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L’ambiguità è l’arma più efficace di Ariosto. Tante sono le stranezze, le incongruenze, i paralogismi. Già il rac- conto che la donna fa a Ruggiero sulla storia di Mar- ganorre è sospetto, sofistico. La donna sottolinea che Marganorre «fu sempre crudel, sempre inumano e fero», ma soggiunge che per un certo tempo ha tenuto «il cor maligno ascosto». Come può sapere la donna che questo è vero? Se Marganorre, finché i figli erano vivi, ha sapu- to nascondere e dissimulare la sua “genetica” malvagità, come ha fatto la donna a capire quale fosse il suo vero carattere innato e originario? Lo ha dedotto da vicende precedenti alla nascita dei due figli? Questo non viene precisato. Come può escludere la donna che Marganorre sia diventato cattivo per il trauma insopportabile della perdita dei figli? Perché affermare in modo così peren- torio che Marganorre è sempre stato malvagio, costituti- vamente e ontologicamente? Le sciagure capitategli non sono determinanti? E ancora: perché insistere nel dipin- gere Marganorre come “tiranno” solo perché, quando ormai era quasi impazzito dal dolore, ha abusato dei suoi poteri per esiliare le donne? In realtà, come tiranno, è assolutamente atipico perché gli mancano quei tratti di incontinenza e intemperanza sessuale e alimentare, di ambizione ed egoismo che già gli antichi greci (vedi Erodoto, nelle Storie e Platone nella Repubblica) asso- ciavano alla figura del tiranno, uomo passionale travolto dagli appetiti ciechi della parte irascibile e concupiscibi- le dell’anima umana. Platone, nella Repubblica (344ss.), sostiene che la tirannide rappresenta la forma assoluta di ingiustizia e si impossessa dei beni altrui ricorrendo «alla frode e alla violenza». C’è effettivamente un passo di Platone che contiene molti elementi psicologici pre- senti in Marganorre, e si trova in Repubblica VIII,565 e – 566. Dice Platone:

Dunque, colui che comanda sul popolo, se ha a che fare con una massa troppo sottomessa, qualora non si astenga dal san- gue dei suoi stessi concittadini e familiari, ma accusando in- giustamente, citando in tribunale i suoi sostenitori, si macchi di sangue facendo morire qualcuno, assaporando con lingua e bocca empia il delitto dei suoi stessi congiunti, e mandi in esilio e uccida, mentre ad altri annunci il condono dei debiti e distribuzione di terre, non dovrà conseguentemente e fa- talmente perire a causa dei suoi avversari, oppure diventare tiranno e da uomo che era trasformarsi in lupo?

Il passo platonico è fondamentale, ma conferma il carat- tere atipico della tirannide di Marganorre. Nel tiranno ariostesco ritroviamo alcuni caratteri descritti da Plato- ne, come la capacità di simulare e ingannare unita alla

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violenza («Fu il signor del castel… sempre crudel, sempre inumano e fero, ma tenne un tempo il cor maligno ascosto né si lasciò conoscer così tosto») (ottava XLIV). Ritrovia- mo in Ariosto anche il riferimento al sangue e l’immagine del lupo («il sangue uman, ma ‘l feminil più brama, che ‘l lupo non lo brama de l’agnello») (ottava XLIII). Sono pre- senti i riferimenti all’esilio e alla passività del popolo: («e quel medesmo dì fe’ andare un bando, che tutte gli sgom- brassimo il paese») (ottava LXXXI); («egli da la sua gen- te è sì temuto, ch’uomo non fu ch’ardisse alzar la testa») (ottava LXXX). D’altra parte, però, Platone caratterizza il tiranno come una persona senza scrupoli che arriva a uccidere, pur di consolidare il suo potere, anche amici e parenti, mentre Marganorre si mostra, come detto, molto attaccato ai figli e per nulla egoista. Inoltre Platone, in

Repubblica IX, 573 e, parlando dell’uomo tirannico, dice:

«Un uomo diventa tiranno quando per natura o abitudine diventa ebbro, innamorato o folle». Il tiranno si compia- ce di costumi sessuali sfrenati, di feste e banchetti in cui sorgono “terribili desideri”.

