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ALBENGA PALEOCRISTIANA LE ORIGINI E LA MONUMENTALIZZAZIONE DEL NUCLEO EPISCOPALE NELLO SPAZIO URBANO TARDOANTICO

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PISA

CIVILTÁ E FORME DEL SAPERE CORSO DI LAUREA IN ARCHEOLOGIA

TESI DI LAUREA MAGISTRALE Albenga Paleocristiana

Origini e monumentalizzazione del nucleo episcopale nello spazio urbano tardoantico

RELATORE

Prof. Fabio FABIANI

1° CORRELATORE

Prof. Chiara Ombretta TOMMASI

2° CORRELATORE Dott. Bruno MASSABÒ

Candidato Valentina Alice Maria SALA

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INDICE

Indice pag. 1 Introduzione pag. 4 Capitolo I Impero e cristianità:

l’influenza dei nuovi baricentri del potere sul territorio ligure tra IV e VI secolo

1.1. La strutturazione della cristianità nel territorio ligure nel IV secolo

1.1.1. Da Emilia-Liguria a Liguria nella diocesi italiciana pag. 7 1.1.2. Equilibri sociali nel IV secolo pag. 13 1.1.3. La nascita delle prime sedi episcopali:

influenze e dipendenze dai nuovi baricentri del potere pag. 19 1.1.4. Rapporti tra potere civile e potere ecclesiastico pag. 26

1.2. Il consolidamento delle strutture ecclesiastiche nel V secolo

1.2.1. La Liguria politica ed ecclesiastica tra Milano e Ravenna pag. 28 1.2.2. Come i Goti mutarono l’Italia:

i nuovi centri direzionali di Stato e Chiesa pag. 30 1.2.3. La Chiesa come autorità civile e sicurezza morale pag. 37 1.2.4. La rete episcopale alla fine del V secolo pag. 39

1.3. Tra Goti e Longobardi: la destrutturazione

dell’Impero Occidentale tardoantico e l’affermazione del potere temporale della Chiesa

1.3.1. Liguria tardoantica pag. 44

1.3.2. Frantumazione del potere politico e consolidamento

del potere ecclesiastico pag. 46

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2 Capitolo II

Albenga imperiale e tardoantica: premesse topografiche per la strutturazione ecclesiastica

2.1. Il contesto ambientale pag. 53

2.2. L’eredità dell’urbanistica romana pag. 61 2.2.1. Età tardorepubblicana: i limiti e l’assetto della città nel I secolo a.C.

2.2.1.1. Il nucleo urbano pag. 63

2.2.1.2.La via Iulia Augusta e la viabilità sul territorio pag. 70 2.2.2. L’età imperiale e la nuova spinta edilizia pag. 76

2.2.2.1. Le terme pubbliche pag. 94

2.3. La città di Costanzo e l’epoca tardoantica pag. 104 2.3.1. La ricostruzione delle mura e la topografia civile urbana pag. 110 2.3.2. Il suburbio e le aree sepolcrali pag. 112 2.3.3. La cristianizzazione dello spazio urbano e suburbano pag. 115 2.3.3.1. La chiesa cimiteriale di San Vittore pag. 122 2.3.3.2. La basilica martiriale di San Calocero pag. 125

Capitolo III

Il nucleo episcopale e il complesso paleocristiano presso San Clemente

3.1. Il nucleo episcopale pag. 128

3.1.1. I fase paleocristiana 3.1.1.1. Cattedrale pag. 131 3.1.1.2. Battistero pag. 137 3.1.2. II fase paleocristiana 3.1.2.1. Cattedrale pag. 150 3.1.2.2. Battistero pag. 155

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3.2. Il complesso paleocristiano presso San Clemente pag. 168

3.2.1. La vasca battesimale pag. 172

3.2.2. Il recinto cimiteriale pag. 177

3.2.3. L’aula di culto pag. 180

Conclusioni pag. 188

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INTRODUZIONE

I miei interessi verso l’archeologia paleocristiana mi hanno indirizzata allo studio di Albenga, la città ligure in cui gli antichi edifici ecclesiasti ancora presenti sul territorio si articolano numerosi suscitando la curiosità di chi li osserva. Nell’avvicinarmi alla conoscenza del sito, mi sono resa conto che l’insieme delle strutture cristiane presentava il giusto grado di problematicità per pensare di avviare uno studio più dettagliato riguardo alle loro origini ed evoluzione. L’interesse ad approfondire lo studio sulle fasi paleocristiane del centro è stato condiviso e stimolato da chi si dedica da anni all’archeologia e alla valorizzazione storica della città e del suo territorio, la cui collaborazione si è rivelata determinante per il buon esito di questo lavoro. Grazie alla disponibilità del dottor Bruno Massabò, ex Soprintendente per i Beni Archeologici della Liguria, della dottoressa Daniela Gandolfi, membro dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, e ai contributi delle professoresse Valeria Polonio e Alessandra Frondoni dell’Università di Genova, è stato possibile raggiungere gli obbiettivi della ricerca, accolta con entusiasmo dall’Avvocato Costa e dalla Dottoressa Josepha Costa Restagno, presidente e membro dell’Istituto.

Tra le problematiche principali si collocava il rapporto tra la cattedrale della città e il complesso paleocristiano, dotato di un fonte battesimale, emerso presso l’argine destro del fiume Centa. Se negli anni passati l’argomento era stato posto al centro di numerosi dibattiti, in seguito la questione fu lasciata in sospeso nell’attesa di una ripresa dei lavori sul sito archeologico e di uno studio che approfondisse le conoscenze sulla topografia paleocristiana della città.

