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L’antitesi: una forma del pensiero e dello stile

Pierantonio Frare

G

ià durante la stesura della Gerusalemme liberata (o meglio, del Goffredo, come suonava il titolo provvisorio), Tasso sottoponeva i canti che man mano componeva al giudizio di amici e revisori. Uno di questi era Scipione Gonzaga, al quale, mandando gli ultimi tre canti con lettera del 1° ottobre 1575, Tasso fa una importante confessione: «Non so se Vostra Signoria abbia notato un’imperfettione del mio stile. L’imperfet- tione è questa: ch’io troppo spesso uso il parlar disgiun- to, cioè quello che si lega più tosto per l’unione e depen- denza de’ sensi, che per copula o altra congiunzione di parole. L’imperfettione v’è senza dubbio; pur ha molte volte sembianza di virtù, et è talora virtù apportatrice di grandezza: ma l’errore consiste nella frequenza»1. Si badi: «imperfettione» ed «errore» non è il «parlar disgiunto»; ma l’eccessiva frequenza del ricorso a esso. Vale dunque la pena di provare a descrivere questa ca- ratteristica che Tasso riconosce nel proprio stile, anche perché essa «molte volte» è «virtù», e «virtù» che serve a conseguire la «grandezza» dello stile. In buona sostan- za, Tasso collega tra loro le parole non tanto ricorrendo a legamenti grammaticali espliciti (congiunzioni, prepo- sizioni, sintassi della frase e del periodo), ma facendosi guidare dal “senso”, dal significato complessivo: ciò può provocare, a volte, oscurità, brevità eccessiva, approssi- mazioni concettuali che una critica di tipo normativo e razionale può facilmente cogliere. Ed è esattamente il contrario del periodo armonico, razionale, chiaro e tra- sparente di Ariosto.

Il «parlar disgiunto» e lo stile magnifico

Vediamo un esempio di «parlar disgiunto», facendoci guidare da Galileo, che, come sappiamo, fu gran soste- nitore di Ariosto (con cui condivideva l’atteggiamento classicistico e razionalista, nonché l’opzione linguistica in senso fiorentino) e detrattore di Tasso. Esaminando la prima ottava, Galileo si sofferma sull’ultima frase («Il ciel gli diè favore, e sotto a i santi / segni ridusse i suoi compagni erranti»), postillandola come segue: questo «è

un particolare, spiccato [tolto via] dalle cose precedenti

e posto qui per ripieno [come zeppa]: perché a non vo- ler dire che Il ciel ridusse i suoi compagni sotto i santi

segni stesse qui senza dipendenza [cioè, senza legame

logico-sintattico con quanto precede], bisognava che di sopra egli avesse detto che in vano l’Inferno disperse i suoi compagni, e non che in generale se gli oppose; e chi non averà prima letto tutto ‘l libro, non potrà sapere a che proposito sia detto questo, che il cielo ridusse i

compagni etc.»2. Galileo obietta che Tasso ha qui inse- rito un avvenimento (il ritorno dei crociati da Goffredo) di cui non era stato segnalato l’antecedente, cioè il fatto che essi erano stati dispersi. Dal punto di vista logico, l’obiezione non fa una grinza: ma la scelta di Tasso è per uno stile non minuto e particolareggiato, ma gran- de e magnifico, fondato su passaggi logici non sempre esplicitati ma non per questo impossibili a farsi, anche se ciò dovesse generare una certa oscurità. Il lettore può inferire senza troppe difficoltà che tra i modi in cui in generale l’Inferno si oppose all’impresa di Goffredo, ci fu anche quello di allontanare da lui i suoi compagni.

L’antitesi: una forma del pensiero e dello stile

Una delle figure retoriche più ricorrenti nella produzio- ne poetica di Tasso è indubbiamente l’antitesi. Secondo i manuali di retorica, essa consiste nella contrapposizione di due pensieri, che possono avere una estensione sin- tattica variabile; può presentarsi sotto forma di antite- si di frasi, di antitesi di gruppi di parole, di antitesi di parole singole. Pur avvertendo che i confini tra le tre tipologie sono incerti, possiamo cominciare a esemplifi- care dall’ultima classe, con qualche esempio tratto dalla

Gerusalemme liberata: «dolcemente feroce» (c. II, ott.

58), «vergogna audace» (2, 17), «pietate innessorabil»

1. T. Tasso, Lettere poetiche, a cura di C. Molinari, Fondazione Pietro Bem-

bo / Ugo Guanda editore, Parma 1995, pp. 224-25; le Lettere poetiche furono pubblicate nel 1585 e nel 1587.

