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In apertura di poema, nel secondo canto, l’episodio appa- rentemente chiuso in se stesso e slegato dal resto dell’a- zione epica, quello, celebre, di Olindo e Sofronia, sembra

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assumere invece valore emblematico e prefigurativo delle successive esperienze amorose del poema. Caratterizzato dalle sfasature affettive di cui si è detto, tranne che per l’appartenenza di entrambi i protagonisti allo stesso cor- po sociale, quello dei cristiani di Gerusalemme oppressi dal re Aladino, la vicenda del giovane Olindo e della «non amante amata» (G.L. II 28) Sofronia, modello di eroina biblica che apre la straordinaria e variegata galleria fem- minile della Liberata, si compie all’insegna del gesto sacrificale estremo di Olindo che si offre al martirio al posto dell’altrettanto innocente amata, e nella prossimità (anche fisica dei due personaggi, legati tergo a tergo sul rogo) della morte, che converte la divaricazione affettiva in reciprocità, fino al lieto fine delle nozze.

Lo schema dell’episodio – privato tuttavia di qualsiasi meccanicità o prevedibilità e ogni volta risignificato dal- la specificità delle circostanze e della stessa personalità dei protagonisti – impronta, nella molteplicità delle sue varianti, i successivi ‘romanzi interni’ della Liberata. Gli sviluppi narrativi, di essi appaiono tracciati dal gioco delle polarità antitetiche prigionia-libertà, sogno-realtà, amore-morte, amore-odio, riconducibili alla fondamenta- le opposizione tra necessità e desiderio, ovvero Onore e Amore, virtus e voluptas, agenti primari dell’antropologia culturale tassiana, la cui dinamica, al centro anche dell’A-

minta (si veda in proposito il contributo di Marco Corra-

dini) appare così tema di riflessione prediletto dal Tasso degli anni Settanta. La coesistenza di simili tensioni con- trarie connota psicologicamente i personaggi, Erminia, Tancredi, Clorinda, Rinaldo e Armida, coinvolgendoli in un sotterraneo sistema di relazioni complementari. La divaricazione, ad esempio, tra desiderio e necessità, volontà e dovere, tormenta la giovane pagana Erminia, esperta di arte medica, che, dopo il feroce duello fra il circasso Argante e Tancredi, rimasti entrambi feriti, deve prestare soccorso al primo (“nemico” per il suo punto di vista soggettivo che costantemente capovolge la realtà sto- rica), mentre il suo desiderio sarebbe di curare il principe cristiano di cui è segretamente e perdutamente innamora- ta dal tempo in cui era stata fatta da lui prigioniera (G.L. VI 68: «Ella l’amato medicar desia / e curar il nemico a lei conviene»). Nelle ottave seguenti, in cui prende corpo in Erminia il progetto di fuggire nottetempo da Gerusalem- me per raggiungere il ferito Tancredi nell’accampamento crociato, il dissidio interiore della giovane si dramma- tizza in una vera e propria rappresentazione del doppio, con esiti di grande modernità nella scrittura tassiana che entra nei pensieri del suo personaggio, immedesimandosi in lui e mostrando così ciò che allo storico non è dato mostrare: il volto nascosto, quello soggettivo, interiore, della realtà. Erminia si sdoppia, prima nel discorso con cui Onore intende dissuaderla dalle sue intenzioni che la

consegnerebbero a un destino di amante clandestina in mezzo a un popolo nemico, disonorata e per questo di- sprezzata da Tancredi stesso; poi nella replica, vincente, di Amore, tesa a convincerla della bontà del suo progetto, prospettandole un futuro di sposa felice e integrata nella comunità latina. Necessità e desiderio dilaniano Rinaldo che le ragioni della storia e la riacquisita consapevolezza del compito cui è chiamato spingono ad abbandonare Ar- mida svenuta sulla spiaggia delle Isole Fortunate, quando «pietà e cortesia» (G.L. XVI 72) lo tratterrebbero presso di lei. Dimentico della guerra stessa e del suo dovere di crociato è Tancredi a ogni apparizione della ‘nemica ama- ta’ Clorinda, della quale sarà insieme amante e assassi- no, carnefice e salvatore (è colui che dà «vita con l’acqua a chi col ferro uccise»: G.L. XII 68), vincitore e vittima dopo che la logica necessitante della guerra lo ha costretto al duello con lei. «Ira e desìo», «amore e sdegno» con- vivono nel «discorde sen» di Armida nel canto XX, ora «nemica amante», non più predatrice ma preda d’amore, che vuole e disvuole, desidera uccidere e cerca di darsi la morte (G.L. XX 63-126).

Come si è detto, nell’incombere della morte si compiono i destini degli eroi amanti della Liberata: la morte in guerra consacra definitivamente nell’unità i consorti, combatten- ti dell’esercito cristiano, Gildippe e Odoardo (altra coppia che compare in funzione emblematica all’inizio del poema e che si rincontra nella battaglia finale); nel sangue si com- pie il congiungimento fra Tancredi e Clorinda («già simile a l’estinto [Clorinda] il vivo [Tancredi] langue / al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue»: G.L. XII 70); e l’eroina, ri- nata a nuova vita nel battesimo, consola con parole d’amo- re il principe apparendogli in sogno; le lacrime sanciscono il riunirsi delle strade divaricate di Erminia e Tancredi e di Rinaldo e Armida: l’«umor vivace» delle lacrime di Erminia sul volto esanime di Tancredi ferito nel nuovo e risolutivo duello con Argante e da lei creduto morto,

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tudi rianima l’eroe il cui sospiro si ‘confonde’ con lo «spirto»

vitale trasfuso nelle sue labbra dal bacio della donna. Ora la ‘piagata’ d’amore può finalmente curare le piaghe di Tancredi e con lui sarà ricondotta a Gerusalemme (G.L. XIX 104-119). Uscito, ancora una volta, dalla battaglia per inseguire Armida, Rinaldo blocca la mano che la non più vittoriosa maga, ma la donna «vinta» d’amore, ha alzato su di sé nel gesto suicida e «confonde» con le lacrime di lei il suo pianto in cui «pudica la pietà sfavilla». Il reciproco offrirsi del cavaliere «come nemico no ma tuo campione e servo», e della donna, audacemente, come «ancilla tua» risolve nei termini cortesi e cristiani del servizio verso l’al- tro l’opposizione servitù- libertà che aveva caratterizzato la loro vicenda nell’illusorio eden del giardino di Armi- da (G.L. XX 128-136). Simbolo di rigenerazione, e ma- nifestazione della pietà e del dolore, l’acqua, nella forma dell’acqua battesimale di Clorinda – preludio della pioggia benefica che di lì a poco si riversa sul campo cristiano ‘sal- vandolo’ dalla mortifera siccità e decretando l’inizio del rivolgimento in positivo della sua sorte –; e l’acqua nella forma delle lacrime di Erminia, di Rinaldo e di Armida (ma anche della ‘feroce’ Silvia che piange la creduta morte di Aminta) rappresenta, nel momento estremo dell’oppo- sizione vita-amore e morte, il segno della risoluzione nella dimensione dell’apertura verso l’altro. È significativo che proprio la pietà e il dolore, germi dell’amore così inteso, permettano tale compimento attraverso un gesto di salvez- za: Odoardo muore insieme a Gildippe tentando di salvar- la; Olindo chiede la morte perché ne sia strappata Sofronia e la pietà di Clorinda (G.L. II 43) salva entrambi; Tancredi dona salute a Clorinda amministrandole il battesimo; Er- minia soccorre e rianima il quasi morto Tancredi; Rinaldo salva Armida da sé stessa.