Con l’obbiettivo, dunque, di apporre maggiore chiarezza sulla questione si è sviluppata la presente ricerca che ha tentato di ripercorrere le fasi archeologiche paleocristiane della città.

Al fine di fornire un quadro che fosse il più esaustivo possibile, nel primo capitolo dell’elaborato è stata offerta una sintesi delle dinamiche geopolitiche e storico-religiose che coinvolsero il territorio ligure conducendo, tra la fine del IV e il principio del VI secolo, alla nascita e alla strutturazione della rete diocesana nella regione. Sulla base di queste considerazioni, sono state successivamente messe in luce le vie che le

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nuove diocesi privilegiarono nei loro rapporti con i centri del potere ecclesiastico, tra i quali Milano costituisce il riferimento principale.

Nel secondo capitolo si è analizzata l’evoluzione topografica di Albingaunum dal I secolo a.C. quando il centro rivierasco venne dotato della prima cinta muraria e dell’impianto urbano a maglie regolari, mantenutosi invariato per tutta la storia romana e tardoantica della città, fino al principio del VI secolo che vede il definirsi dei caratteri principali della Tarda Antichità: la fortificazione del nucleo urbano e la nascita dei poli religiosi.

Allo studio del nucleo episcopale e della chiesa con battistero dell’alveo del Centa è stato, infine, dedicato l’ultimo capitolo della tesi. Prima di metterli in rapporto tra loro, i due poli religiosi sono stati sottoposti ad un’analisi architetturale e ad uno studio diacronico in rapporto al consolidarsi del potere ecclesiastico nella città.

L’analisi ha permesso di fornire nuove ipotesi e di focalizzare l’attenzione su alcuni dei problemi che alimenteranno le nuove prospettive di lavoro.

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CAPITOLO I

IMPERO E CRISTIANITÀ:

L’INFLUENZA DEI NUOVI BARICENTRI DEL

POTERE SUL TERRITORIO LIGURE TRA IV E

VI SECOLO

Ogni trattazione che abbia per oggetto la storia dell’organizzazione ecclesiastica di Albenga deve necessariamente incominciare dalla collocazione della realtà albenganese nel più ampio contesto regionale in cui la città sorge. In particolare per la fase embrionale dell’episcopio, per la quale la sporadicità delle fonti scritte rende ardua la formulazione di un discorso organico, sono da tenere presenti, oltre agli aspetti geopolitici del caso specifico della Liguria, nella sua evoluzione storica, anche tutta quella serie di fenomeni socio-economici, culturali religiosi e politico-militari che nel corso dell’epoca tardoantica, si mossero in funzione dei nuovi baricentri del potere imperiale ed ecclesiastico1. Naturalmente, il contributo del fattore archeologico2 in questo tipo di lavoro risulta fondamentale, in particolare in un caso come quello della cristianità della città ponentina, in cui lo studioso inciampa ripetutamente nelle lacune lasciate dalle fonti letterarie.

L’identità poliedrica, ma al contempo unitaria della geomorfologia ingauna ha da sempre costituito un fattore determinante nella fortuna della città di Albenga, permettendone la longeva sopravvivenza e assicurandole un ruolo di prim’ordine nella mutabile realtà amministrativa della Liguria. Crocevia marittimo e terrestre imprescindibile dell’Italia nord-occidentale, dalle sue origini di oppidum ingauno e per tutta l’epoca romana e tardoantica Albingaunm riporta nelle tracce archeologiche e nelle sporadiche fonti letterarie, la storia dei cambiamenti socio-economici, politici e religioso-culturali che coinvolsero i rappresentanti del potere civile, imperiale e religioso, restituendo l’immagine di una città florida e centralizzata, meritevole dell’epiteto spesso attribuitale di “capitale regionale”. Il riflesso dell’importanza di

1 I rapporti tra il potere politico e quello ecclesiastico nell’Italia Annonaria e in Liguria in epoca

tardoantica sono analizzati ed esposti in PIETRI 1987; CRACCO RUGGINI 1998; CRACCO RUGGINI 2004; CRACCO RUGGINI 2007.

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Albenga, oltre che nella progressiva monumentalizzazione del centro, che si costella delle forme architettoniche tipiche dei rappresentanti del potere attraverso le varie epoche, è facilmente individuabile nell’integrità con cui la città conservò, consolidandolo in età imperiale e tardoantica, il proprio dominio amministrativo su di una base geografica ben definita e stabile. Benessere civile e floridezza economica accompagnarono la riqualificazione tardoimperiale della città, parallelamente interessata dallo sbocciare del cristianesimo nell’architettura e nell’assetto urbano. Il consolidamento dell’istituto vescovile albenganese, vivacizzato dagli stretti rapporti con la diocesi di Milano, costituirà uno degli elementi determinanti nella storia evenemenziale e topografica della città di Albenga, reindirizzando verso più poli propulsori i legami tra istituzioni e territorio. Solamente gli effetti devastanti della conquista longobarda della Liguria, incontenuti dalla strenua resistenza bizantina, riuscirono a dissaldare l’entità governativa multicentrica della città avviando un irreparabile processo disgregativo dei modelli territoriali conservatisi fino ad allora e adombrando il ruolo di preminenza civile di Albenga a vantaggio del vicino centro di Genova. Questa situazione non impedì, tuttavia, all’istituto vescovile della città di conservare la propria rete d’influenza negli antichi spazi della diocesi, così come la penetrazione longobarda non intaccò il ruolo preponderante del vescovo di Albenga tra le città liguri della riviera che mantenne immutato il proprio potere spirituale sui centri a cui faceva capo.

