti del convegno Tasso e l’Europa, a cura di D. Rota, Baroni, Viareggio 1996;

La fortuna del Tasso eroico tra Sei e Settecento. Modelli interpretativi e pratiche di riscrittura, a cura di T. Artico ed E.

Zucchi, Edizioni Dell’Orso, Torino 2017.

Pireddu S., Amintas e poi Aminta. Il dramma pastorale tassiano

in Inghilterra, EDUcatt, Milano 2012;

Traduire l’«Aminta» en 1632. Les traductions de Rayssiguier et de Charles Vion d’Alibray, a cura di D. Dalla Valle, Rosenberg e

Sellier, Torino 2016.

6. Trad. M. Zini, Einaudi, Torino 1976.

e nella Vita di Henry Brulard ricorda il proprio viag- gio alle Echelles nel 1790 o ‘91, carico di suggestione tassiana: «Lì situai tutti gli incantesimi d’Ismeno del- la Gerusalemme liberata. Al mio ritorno a Grenoble, il nonno mi permise di leggere la traduzione della Geru-

salemme fatta da Mirabaud»6. Poi in età matura progettò un dramma nel 1834 di cui ci restano poche pagine, lo schema generale e il piano con le riserve e le risoluzioni. Jean Starobinski in un libretto (Rousseau e Tasso, Tori- no 1994) ha puntualizzato le diverse tassomanie del pen- satore ginevrino, ripartite sia tra gli scritti sia tra le sue musiche. Da una conversazione con Guillaume-Olivier de Corancez veniamo a sapere, dalla viva voce dell’in- teressato: al di là della bellezza poetica, «sappiate che egli ha predetto le mie disgrazie», in una «strofe miraco- losa». La strofe in questione è pronunciata da Tancredi (XII,77), disperato per aver ucciso Clorinda:

Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure, mie giuste furie, forsennato, errante; paventarò l’ombre solinghe e scure che ‘l primo error mi recheranno inante, e del sol che scoprì le mie sventure, a schivo ed in orrore avrò il sembiante. Temerò me medesmo; e da me stesso Sempre fuggendo, avrò me stesso appresso.

Al di là dell’identificazione con questi dolenti ver- si, a ben vedere il tratto più inequivocamente tassiano di Rousseau sta proprio nella sua allucinata paranoia, davvero così congeniale, come si sa, al «povero Tasso». Rousseau visse nel culto del Tasso, traducendone parti o mettendolo in musica, a proprio uso e conforto, e riget- tando ogni uso pubblico, per cui gliene domandava Ber- nardin de Saint-Pierre («Oh! Dio me ne guardi, li ho fatti per mio diletto, per conversare la sera con mia moglie»). Tasso è per lui una medicina, o piuttosto un viatico, che lo rafforza nella propria cupidigia del dolore, riscattata però dal sortilegio della musica delle parole.

L’aroma tassiano segna infine molte pagine dei Mém-

oires d’outre-tombe (1849) di Chateaubriand, spesso

connesso con le periclitanti e sventurate vicende degli ultimi Borboni di Francia: così alla notizia della fallita fuga di Varennes il giovane aristocratico francese ripa- rato in America si scopre un Rinaldo nel giardino d’Ar- mida (nelle forme di «un frutteto americano») e come un cavaliere di un’ultima crociata decide il ritorno in nome della fede per una causa di già molto perduta.

Stefano Verdino Università di Genova

Il dipinto Tancredi e Clorinda è opera di Louis-Jean- François Lagrenée (1725-1805)

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