2. G. Galilei, Considerazioni al Tasso, in Scritti letterari, a cura di A. Chiari,

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(4, 71), «l’assenzio e ‘l mel che tu fra noi dispensi» (4, 92), «udrà il mondo presente, udrà il futuro» (1, 28), «de’

veraci rumori e dei bugiardi» (1, 81). Anche nell’Aminta

non mancano antitesi di parole singole, come ad esem- pio «mal grata / la mia grazia» (I 151-52), «dispiacen-

te quanto di me piaceva altrui» (I 152-53), «odio il suo amore» (I 201), ...

Anche l’antitesi di gruppi di parole è ben rappresentata in entrambe le opere. Partiamo ancora dalla Gerusalem-

me liberata: «monstra in fresco vigor chiome canute»

(I, 53), «contra il poco e incerto / il certo e il molto» (II, 67), «su ‘l morto il vivo, il vincitor sul vinto» (XX, 51), «ed a chi gli nasconde o manifesta / il furto e ‘l reo, gran

pene e premi impone» (II, 10), «in ghiaccio e in foco, /

in riso e in pianto, e fra paura e spene» (IV, 93). Ecco alcuni esempi tratti dall’Aminta: «spirerò nobil sensi a’

rozzi petti» (I, 80), «a le più dotte cetre / le rustiche sam- pogne» (I 87-88), «l’ombra d’una breve notte / […] quel

che il lungo corso e il lume di mille giorni» (I 162-64), «le sue dolci lusinghe […], i tuoi dispettosi fastidi» (I 184-85), «piacevol padre di figlio crudele» (I 198). Ve- niamo ora all’antitesi di frase, frequente anch’essa sia nel poema epico sia nella favola pastorale. Gerusalemme

liberata: «e da me stesso / sempre fuggendo, avrò me sempre a presso» (XII, 77), «rendendomi a me, da me mi tolse» ( XIX, 95), «e trovando ti perdo eternamen- te» (XIX, 105), «giorno ch’a lei diè morte, a me natale»

(IV, 43), «e i voti loghi empire, e spianar gli erti» (I, 74). Aminta: «onde nasce il tuo odio? Dal suo amore» (I 197), «come poss’io altri trovare, se me trovar non

posso?» (I 359-60), «Se perduto ho me stesso, quale ac- quisto / farò mai che mi piaccia?” (I 361-62).

L’elenco di antitesi che abbiamo offerto è solo un piccolo campione tratto da un materiale molto abbondante, che è però rappresentativo di una caratteristica dello stile di Tasso, il quale è portato a pensare la realtà circostante, gli uomini, il mondo in termini di elementi contrapposti. Tanto è vero che risulta agevole constatare che lo stesso schema antitetico agisce anche a livello più alto: infatti, la stessa struttura narrativa e ideologica delle opere di Tasso è strutturata in termini antitetici: pagani contro cristiani, forze infernali contro forze celesti, male con- tro bene, amore contro odio, ... Non è certo un caso se la Gerusalemme liberata è un poema di guerra tra due parti ben definite, in cui i singoli duelli (guerra e duello costituiscono il versante narrativo della figura retorica dell’antitesi) hanno una parte così grande; e anche l’A-

minta è costruita sulla base di una contrapposizione tra

uomo e donna, tra offerta d’amore e rifiuto d’amore che si concilia solo alla fine.

L’antitesi è certo una figura retorica di antichissima tradizione: ma in Tasso essa non ha valore esornativo o decorativo, bensì costituisce il riflesso linguistico di una concezione del mondo dichiarata nei Discorsi

del poema eroico (l. III), laddove egli, esaminando la

grande varietà del mondo, è spesso portato a leggerla in termini di contrasti antitetici, di parti «con discorde concordia insieme congiunte e collegate»: «animali così feroci come mansueti», «qui frutti e fiori, là ghiacci e nevi», «qui abitazioni e culture, là solitudine ed orrori», ... Ne consegue che il poema che racconta questo mondo dovrà essere ugualmente composto di contrari: «concilii celesti ed infernali», «opere di crudeltà […], di generosi- tà», «avvenimenti d’amore or felici, or infelici, or lieti or compassionevoli». Questa presenza di elementi antiteti- ci rende il poema un analogo dell’universo, la cui strut- tura, come spiegava il filosofo greco Plotino, seguace di Platone e ben noto a Tasso, è composta da contrari. Tuttavia, come l’universo, fatto di contrari, è però uno, così anche il poema eroico deve essere uno: Tasso tenta quindi di comporre in unità le antitesi, costruendo un poema che le contiene (nel doppio senso del termine: le ospita e, ospitandole, le limita) ma che sia unitario nella trama e che si concluda con la vittoria di uno dei due ter- mini della contrapposizione; allo stesso modo, l’Aminta si conclude con il matrimonio tra Aminta e Silvia, che costituisce una composizione dialettica dell’antitesi di partenza tra i due personaggi.

Pierantonio Frare Università Cattolica

La raffigurazione di Goffredo di Buglione contenuta nel manoscritto miniato Libro do Armeiro-Mor, del 1509.

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Il volto dell’altro nella