1.1. La strutturazione della cristianità nel territorio ligure nel IV secolo 1.1.1. Dall’Emilia-Liguria alla Liguria nella diocesi italiciana

L’impero uscito dalle riforme di Diocleziano si presentava in modo effettivamente diverso da quello del passato. Prendendo forma nel contesto dei fragili equilibri in evoluzione entro i confini, il rivoluzionario progetto geopolitico del sovrano dalmata che lasciò un rimarchevole segno nella lunga storia amministrativa dell’Italia romana e, con essa, della Liguria. La penisola italica, inclusiva delle antiche province del settore Alpino, della Rezia e delle isole, venne interiormente frazionata in distretti che in parte stravolsero i limiti insediativi delle precedenti territorialità. Ricordate nei testi di cancelleria con il nome di provinciae3 e in un primo tempo sottoposte alla direzione di

3 La data dell’istituzione delle cosiddette regiones italiche non è definibile con certezza e mentre alcuni

le collocano verso il 297, altri le ricollegano piuttosto ad un processo realizzatosi per stadi in epoca tetrarchica; il nome ufficiale attribuito alle unità territoriali della penisola è quello di Provinciae e non di Regiones, nome, quest’ultimo spesso impropriamente attribuitogli, CECCONI 2010, p. 59.

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correctores, a partire dal secondo decennio del IV secolo le cosiddette regiones dioclezianee vennero affidate a dei consulares, responsabili della giustizia e del tributo ordinario, da ultimo introdotto anche nel territorio peninsulare4. Dodici circoscrizioni più ampie, le diocesi sovrastavano infine gerarchicamente il governatorato provinciale, facendo capo ai vicarii i rappresentanti burocratici del nuovo sistema di tassazione.

La fonte principale per la conoscenza della più antica suddivisione in province della penisola italica, è il cosiddetto Laterculus Veronensis che, sebbene con qualche difficoltà ci permette di delineare un’immagine della struttura dell’Impero verosimilmente attorno al 3145. Di fatto, sembra plausibile che l’anonimo redattore del Laterculus individuasse, ad ovest dell’Italia Settentrionale, la provincia ricordata dalla consistente documentazione successiva con il nome di Aemilia-Liguria e che la regione riflettesse una realtà geo-politica consolidatasi già in epoca tetrarchica6.

Una simile ripartizione dell’Italia Settentrionale andava dunque a sconvolgere il tradizionale assetto territoriale dell’Italia romana che verteva sull’antica divisione dal profilo etnico tra un’area transpadana e una cispadana sancita dalla frontiera naturale del Po. Malgrado la sua portata innovativa, la soluzione prescritta da Diocleziano si rivelò fondamentale nella costituzione degli equilibri successivi, sposandosi perfettamente con la mutate esigenze socio-politiche che privilegiavano un’amministrazione omogenea e ridisegnata attorno ai nuovi centri del potere rispetto ad una realtà strutturata sulle eredità culturali delle popolazioni italiche. Sorpassando la tradizionale visione che identificava il Po come una linea di frattura amministrativa e territoriale, il fiume veniva ora considerato piuttosto come un elemento di articolazione per la geografia dell’Italia, suddivisa tra gli ampi distretti della pianura Padana e della dorsale appenninica. L’assetto valorizzava le nuove città cardine dell’Italia settentrionale, Milano e Aquileia, residenze dell’imperatore, del vicarius

Italiae e dei governatori delle due province, nonché sedi delle zecche imperiali16.

Nella sua conformazione, la nuova regione dell’Emilia-Liguria, verosimilmente

4 PORENA 2004, p. 541; CECCONI 2010, p. 59.

5 Si tratta dell’unica parte superstite di un’opera letteraria più ampia, la Nomina provinciarum omnium:

una lista di diocesi e di province; il documento è contenuto nei fogli 255r-256v del codice II (2) della Biblioteca Capitolare di Verona redatto per il VI e il VII secolo; per il Laterculus Veronensis vedere PORENA 2004, p. 541; CECCONI 2010, p. 60.

6 THOMSEN 1947, pp. 238-239; PORENA 2004, p. 541; sembra possibile escludere l’ipotesi di

un’iniziale provincializzazione di un’area Transpadana, estesa a nord del Po, tra l’Adda e le Alpi: rispetto al dibattito sull’esistenza di una regione Transpadana all’epoca della provincializzazione dioclezianea vedere THOMSEN 1947, pp. 236-241; PORENA 2004, in particolare n. 5, p. 545.

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sottoposta già nel 314 all’autorità di un consularis7, riuniva entro i medesimi confini

una Liguria allargata rispetto alla precedente8, con un’estensione compresa tra le Alpi, l’Adda e il golfo di Genova, e l’Emilia, la regione propriamente attraversata dalla via omonima fino alla transpadana Pavia, ma privata ora del suo accesso diretto al Mare9. L’aspetto più innovativo di questa rivisitata amministrazione, risiedette sicuramente nella creazione di una “grande Liguria” (fig.1), i cui confini fuoriuscivano da quelli tradizionalmente attribuitigli dalla struttura della Regio IX di Augusto – compresi tra il corso del Po, il fiume Magra, il Mar Ligure e le Alpi Marittime10

arrivando ad inglobare l’intera area transpadana della Regio XI di tradizione celtica, con l’unica differenza che ora il demarco orientale era segnato dal corso del fiume Adda anziché da quello dell’Oglio (fig. 2)11.