Tiranneggiato da Eros, divenuto da sveglio tale quale era in sogno, non si asterrà da nessun efferato omicidio né da alcun cibo o impresa delittuosa, ma Eros, che si è ormai tirannica- mente insediato nel suo animo nella totale anarchia e illega- lità, diventato egli stesso sovrano, spingerà colui che ormai domina verso ogni rischio (Rep. IX, 574 b).

In sostanza Platone dice che l’uomo tirannico è tale per- ché è lui stesso “tiranneggiato” dalle passioni più irra- zionali e incontrollabili, prima fra tutte l’Eros, che apre la porta a tutte le altre intemperanze. Ebbene, tutto ciò non ritroviamo nel Marganorre di Ariosto che, al con- trario, si mostra molto lucido e riflessivo, almeno prima della tragedia dei figli. Non si dice mai che è sensibile agli allettamenti amorosi o del cibo. In realtà, a diffe- renza del discorso platonico sulla tirannide, che spiega analiticamente e “storicamente” la genesi socio-politica, morale e psicologica della tirannide, il canto XXXVII di Ariosto non dice nulla di tutto ciò. Marganorre è con- notato da tratti quasi mitici che ne fanno una sorta di demone senza passato.

Resta un altro elemento tipico della tirannide, l’arbitra- rietà autocratica delle sue decisioni. Erodoto, in Storie III, 80, fa dire al nobile persiano Otane: «Come dunque potrebbe essere un’istituzione equilibrata la monarchia, a cui è lecito fare ciò che vuole senza dover risponde- re dei propri atti?». Sofocle, nell’Antigone, 738, fa dire al tiranno Creonte: «La città non appartiene forse a chi comanda?», e nell’Edipo re, 872: «La dismisura genera il tiranno». Questo ovviamente è un aspetto ben attesta- to in Marganorre, ma non si può non sottolineare che mentre i tiranni sofoclei sono molto astuti e calcolatori

nell’imporre anche normativamente la loro volontà, Marganorre emana i suoi assurdi decreti ormai in preda alla follia, al dolore e alla disperazione: «Amor, pietà, sdegno, dolore et ira, disio di morte e di vendetta in- sieme quell’infelice et orbo padre aggira, che, come il mar che turbi il vento, freme» (ottava LXXVII); «Quel pazzo impeto al fin fu ritenuto /…./ E tuttavia la còl- era durando di cacciar tutte per partito prese» (ottave LXXX-LXXXI). L’animo di Marganorre è impazzito dal dolore, vi si confondono sentimenti nobili e uma- nissimi con impulsi bestiali. È questo lo stato d’animo profondamente alterato in cui il tiranno fa pesare tutto l’arbitrio e tutta la forza coercitiva del suo potere. E con- traddittori risultano anche i figli i quali, descritti in un primo momento come totalmente diversi dal padre in quanto gentili e umani, si rivelano ben presto sfrenati, violenti, passionali (tanto da rispondere, loro sì, all’iden- tikit psicologico del tiranno platonico).

Tutto è incoerente, tutto sfugge alla spiegazione razionale e non si lascia definire e giudicare attraverso categorie morali. Chi è il cattivo, il padre o i figli? È credibile un ti- ranno così premuroso verso i suoi figli al punto da sacrifi- care le proprie inclinazioni recitando una “parte”? Un ti- ranno, normalmente egoista, può alloggiare nel suo animo sentimenti così nobili di paterno affetto? Il poeta sembra voler avvalorare la tesi di un cambiamento nell’animo dei figli di Marganorre imputabile a un fattore esterno, l’in- namoramento casuale nei confronti di due donne. Dice: «Sarian stati sempre di laude degni….s’in preda non si fossino sì dati a quel desir che nominiamo amore per cui dal buon sentiero fur traviati al labirinto et al camin d’er- rore» (ottava XLVII). Ancora il tema del “labirinto”: Ma è il labirinto degli eventi esterni, fortuiti, indecifrabili o si tratta di un labirinto interiore? In ogni caso questi versi

Nato a Reggio Emilia nel 1474, Ludovico Ariosto ebbe un legame strettissimo con la città di Ferrara, dove studiò e trascorse la maggior parte della vita. L’immagine mostra l’ingresso dell’abitazione che il poeta acquistò in contrada Santa Maria in Vado nel 1526

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sembra vogliano deresponsabilizzare e giustificare l’insa- no comportamento dei figli. Non c’è colpa, da parte loro. E allora? Lo stesso si può dire del padre?