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Frantumazione del potere politico e consolidamento del potere ecclesiastico

86 CRACCO RUGGINI 2004; CRACCO RUGGINI 2007 87 PIETRI 1987, pp 354-355.

1.3. Impero Occidentale tardoantico e l’affermazione del potere temporale della Chiesa

1.3.2. Frantumazione del potere politico e consolidamento del potere ecclesiastico

La pace e la relativa prosperità di cui godette la penisola italica sotto i regni di Odoacre prima e di Teoderico in seguito furono in parte debitrici della premurosa politica bellica intrapresa dai due regnanti, i quali preferirono affrontare i nemici al di

136 AZZARA 2013, p. 45.

137 Sulle modalità di stanziamento dei Goti di Teoderico, sulle infrastrutture e le aree interessate ed

indagate AZZARA 2013, pp. 38-55, con bibliografia annessa.

138 Sull’assetto della Liguria tra V e VI secolo THOMSON 1947, pp. 239-341; PORENA 2004, pp. 543-

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fuori dei confini settentrionali del proprio dominato risparmiando il suolo italico da ulteriori sconvolgimenti139. Come abbiamo visto, questo periodo di relativa stabilità contribuì al vitalismo delle regioni di confine della penisola, poste allo sbocco dei valichi alpini e indotte ad interfacciarsi regolarmente con le reali esigenze del sistema militare in continua strutturazione e movimento sul proprio territorio regionale. Di fatto, fu durante il regno di Odoacre, ma ancor più sotto la reggenza di Teoderico, che vennero poste le premesse per la progressiva militarizzazione delle aree nord- occidentali della penisola. Particolare riguardo venne riservato dal re amalo agli approdi marittimi, di cui non sottovalutò l’importanza, ben conscio che i commerci e le azioni militari necessitavano di valide strutture ricettive tanto via terra quanto lungo le coste funzionali sia all’approdo e alla manutenzione delle navi cariche di truppe, di vettovagliamenti e, talvolta di frumento annonario destinato alle popolazioni colpite da carestia. L’interesse che il reggente prestò alle vie di comunicazione è indirettamente confermato dagli scavi archeologici delle stazioni di posta lungo la via

Iulia Augusta e dall’Itinerarium Maritimum140 nella sezione della rotta Roma-Arles recentemente ridatata al primo decennio del VI secolo. In rapporto alla Liguria di Ponente, nell’Itinerarium si possono leggere i nomi di Genua e gli scali di Vada

Sabatia e Albingaunum, Portu Maurici; il porto fluviale di Tavia e uno scalo di minore

importanza, Vintimilia dove, come nel non lontano porto di Nicia, forse si aveva la sola possibilità di tirare a secco le navi.

I trentatré anni che trascorsero sotto la direzione di Teoderico258, si rivelarono un’esperienza di governo tutto sommato positiva per la penisola italica. Sotto il profilo demografico, nel momento del loro insediamento in Italia, gli Ostrogoti non rappresentavano che una minoranza ristretta e costituivano un gruppo etnico omogeneo. Il punto focale attorno al quale ruotava l’intera politica teodericiana fu la pacifica cooperazione tra Romani e Goti negli svariati ambiti della vita pubblica nella quale egli mirava a mettere a profitto l’alto livello culturale dei primi e le sviluppate capacità marziali dei secondi141.

139 MARCENARO 2006, p. 14; per l’atteggiamento adottato da Teoderico in politica estera AZZARA

2013, pp. 63-66.

140 MENNELLA 2004; UGGERI 2004.

141 MARCONE 2000, p. 103; GERACI-MARCONE 2009, pp. 268-269; AZZARA 2013, pp. 28-38; pp.

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Senza inoltrarci nel merito della discussione sulla complessità costituzionale del governo teodericiano in Italia, ci si limita in questa sede a sottolineare l’estrema eterogenesi della realtà socio-politica, pervasa da numerosi aspetti contradditori, con cui il sovrano amalo doveva raffrontarsi. Teoderico si trovava non solo nella condizione di dover legittimare una monarchia dal profilo tradizionalmente goto su di un territorio che era stato l’epicentro ed il cuore della romanità, ma egli si trovava a capo di una Stato in cui Goti e Romani vivevano, di fatto, in qualità di gruppi etnici diversi e distinti, uniti solamente dal comune governo di chi li reggeva142. A tale