Questa prospettiva regionale di una “grande Liguria”, che pure rimase circoscritta ad un’epoca compresa tra IV e prima metà del VI secolo d.C., ebbe tempo e modo di consolidarsi nell’immaginario romano soprattutto in ragione della sua progressiva centralità nelle macroscopiche vicende del periodo. D’altra parte, le convulse vicende del III secolo avevano avviato un processo di slittamento dei baricentri militare e politico della penisola verso l’Italia padana portando la via Postumia – originaria frontiera protettiva tra Genova e Aquileia, nonché avamposto strategico all’epoca del processo di romanizzazione del Norditalia – a ricoprire il ruolo di terminale economico-logistico arretrato a supporto delle forze militari e civili romane attive nei territori provinciali transalpini12. L’area nord-occidentale dell’Italia, posta ora alle dipendenze di Mediolanum, acquisiva così un’importanza strategica unica in seno alla preminenza assunta dai collegamenti sulla Postumia. Da allora Genua, cominciò ad assumere un ruolo da protagonista che culminò, infine, nella sua funzione di caposaldo rivierasco assieme ad Albingaunum ed Albintimilium13.

7 PORENA 2004, p. 545, in particolare nota 4 con bibliografia. 8 THOMSEN 1947.

9 La fascia costiera che comprendeva le foci del Po sembra essere stata attribuita subito alla provincia

di Flamina-Piceno: PORENA 2004, pp. 541-542.

10 Le unità territoriali augustee rispecchiavano l’estensione delle più antiche compagini etniche presenti

sul territorio e questo avvenne anche nel caso della Liguria che deve peraltro il proprio nome all’antico popolo che abitava queste terre nel periodo preromano; sulla Regio IX di età augustea THOMSEN 1947, pp. 136-241.

11 PORENA 2004, p. 543.

12 MENNELLA COCCOLUTO 1995, p. XVI; CRACCO RUGGINI 2007, p. 71. 13 MENNELLA COCCOLUTO 1995, p. XVI.

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Rispetto alle epoche successive, le testimonianze disponibili sull’Emila-Liguria risultano decisamente inferiori per la fine del III e il principio del IV secolo lasciandoci all’oscuro sulle vicende politico-amministrative della provincializzazione dioclezianea14. Le ragioni di tale lacunosità nelle fonti documentarie, com’è stato recentemente osservato15, non sono necessariamente da individuare in una situazione

di decadenza socio-politico della regione, quanto piuttosto in un ruolo di accentuata marginalità nel gioco della “grande politica” di questi secoli, che si riflette inevitabilmente in una documentazione più carente e saltuaria.

In una prospettiva ecumenica, a partire dal IV secolo, lo spostamento e poi il moltiplicarsi dei baricentri del potere, avevano reindirizzarono verso un asse orizzontale che collegava le Gallie con l’Adriatico e Costantinopoli passando per la valle Padana il complesso nodo di vicende politico-militari, strutture amministrative, fenomeni socio-economici e culturali religiosi. In mancanza di incentivi autonomi, tali dinamismi erano subordinatamente legati alla storia dei macroscopici accadimenti dell’epoca tetrarchica che avevano cominciato ad orbitare sempre di più, da un lato verso l’Oriente e dall’altro verso il nord dell’Italia, implicando un inevitabile decadimento del potere catalizzatore di Roma.

La riconsiderazione dioclezianea e poi costantiniana dei confini interni all’Italia settentrionale, con lo strutturarsi delle province della Emilia-Liguria e della

Venezia-Giulia, avevano quindi valorizzato, sulla base dell’impianto stradale tardo romano, le

gloriose via Postumia e via Emilia in funzione degli spostamenti massicci degli alti funzionari romani, dei responsabili e degli impiegati del fisco e della giustizia, dei corrieri e dei militari che si muovevano tra le due partes di un Impero sempre più impegnato in vicendevoli operazioni nord europee16.

In Occidente, la costituzione del Vicariato Annonario negli anni venti del IV secolo17, conferma la vivacità e l’indipendenza di quella parte d’Italia compresa fra le Alpi a nord e la linea di congiunzione fra il Tirreno e l’Adriatico all’altezza dell’Arno

14 CRACCO RUGGINI 2004, p. 561; CRACCO RUGGINI 2007, p. 70.

15 I vari aspetti dei mutamenti sociali ed amministrativi che riguardano il Norditalia Annonario in

relazione con la scarsità di documentazione ad esso relativa CRACCO RUGGINI 2004, pp. 68; CRACCO RUGGINI 2007, p. 561.

16 CRACCO RUGGINI 2007, p. 71.

17 CRACCO RUGGINI 1995, pp. 35-56; CRACCO RUGGINI 2004; PORENA 2004; CRACCO

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dell’Esino verso sud. Le cinque province subordinate al vicarius Italiae18, vennero a

costituire un grande blocco unitario dal punto di vista fiscale e amministrativo che prese il nome di Italia Annonaria, la cui originale costituzione è da attribuire alla tassa di mantenimento della corte e degli eserciti comitatensi e limitanei voluta da Massimiano nella nuova sede imperiale milanese. Già in epoca costantiniana, come traspare chiaramente dalle fonti del periodo l’area era percepita come una realtà coesa e autonoma nel suo insieme19. Di rimarchevole importanza è l’utilizzo del termine

