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Le ragioni della letteratura e le conflittualità ideologiche

Perché Tasso decide di scrivere un poema sulla prima crociata, mettendo in scena un conflitto tra cristiani e musulmani? Anzitutto per motivazioni di ordine lette- rario, chiarite con precisione già nei giovanili Discorsi

dell’arte poetica, i quali assumono come guida teorica

di riferimento la Poetica di Aristotele. Un poema eroico deve attenersi al verisimile e narrare un’azione illustre; al contempo deve avere di mira il diletto dei lettori e quindi è necessario che in esso vi siano personaggi ed eventi meravigliosi. Esiste un meraviglioso verisimile? Per Tasso sì; è il meraviglioso della religione cristiana: il Cielo e l’Inferno, ossia Dio e i suoi angeli da un lato e, dall’altro, Satana e i suoi demoni. L’inserimento di tali realtà trascendenti nel poema, stando alle dichiarazioni di Tasso, non è determinato principalmente da intenti pedagogico-dottrinari, quanto piuttosto dalla volontà di attenersi al verisimile e allo stesso tempo di accrescere la piacevolezza dell’opera. Tasso scrive un poema sulla prima crociata perché si tratta di una «istoria di vera religione» e in questo modo l’autore può sia rispettare i precetti aristotelici sia assecondare i gusti del pubblico. Con ciò non si vuole negare che all’ideazione del poema potrebbero aver concorso anche altri fattori storico-cul- turali del secondo Cinquecento, a partire dalla minac- cia dei Turchi Ottomani fino all’impegno della Chiesa

cattolica nella lotta contro l’eresia luterana e calvinista. Bisogna però riconoscere che tali elementi sono secon- dari rispetto a quanto enunciato nei Discorsi dell’ar-

te poetica, che offrono una chiara e di fatto esaustiva

spiegazione delle scelte operate da Tasso. Bisogna poi tener conto di un altro elemento: nei Discorsi del poe-

ma eroico si afferma che l’autore epico deve «ricusare

le materie» «noiose e rincrescevoli soverchiamente», che convengono piuttosto al genere tragico: è nella tra- gedia, infatti, che si inducono gli spettatori alla pietà e al terrore, sollecitando in essi processi di identificazio- ne nei confronti di personaggi che passano dalla buona alla cattiva sorte. L’epico tassiano rappresenta sì una mutazione siffatta (i musulmani e l’Inferno sconfitti alla fine del poema), ma l’autore vuole sollecitare nei suoi lettori processi identificativi marcati nei riguardi di coloro che passano invece dalla cattiva alla buona sorte: in questo modo viene salvaguardata la distinzione di genere tra poema eroico e tragedia, distinzione im- prescindibile per un poeta come Torquato Tasso, defi- nito da Claudio Scarpati un «rigoroso restauratore dei generi classici nella letteratura volgare». Il finale deve essere percepito dal lettore come ‘positivo’, ragion per cui bisogna in qualche modo tenere sotto controllo l’i- dentificazione nei confronti degli sconfitti, attribuendo a questi caratteristiche negative: se guardiamo al poema nella sua interezza è difficile che il lettore si immede- simi marcatamente con essi, non c’è dubbio, ma questo è del tutto coerente – più che con generiche posizioni ideologiche, in qualche modo riconducibili a un suppo- sto ‘scontro di civiltà’ (clash of civilizations) – con la visione classicistica dell’autore. Ciò nonostante, Tasso – sia consentito ribadire una cosa ovvia – è poeta del- la complessità e lo è – affermazione forse meno ovvia – volutamente, coscientemente, come dimostra il fatto che la complessità non solo si acuisce con il passare de- gli anni, ma viene giustificata in sede teorica nei testi metaletterari del poeta. Alla fondazione di tale sguardo problematico, e di una problematicità che riguarda an- che il “volto dell’altro”, hanno concorso indubbiamente, per Tasso, due grandi modelli letterari, ossia l’Iliade e

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l’Eneide. Nell’Iliade, infatti, non vi è alcuna distinzione di ordine – per così dire – valoriale o morale tra Achei e Troiani: alcuni Troiani sono anzi molto più valorosi de- gli Achei. L’Eneide invece rivela sì un chiaro intento en- comiastico, per cui in essa vengono celebrate la vittoria di Enea e la fondazione della stirpe romana; e tuttavia il poema virgiliano mostra al contempo il risvolto tra- gico della vicenda narrata, il suo controcanto doloroso, dando espressione a quelle che Virgilio stesso chiama le

lacrimae rerum. Tasso guarda a questi modelli e per tale

motivo vuole che anche i pagani (o quantomeno alcuni di loro) mostrino comportamenti elevati, confacenti allo stile illustre del poema eroico. Inoltre, Tasso, come ogni grande narratore, vuole raggiungere un’efficace caratte- rizzazione dei personaggi e pertanto anche gli esponenti dell’esercito pagano devono presentare elementi di dif- ferenziazione e di profondità psicologica: non possono essere bloccati in un rigido schematismo, rappresentanti scialbi, mere allegorie di un codice ideologico. Per que- sti motivi lo sguardo sull’altro nel poema è uno sguardo

complesso, problematico e conturbante. Ecco come na- scono Armida, Argante, Clorinda, personaggi che in- terrogano e affascinano. Sono precisamente le ragioni della narrazione (cioè le ragioni letterarie, relative all’ef- ficacia narrativa, nonché la volontà di emulazione dei modelli) a indurre questo autore dell’età moderna a os- servare l’altro in un modo non superficiale, con un’ina- spettata disponibilità all’immedesimazione. È insomma la letteratura a creare una distanza tra l’autore Tasso e il suo contesto storico-culturale, segnato tragicamente da conflittualità forti, come pure dagli abituali processi di degradazione cui viene in genere sottoposto il diverso. Nel poema troviamo tali elementi di conflittualità e di degradazione, senz’altro; e d’altronde, scriveva Walter Benjamin, non c’è mai documento di cultura che non sia, allo stesso tempo, documento di barbarie. Eppure nel poema tassiano c’è altro – e non è poca cosa –; c’è uno scarto, qualcosa di non riconducibile alla rigidità dello scontro ideologico; c’è qualcosa che sfugge all’inelut- tabilità delle antinomie inconciliabili: sono avvertibili

Domenichino (pseudonimo di Domenico Zampieri, Bologna 1581 - Napoli 1641) dipinse Rinaldo e Armida nel 1620 (ca). Appartenuta al duca di Mantova Ferdinando Gonzaga, oggi l’opera può essere ammirata a Parigi, al museo del Louvre

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dei punti di fuga dalla conflittualità, sotto il segno di una humanitas che accomuna vincitori e vinti. I pagani non sono affatto demonizzati nel poema. O meglio sono “demonizzati” nel senso che sono ricondotti alla dimen- sione infernale, ma nella Liberata, come ha scritto Gui- do Baldassarri, l’‘infernale’ è sottoposto a «un costante processo di sublimazione». Si pensi al concilio infernale delle prime ottave del canto IV del poema, dove a Satana vengono riconosciute una dignità, una fierezza, una, sia pur orrida, maestà. Il suo celebre discorso presenta delle chiare venature antimperialistiche, che problematizzano l’ideologia dell’impresa crociata, basata esclusivamente sulla forza di una divinità prevaricatrice. Certo, queste parole sono messe in bocca a un personaggio, se così possiamo chiamarlo, negativo, con il quale il lettore non è portato a identificarsi. Eppure lo stesso lettore non può non riconoscere che anche Satana ha le sue ragioni: il poeta in questo modo provoca e induce a riflettere.

«In tutti i modi e da tutte le persone la