situazione dovevano inoltre aggiungersi gli indefiniti rapporti con Costantinopoli, al contempo ideale di subordinazione, ma anche di emulazione e concorrenza. In questo complicato gioco di equilibri, il sovrano amalo finì, di fatto, per svolgere le funzioni proprie di un imperatore, in linea di continuità diretta con i principes Romani del passato. Per raggiungere il suo progetto di collaborazione tra i due gruppi etno-politici, Teoderico predilesse la sostanziale conservazione dell’impalcatura amministrativo- burocratica del tardo impero a cui accostò l’inquadramento, sostanzialmente militare, dell’exercitus di foederati. Mentre i Goti erano, dunque, gli unici ad avere il diritto e il dovere di portare le armi, ed erano governati da comites, i Romani furono rigorosamente esclusi dall’esercito e formavano una comunità distinta che viveva secondo il tradizionale diritto romano143. Tuttavia, il peso politico e sociale che i nuovi abitanti dell’impero vennero ad acquisire non fu ininfluente dal momento che essi ricadevano in maniera elevata nel ceto dei possessores144: ora l’aristocrazia gota, che ricopriva alte cariche militari, si affiancava ai ministri e ai consiglieri romani nel consiglio del re (il consistorium)145. In questo modo, la giustapposizione dei due popoli sul territorio italico si tradusse, dal punto di vista effettivo, in un’ambivalenza etnica definita e distinta sia nelle funzioni – rispettivamente civili per i romani e militari per i goti – che nel credo religioso – erano cattolici i romani e ariani i goti – che costituiva un importante elemento identitario.

142 VITOLO 2007, p. 38.

143 VITOLO 2007, p. 38; AZZARA 2013, pp. 28-38. 144 GERACI-MARCONE 2009, p. 268.

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La diversità di confessione, sempre mantenuta dai due popoli come elemento distintivo, si riscontrava di fatto nella coesistenza tra gli istituti religiosi e gli edifici di ariani e cristiani sul suolo italico. Ravenna costituisce un esempio lampante di questo dualismo architettonico, fiorito in epoca ostrogota per iniziativa regale ed ecclesiastica: sotto Teoderico la città visse un periodo di forte sviluppo edilizio mirato ad abbellire gli spazi del potere attraverso numerose opere pubbliche e chiese, queste ultime concentrate principalmente nell’area nord-orientale della città. Alla committenza gota sono da attribuire la chiesa di Sant’Apollinare Nuovo, con probabile funzione di cappella palatina, e la ecclesia Gothorm posizionata a nord del palazzo imperiale. Al di fuori delle mura, nel suburbio, sorsero le chiese di Sant’Eusebio e San Giorgio ad Tabulam. Negli stessi anni per iniziativa cattolica, l’area nord della città venne interessata dalla costruzione di chiese, vicino a Santa Croce. Infine, sotto l’episcopato di Ecclesio (522-533) e del suo successore Vittore (538-545/546) vennero avviati i lavori di edificazione di San Vitale, conclusi solamente durante il vescovato di Massimiano (546-556) grazie all’impulso dell’Imperatore Giustiniano e al contributo del banchiere Giuliano.

Nell’ambito di questo dualismo effettivo, il monarca goto, che era ariano, dovette inevitabilmente rapportarsi con gli istituti della Chiesa, prima fra tutte il papato, adempiendo alla serie di doveri connaturati nella figura del princeps, tra cui la particolare responsabilità di fronte alle questioni di dottrina religiosa. Sul piano politico, la situazione poteva essere sfruttata positivamente da entrambe le parti: da Teoderico in quanto il sostegno delle gerarchie cattoliche significava avere parte di quello del ceto dirigente romano; dalla Chiesa cattolica che vedeva nella nuova reggenza la possibilità di assicurare la pace e una stabilità istituzionale.