Italia per identificare l’Italia Annonaria, in quanto parte della penisola che

maggiormente contava, rispetto alle sottostanti, sfaccettate regioni suburbicarie. Tracciando i confini della propria influenza sullo scorrere delle vicende economiche, la compatta area nord-italica vide progressivamente attribuirsi un’importanza sempre maggiore nel quadro peninsulare, espandendosi verso sud a discapito del più problematico Vicariato Suburbicario, occupato nella gestione di accorpamenti e scorpori delle province ai confini meridionali della penisola. Il convergere nell’area ligure di testimonianze riferibili tanto a vicende militari e socio-economiche – che ebbero vistosi risvolti successivi su scala mediterranea20 – quanto a fenomeni religiosi e culturali non fa che confermare tale vitalismo provinciale, mettendo in evidenza il ruolo della Liguria nel consolidamento del blocco unitario, fiscale e amministrativo, dell’Italia. Si concretizzava ora quella separazione interregionale tra il Norditalia e le regioni meridionali gravitanti intorno all’Urbe, avviatosi fin dal principio della romanizzazione attraverso il progressivo attenuarsi dell’influenza di Roma a livello di merci, di monetazione circolante e di cultura21. Nel periodo tardoantico e nel corso del

18 Nel IV secolo la diocesi annonaria era divisa nelle seguenti province: Venetia et Histria, Aemilia et

Liguria, Alpes (Cottiae e Graie et Pontinae), Flaminia et Picenum Annonarium, Raetia (prima e secunda) che subirono variazioni di confini e di denominazioni REBECCHI 1993, p. 201.

19 REBECCHI 1993, p. 199; in un anonimo Panegirico a Costantino del 310 e in quello di Nazario del

321, negli atti del Concilio di Arles del 314, accanto al vescovo di Capua in provincia Campania compare Marcello de civitate Mediolanensi, provincia Italia; CRACCO RUGGINI 2007, pp. 69-70 con bibliografia relativa; Pan., IV (VII), 14, 6; Pan., IV (X), 17, 3 e 27, 5; Cod. Theod. XI, 16, 2.

20 Già sul finire del II secolo d.C., attraverso le vicende di Publio Elvio Pertinace e successivamente con

quelle dell’usurpatore Proculo, ricco possedente di latifondi originario di Albingaunum alla fine del III, vengono a costituirsi nell’area ligure, dei precedenti remoti ed interessanti a quei contatti fra il Piemonte meridionale e le coste tirreniche settentrionali che conobbero uno sviluppo non indifferente nei secoli successivi con sviluppi patrimoniali allargati ad un ambito commerciale mediterraneo. Nel giro di pochi anni Genova comparse come terminale delle rotte marittime che collegavano il nord del Tirreno alle isole della Sicilia e della Sardegna, mentre i miliari di Costantino provano il ripristino tra il 312 e il 324 della via Iulia Augusta e dell’Aemilia Scauri, in parallelo con la viabilità interna verso le Gallie; CRACCO RUGGINI 2004, p. 563.

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IV secolo in particolare, caratterizzato ovunque dalla capillare diffusione della cristianità e dal consolidarsi delle strutture gerarchiche della Chiesa, l’Italia Annonaria prese le distanze dalla penisola “suburbicaria” anche nell’ambito delle tendenze religiose, sostituendo al potere propulsore di Roma la forza trainante di Milano, novella residenza imperiale oltre che sede, dalla seconda metà del IV secolo, di un personaggio di storica rilevanza quale lo fu Ambrogio, consularis Aemiliae et Liguriae, poi acclamato vescovo dai cittadini della sua stessa città.

Dal punto di vista geomorfologico, le testimonianze letterarie ci permettono di collocare con una certa precisione, il momento in cui l’organizzazione dioclezianea e costantiniana della Liguria subì un cambiamento. L’assetto della provincia dell’Aemilia-Liguria venne, infatti, parzialmente modificato verso la fine del IV secolo, verosimilmente in una data compresa tra il 384 e il 391, quando furono create le due province autonome dell’Aemilia e della Liguria. I governatori consulares posti a capo dell’amministrazione delle due entità geopolitiche risiedevano rispettivamente a Piacenza e a Milano, operando entro dei limiti geografici che sembrano invariati nei casi specifici delle singole regioni.

Le tappe dell’evoluzione amministrativa della Liguria e dell’Emilia come due entità a sé stanti non sembrano aver interessato l’estensione geografica delle due regioni, le quali mantengono il profilo territoriale definitosi in epoca tetrarchica. Persino nel corso del secolo successivo, nonostante le ripetute crisi militari del V secolo e l’installazione del regno dei Goti in Italia, la Liguria custodì con sorprendente continuità i confini della propria amministrazione facente capo alla metropoli milanese. La “Grande Liguria” non smise di identificare, nemmeno in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, la vasta area cis e transpadana che andava dalle Alpi al golfo di Genova confinante ad est, sulla linea dell’Adda, con la Venezia-Istria42.

Da un punto di vista globale di attivismo politico e religioso, il nuovo assetto della provincia conservò e consolidò le reti d’influenze che al principio del secolo avevano iniziato ad allontanarsi da Roma. Pienamente inserita nei floridi circuiti culturali dell’Italia Annonaria, il territorio occidentale della Liguria recepiva ormai, con il filtro della diocesi milanese, le medesime ascendenti dottrinali che si spostavano da Costantinopoli a Milano con la stessa dinamicità dei vicari imperiali e delle milizie regie.

