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2 Framework teorico di riferimento

Il framework teorico di riferimento è di carattere pedagogico e antropologico. In particolare ci si è riferiti alla pedagogia interculturale e all’antropologia linguistica.

“I movimenti di persone attraverso i confini nazionali sono tanto antichi quanto lo stato-nazione stesso, tuttavia mai prima d’ora nella storia delle mi-grazioni mondiali lo spostamento di gruppi diversi per lingua, religione, etnia e cultura è stato così rapido e numeroso, suscitando questioni inedite sui temi della cittadinanza, dei diritti, della democrazia e dell’educazione” (Banks 2009: 10).

I migranti, perciò, proprio perché spezzano la continuità tra uomo e cittadino che è alla base della teoria illuministica dei diritti (Remotti 2008), finiscono per diventare un elemento di turbolenza all’interno delle nazioni e tra le nazioni stesse. La questione dell’integrazione e dei modelli di integrazione è così scottante che è divenuta centrale sia a livello di politiche europee sia a livello di politiche locali. Soprattutto a livello micro, tuttavia, l’accento delle politiche sui temi della sicurezza rischia di produrre effetti che, anziché promuovere processi virtuosi di integrazione, sbilanciano le azioni su un versante che talvolta rasenta il razzismo, basti pensare al tema dell’accoglienza dei profughi e agli effetti prodotti sull’opi-nione pubblica dalle diverse ondate di sbarchi (Van Aken 2005).

Il rapporto OECD 2006 From Immigration to Integration: Local Approaches segnala come la dimensione chiave dell’integrazione sia il locale, dove le persone si incontrano, convivono, condividono spazi e tempi di vita. E proprio in questo senso Banks (2009), analizzando i processi di integrazione nel contesto scolasti-co, parla di paradigma multifattoriale per la promozione dell’integrazione. Tra le cinque dimensioni chiave dell’educazione multiculturale Banks evidenzia la necessità di promuovere il rafforzamento culturale delle istituzione scolastiche sui temi dell’integrazione/interazione, ad esempio attraverso azioni di carattere formativo. Aggiunge tuttavia, che il capacity building2 delle istituzioni scolastiche non può non essere accompagnato da interventi specifici anche sui contesti in cui le scuole sono inserite, in modo da garantire maggiore equità e partecipazione alla vita della comunità per tutti (Banks 2009: 17). In questo senso non è possibile un’educazione interculturale se non in un contesto integrato in cui gli elementi formali, non formali ed informali dell’educazione concorrono a definire un pa-radigma multifattoriale di integrazione (Banks 2009: 26-29).

Le politiche europee e dei paesi OECD in tema di immigrazione continuano a considerare l’integrazione una priorità fondamentale a cui si risponde con stra-tegie nazionali di ampio respiro finalizzate al perfezionamento dei programmi di integrazione esistenti e alla messa a punto di nuovi piani di azione. Il centro di interesse delle politiche europee oscilla tra l’attenzione agli immigrati già 2 Espressione, che significa letteralmente «capacità di costruzione», utilizzata per indicare un processo continuo di miglioramento degli individui in un ambito economico, istituzionale, manageriale. Il capacity building si riferisce ad un processo interno a un’organizzazione che può essere potenziato o accelerato da apporti esterni in grado di favorire il rafforzamento delle potenzialità attraverso l’utilizzo di capacità già esistenti. Si distingue però dai processi di apprendimento realizzati attraverso percorsi di formazione, perché quest’ultima agisce sulle competenze degli individui, ma non sui contesti organizzativi e sui sistemi in cui tali competenze si esplicano e non necessariamente ne amplia le possibilità potenziali. Il capacity building include quindi tutte le attività legate allo sviluppo delle risorse umane, ma anche alla creazione di un ambiente in grado di innescare percorsi virtuosi che favoriscono la sostenibilità e l’innovazione prendendosi cura non solo degli individui e delle organizzazioni, ma dei contesti in cui individui e organizzazioni agiscono.

inseriti e l’enfasi sui nuovi arrivati. Un denominatore comune tra queste misure di intervento è la priorità assegnata all’integrazione nel mercato del lavoro e al rafforzamento della formazione e istruzione per l’integrazione, ivi incluso l’in-segnamento della lingua seconda (OECD 2013).

Per quanto riguarda gli aspetti di carattere linguistico, si è partiti dall’as-sunto che in un contesto transfrontaliero sia possibile osservare, nelle pratiche scolastiche e di vita, all’opera il concetto di superdiversità (Vertovec 2007). La super-diversità è caratterizzata dalla complessificazione e articolazione delle ca-tegorie di migranti, non solo in termini di nazionalità, etnia, lingua e religione, ma anche in termini di motivazioni, modelli e percorsi della migrazione, processi di inserimento nel mondo del lavoro, accesso alle abitazioni e ai mercati delle società ospitanti (Vertovec 2010).

Uno degli effetti cruciali della superdiversità (Vertovec, Wessendorf 2005) è che le lingue, le culture, le biografie, i repertori, le forme di comunicazione e interazione tra gli individui, i gruppi e le comunità non possono essere presuppo-sti. Gli usi linguistici, infatti, passiamo qui al secondo assunto teorico, non sono più necessariamente legati a gruppi nazionali o etnici o a varietà standard della lingua, ma comprendono, invece, un vasto campo di attori meno prevedibili, di attività e di energie creative e sono il frutto delle combinazioni e dell’intrecciarsi di stabilità e instabilità, fiducia nella tradizione e negli ordini normativi costituiti e produzione di nuove forme emergenti e situate di pratiche linguistico-sociali (Pennycook 2010; 2012).

In generale potremmo descrivere la situazione linguistica della maggior parte dei paesi del mondo come caratterizzata da una costante che De Mauro (2006) ha denominato “crisi del monolitismo linguistico” e della connessa trinità herderiana, una lingua - una nazione - uno Stato, che, secondo De Mauro, non avrebbe più ragione di essere. Anche sul piano delle teorie linguistiche, “l’idea che un parlante debba aderire a una lingua intesa come un monolite […] ha cominciato a cedere il passo a una più realistica visione di parlanti che vivono, o quanto meno, se vogliono, possono vivere assai liberamente facendo ricorso ai mezzi che le lingue a loro note offrono per esprimersi” (De Mauro 2006: 18-19).

Anche i lavori di Jacquemet (2005), Gal (2006), Blommaert (2010), Pennycoock (2010), sottolineano come, nell’era della globalizzazione, occorra analizzare le lingue come un complesso di risorse a disposizione e utilizzabili da comunità e da individui, cioè come pratiche locali, transnazionali e come miscugli.

Le realtà scolastiche oggetto di ricerca costituiscono indubitabilmente esempi di come questi miscugli si concretizzino nelle pratiche educative formali e non formali.

3 I protocolli: pratiche discorsive di integrazione/