Un coinvolgimento diretto nelle faccende interne della chiesa avvenne durante il cosiddetto scisma laurenziano iniziato nel 498, nel momento in cui fazioni diverse dell’aristocrazia e del clero romano, a causa di accese rivalità, elessero in contemporanea due pontefici: il diacono Simmaco e l’arciprete di Santa Prassede, Lorenzo. La posizione di sostanziale equilibrio mantenuta da Teoderico per tutta la durata del conflitto, che era nato in seno allo scisma acaciano (484-519)146 e che visse

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numerose fasi alterne fino al 506, sembra inserirsi coerentemente nel contesto d’azione costituzionalmente corretta, in linea con la sua politica di mediazione. A più riprese, il sovrano avrebbe agito secondo prerogative costituzionali che erano tradizionalmente riconosciute al princeps, dispensandosi dall’esprimersi nel merito della vicenda e di favorire una o l’altra delle due parti, ma rimettendo ai concili le decisioni finali.

Purtroppo, alla lunga la collaborazione tra Goti e Romani sul suolo italico e i rapporti di equilibrio instaurati con la corte orientale si rivelarono insostenibili e intono al 520 i legami stabilitisi tra le varie fazioni si avviarono verso un processo degenerativo sfociato nella ventennale guerra greco-gotica (535-553) e nella definitiva scomparsa dei Goti, in quanto gruppo etnico, dalla penisola. Uno dei fattori che, portato all’esasperazione, condusse al confitto fu indubbiamente la mancata fusione tra i goti e i romani. Con tutte le problematiche che questa struttura sociale e politica bipartita implicava e prima fra tutte una forte instabilità di governo, ogni tensione preesistente venne acuita nel momento in cui le politiche internazionali di Costantinopoli tornarono a guardare all’Occidente come una realtà posta alle sue dipendenze. Alle ostilità di natura politica tra Costantinopoli e Ravenna si accostarono quelle di natura religiosa, anche in ragione del riavvicinamento della corte imperiale al papato, e mentre gli imperatori Orientali prendevano provvedimenti contro i fedeli di Ario, in aperta opposizione al governo goto in Occidente, Teoderico rispondeva con provvedimenti speculari a danno dei cattolici nel suo regno: le chiese ortodosse vennero chiuse, espropriate o distrutte.

Le tensioni arrivarono a coinvolgere direttamente la figura del papa e Giovanni I venne costretto a farsi portavoce delle ragioni degli eretici presso la corte orientale di Giustino I per poi essere imprigionato al suo rientro in Italia da Teoderico, insoddisfatto dai risultati ottenuti. La morte del pontefice, sopraggiunta durante gli anni di prigionia, consacrò la definitiva rottura tra il sovrano e la Chiesa. L’amalo si spense nell’agosto del 526 e con lui qualsiasi possibilità di integrazione tra i Goti e i Romani.

Le sorti del regno passarono nelle mani della figlia Amalasunta, reggente per il figlio infante Atalarico. Nel 534 la regina associò al trono, sposandolo, uno dei membri più influenti dell’aristocrazia gota Teodato, il quale però, invece di tentare di ricucire i rapporti all’interno del regno e con la corte costantinopolitana esasperò le tensioni in

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ambedue le direzioni. La richiesta d’aiuto rivolta a Giustiniano da Amalasunta, preoccupata per la politica antiromana perseguita con ostinazione dal marito e l’assassinio della stessa nel 535, costituirono il pretesto per l’intervento della corte orientale sul suolo italico.

Giustiniano mosse alla volta dell’Italia quello stesso anno con l’obiettivo di rovesciare la dominazione gota e reintegrare la penisola nell’impero. Dopo i numerosi scontri che videro opporsi le forze dell’Impero d’Oriente, guidate dal generale Belisario e gli eserciti Goti che facevano capo al neoeletto re Totila, fu l’azione congiunta di Narsete, abile politico costantinopolitano, e del generale Giovanni detto il Sanguinario, che sostituirono Belisario nella conduzione delle operazioni, a portare l’esercito bizantino alla vittoria, quando nei pressi dell’odierna Gualdo Tadino i goti vennero sbaragliati e il loro re Totila ucciso.

Il 13 agosto 554 Giustiniano sancì il reintegro formale dell’Italia nell’Impero, emanando il testo di legge conosciuto sotto il nome di Prammatica Sanzione (Pragmatica santio de reformanda Italia). Con il documento veniva definitivamente chiuso il capitolo del lungo conflitto che aveva deturpato e sconvolto la penisola per circa un ventennio.