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1.1.2. Equilibri sociali nel IV secolo, lo strutturarsi della cristianità nell’Impero tardoantico

Abbiamo visto come il vorticoso interagire fra le vicende politico-militari, i fenomeni socio-economici, culturali e religiosi che gravitavano attorno ai principali eventi della Tarda Antichità, avesse favorito una spinta indipendentista della regione settentrionale della penisola italica. Nel corso del IV secolo, essa si consolidò pertanto in un’unità amministrativa a sé stante, nel complesso sempre più indipendente dagli influssi dell’antica capitale meridionale. In questa serie di vicendevoli relazioni trasversali, fu assai stretto il rapporto dialettico instauratosi tra il potere civile (politico) e quello ecclesiastico, dapprima con un netto prevalere del primo, che poco a poco finì tuttavia con il cedere spesso la preminenza al secondo fattosi via via più forte22

Dopo la scelta restauratrice di Diocleziano, che aveva condotto alle persecuzioni contro i cristiani del 303 e 304 d.C.23, i presupposti della svolta religiosa, che portarono

all’insediarsi di un cristianesimo libero nella complessa vita dell’impero, si svilupparono nel corso del IV secolo sotto il governo di Costantino. Con i provvedimenti presi dall’imperatore dopo l’incontro con Licinio a Milano, nel 313, gli interessi della Chiesa passarono in primo piano, nonostante l’estrema prudenza a cui vennero inizialmente improntanti i nuovi motivi propagandistici e le linee della sua azione di governo. Non solamente la legislazione costantiniana sottrasse da ogni onere verso lo Stato tutti i chierici, ma elevatissime e di vario tipo furono le donazioni elargite sempre più di frequente alla Chiesa24. In seguito a tali decisioni, fu inevitabile che all’arricchimento finanziario corrispondesse un potenziamento del ruolo pubblico della Chiesa, la quale trovava nel vescovo il suo principale rappresentante. Quest’ultimo finiva per acquisire notevoli capacità d’incidenza sul tessuto sociale grazie all’amministrazione della liturgia e allo svolgimento di funzioni organizzative per la comunità cristiana.

22 Sui rapporti tra il potere civile e il potere ecclesiastico nell’Italia Annonaria, CRACCO RUGGINI

2007 nell’articolo dall’omonimo titolo e bibliografia ivi compresa.

23 MARCONE 2012, pp. 42-47 analizza a fondo le contingenze politiche e sociali che portarono alle

grandi persecuzioni cristiane di Diocleziano (303-304) e dei suoi successori Galerio e Massimino Daia; a riguardo anche CECCONI 2010, pp. 63-72.

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Il riconoscimento della Chiesa da parte dello Stato, grazie a Costantino, aprì contemporaneamente la strada alla grande stagione dell’architettura sacra cristiana che si tradusse nella nascita dell’edificio ecclesiastico realizzato secondo caratteristiche monumentali e formali provenienti da uno speciale repertorio di forme. L’Ecclèsia, intesa come l’edificio in cui la comunità cristiana che si riuniva per pregare e celebrare l’eucarestia nel nome di Dio, tradusse nelle sue architetture monumentali la nuova concezione del santuario25, nonché la posizione ufficiale ricoperta dalla Chiesa

all’interno dello Stato al principio del IV secolo.

Mano a mano che i rapporti tra le istituzioni ecclesiastiche e l’imperatore si stringevano, essi si riflessero visivamente sugli edifici di culto cristiani che nel corso del loro sviluppo storico, si differenziarono dagli altri della città articolandosi in forme e strutture sempre più autonome e complesse26. L’iniziativa imperiale nella costruzione di chiese trae origine dall’evergetismo civico romano e trova in Costantino uno dei suoi massimi esponenti27: Eusebio di Cesarea attribuisce all’imperatore la ricostruzione di alcune delle chiese distrutte durante le persecuzioni del 303-304 d.C., il finanziamento della costruzione della cattedrale28 e delle chiese suburbane di Roma29 a cui si aggiunse la realizzazione, in Palestina di edifici sacri sui luoghi principali di pellegrinaggio in relazione alla nascita e alla passione di Cristo. L’intensa attività edilizia, fu perseguita da Costantino o – più plausibilmente – dai suoi successori in continuità con l’opera evergetica degli imperatori precedenti, i quali riponevano le proprie ricchezze nel restauro e nella costruzione di templi pagani in numerose città

25 Tale concezione viene espressa chiaramente all’interno del discorso che Eusebio di Cesarea pronuncia

in occasione della consacrazione della Cattedrale di Tiro che risale al IV secolo. Anche nella letteratura patristica successiva, l’interpretazione allegorica della chiesa come edificio e delle sue componenti diventa sempre più frequente.

26 DEICHMANN 1993, pp. 75-77; CHAVARRÍA ARNAU 2009.

27 La costruzione e il restauro di chiese erano una delle attività principali dei vescovi sebbene non loro

prerogativa assoluta: l’epigrafia ricorda altri componenti minori della gerarchia ecclesiastica e spesso le aristocrazie locali CHAVARRÍA ARNAU 2009, pp. 99-106.

28 Fu probabilmente prima del 324, pagando considerevoli lavori di livellamento, che Costantino offrì

al vescovo di Roma una cattedrale; si trattava di un vero e proprio complesso cultuale situato nell’area del Laterano, nelle immediate vicinanze delle Mura Aureliane, sui terreni occupati un tempo dalle caserme degli equites singulares Augusti; PERRIN 2010, p. 718.

29 L’imperatore fece costruire delle sontuose basiliche: San Pietro al Vaticano era destinata ad accogliere

la presunta sepoltura dell’apostolo Pietro, mentre quella sulla via Ostiense era riservata al sepolcro di Paolo; probabilmente a Costantino si deve la costruzione della basilica di San Sebastiano sulla via Appia, su un luogo legato alla memoria di Pietro e Paolo. Sulla via Labicana, accanto alle grandi catacombe di Marcellino e Pietro, venne elevata una basilica fiancheggiata da un mausoleo, che probabilmente il princeps cristiano aveva inizialmente previsto come luogo per la propria sepoltura CHAVARRÍA ARNAU 2016, pp. 101-102.

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dell’Impero30. Tutte le basiliche conosciute dalle fonti furono tuttavia costruite su

proprietà imperiali, giovando all’atteggiamento di relativa discrezione adottata dall’imperatore nella sua politica nei confronti della Chiesa.

Sempre a partire da Costantino, gli imperatori acquisiscono la consapevolezza del contributo che il potere aggregativo della religione poteva apportare alla stabilità dell’Impero e dei consensi che quest’ultimo poteva trarne a fronte della progressiva cristianizzazione dei cittadini. Pertanto, un’altra delle preoccupazioni costanti nell’agire politico di Costantino e di chi guidò le sorti dell’Impero dopo di lui, fu la salvaguardia dell’unità dei cristiani, turbata da numerose dispute dottrinali intestine.

Per la prima volta nella storia del Cristianesimo, l’imperatore intervenne nelle questioni interne alla Chiesa quando la controversia donatista divideva gli episcopi nordafricani e lo fece riservandosi un ruolo di mediatore super partes. Prevaricando i vertici della santa Ecclesia, sebbene in risposta alle loro volontà, l’imperatore indisse per l’estate del 314 un concilio vescovile ad Arles31, con il fine ultimo di sanare il

contrasto maturato in seno alla chiesa del Nord Africa32.L’azione del futuro fondatore di Costantinopoli marcò indelebilmente il destino della cristianità dell’Impero.

Poco più di un decennio più tardi, quando il quadro politico e religioso apparve completamente mutato e ci si avviava verso l’ultima fase del regno costantiniano, Eusebio racconta il proprio sovrano come un monarca che esercitava il proprio potere assoluto anche tra i ranghi del clero, in una posizione di superiorità rispetto all’intera gerarchia ecclesiastica33. Nel 325 si tenne infatti nei pressi di Nicea il primo concilio ecumenico della storia della Chiesa e a presiederlo fu – secondo il volere dei vescovi – Costantino34. A perturbare l’integrità teologica della Chiesa cristiana era stato, questa

30 CHAVARRIA ARNAU 2016, pp. 101-102.

31 Non è certo se l’imperatore avesse preso parte o meno al sinodo ecumenico, l’unica fonte in merito

risulta essere Eusebio che sembra propendere verso tale possibilità, sebbene non menzioni esplicitamente il concilio di Arles: Eusebio, Vita Constantini, I 44.

32 Del concilio di Arles ci sono pervenuti ventidue canoni che deliberano su questioni disciplinari in

gran parte relative alla vita della Chiesa dopo la persecuzione. Assieme ai canoni ci è pervenuta la lettera di alcuni vescovi a papa Silvestro, in cui si manifesta la condanna dei donatisti. Il sinodo si concluse con la condanna donatista, sebbene il canone 14 dichiari colpevoli i traditores, con un tentativo da parte del concistoro di venire incontro alle esigenze della pars Donati. La crisi donatista proseguì anche successivamente. Sul concilio di Arles: O’DONNELL 1961; J. GAUDEMET 1977.

33 Eusebio, Vita Constantini, II, 19, 1; FRANCO 2012, p. 59; CASELLA 2010, p. 94.

34 Il “concilio imperiale” si svolse dal 20 maggio al 19 luglio 325 ed era composto prevalentemente da

vescovi orientali PERRIN 2010, p. 719; L’unica testimonianza diretta sullo svolgimento del sinodo universale, che ebbe luogo nella tarda primavera del 325 in Bitinia, è ancora una volta il vescovo di

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volta, un presbitero di Alessandria, Ario, le cui dottrine, intorno al 320, avevano reclutato consensi sempre più ampi tra i vescovi dell’Asia Minore. Essi dapprima accolsero con benevolenza le parole del sacerdote e poi ne divennero i paladini35. Malgrado gli esiti del tutto sfavorevoli ai seguaci di Ario36, la sconfitta non impedì loro di perpetuare una costante opera di proselitismo, alimentando le discordie dottrinali per più di mezzo secolo, in entrambe le partes dell’Impero. La continua rimessa in discussione dei principi stabiliti a Nicea, provocò incessanti oscillazioni nella politica imperiale, ora in una direzione ora nell’altra. Non da ultimo, le dottrine filo-subordinazioniste di Ario37 penetrarono in Occidente, estendendosi in Italia settentrionale, in Illirico e nelle province danubiane, per poi raggiungere le Gallie e la Spagna. Esse furono ampiamente recepite e condivise dalle popolazioni germaniche, in seguito alla predicazione di Ulfila, a partire dal 350, che le resero un elemento della propria identità culturale38.

Le conseguenze del Concilio di Nicea ebbero una portata eccezionale: nella metamorfosi dell’ideologia imperiale in corso, il sinodo servì a sancire il ruolo della massima carica dello Stato come primo protettore dell’integrità della Chiesa e dell’ortodossia cattolica. Il sinodo, da cui si originò la formula del ‘simbolo’ di fede, fu la sede in cui i vertici di tutte le Chiese stabilirono la prima definizione della dottrina di Cristo che da quel momento poté dirsi effettivamente cattolica, dichiarandosi valida per la Chiesa universale39.

Congiuntamente a ragioni di ordine politico, la scelta di separare le sorti cristiane del suo regno dal cordone ombelicale che lo legava al paganesimo romano, condusse

Cesarea cfr. Eusebio, Vita Constantini, III, 6-10; mentre è totalmente assente qualsiasi documentazione relativa agli Atti del concilio.

35 L’origine dell’eresia ariana si possono leggere in Sozomeno, Historia Ecclesiastica, I, 15, 1-3; le

dottrine di Ario vennero condannate, in quanto eretiche, dal vescovo di Alessandria, Alessandro in un concilio tenutosi tra il 322 e il 323 nell’omonima città; Ario si ritirò in oriente dove accrebbe la sua influenza. In risposta alla teologia eretica di Ario, gli alessandrini formularono la dottrina dell’homousios, in base alla quale Padre e Figlio sono identici nella sostanza (ousia), ma distinti nella persona (hypostasis) WILLIAMS-FRIELL 1994, p. 77; RIZZO 1999, pp. 120-123; MORESCHINI 2007, pp. 99-100.

36 La formula di Nicea stabilisce che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, cioè homoousios, pertanto

trascendente ed eternamente dato.

37 MORESCHINI 2007, p. 99.

38 L’Arianesimo penetrò nelle regioni nordiche dopo che, sconfitto nell’ambito dell’Impero, i missionari

orientali ne trasmisero il pensiero teologico alle popolazioni, VITOLO 2007, p. 16; in Occidente si diffuse piuttosto precocemente a partire dalla metà del IV secolo LE GLAY-VOISIN-LE BOHEC 2002, pp. 500-501.

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Costantino ad allestire una nuova sede imperiale a oltre duemila chilometri di distanza da Roma e la permeò di monumentali simbolismi cristiani. L’Urbe venne infine estromessa dal suo ruolo di capitale politica dell’Impero a vantaggio di Costantinopoli.

Con Costantino si era ormai definitivamente avviato l’irriducibile processo di compenetrazione tra gli istituti ecclesiastici e lo Stato centrale che si consolidò definitivamente nel corso del periodo tardoantico. Tuttavia, sia la cristianizzazione che la strutturazione ecclesiastica – due fenomeni collegati, ma spesso differenti tra loro40

– sembrano riferirsi piuttosto all’epoca dei successori di Costantino, in un momento in cui le controversie imperiali, la minaccia barbarica e la progressiva separazione politica e ideologica tra le due partes dell’Impero, erano legati da rapporti sempre più inscindibili alla storia ecclesiastica.

Il nuovo ruolo acquisito dall’istituto imperiale negli affari della Chiesa emerse chiaramente durante i regni dei successori di Costantino, Costanzo II in Oriente e Giuliano in Occidente, i quali, malgrado le divergenze di credo, condussero i rapporti con le gerarchie ecclesiastiche in una medesima direzione. Nella capitale orientale, Costanzo II, adottando una linea politica religiosa che non accettava compromessi, inasprì la legislazione del padre nei confronti degli “eretici”, mentre condivideva l’ideologia ariana del vescovo Eusebio di Nicomedia. Secondo le tendenze correnti inaugurate dal padre nel campo dei rapporti tra Stato e Chiesa, Costanzo si riservò il diritto di convocare, nel 353 ad Arles e nel 355 a Milano, due concili che sancissero l’affermazione della teologia ariana nell’Impero agendo apertamente contro Papa Liberio, principale sostenitore del paladino dell’ortodossia nicena Atanasio. All’esilio si quest’ultimo, che venne condannato da entrambi i sinodi, corrisposero quello del pontefice e di altri vescovi tra cui Eusebio di Vercelli.

Il crescente coinvolgimento dello Stato nei provvedimenti di scomunica e di esilio presi contro alcuni vescovi stava lentamente mutando l’istituto ecclesiastico in qualcosa di simile a un ramo della burocrazia civile.

In seguito al sinodo Milanese Costanzo convocò nel 359 a Seleucia, in Oriente, e a Rimini, in Occidente, altri due concili deciso a voler imporre il proprio credo in tutte

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le regioni dell’Impero41. Il 15 febbraio del 360, il vescovo di sentimenti filoariani

Eudossio procedette alla consacrazione della Megale Ecclésia di Costantinopoli, dopo che gli esiti dei concili di Rimini e Seleucia avevano destituito il vescovo ortodosso Macedonio.

Dall’altra parte dell’impero, il breve regno di Giuliano fu emblematico di come le scelte imperiali in campo religioso non potessero più prescindere da un’ormai capillare diffusione del cristianesimo. In questo senso, nonostante l’impegno profuso da Giuliano, egli non ottenne il consenso che sarebbe stato indispensabile per un programma tanto ambizioso e il suo nome passò alla storia affiancato epiteto di Apostata42.

Con la fine della dinastia dei costantinidi è evidente come il futuro di Stato e Chiesa proseguisse in un percorso comune dai delicati equilibri in cui le scelte prese da una parte non potevano non condizionare la stabilità interna dell’altra.

Il IV secolo proseguì in un clima di relativa stabilità politica in cui i sovrani che si succedettero finirono per adottare una politica di convivenza religiosa pacifica, probabilmente troppo impegnati ad arginare le pressioni delle popolazioni barbariche lungo i confini del Reno e del Danubio. Le tensioni militari sfociarono infine nella battaglia di Adrianopoli, dove la clamorosa sconfitta dell’esercito romano, avvenuta il 9 agosto del 378, costrinse l’Urbe a mutare la propria politica nei confronti delle popolazioni che entravano a far parte dell’impero. Inevitabilmente alle problematiche di ordine politico si aggiunsero quelle di natura religiosa considerando il credo ariano delle popolazioni nordiche.

Con i presupposti della battaglia di Adrianopoli, nel 379, ha inizio una nuova fase di trasformazione politico-religiosa la cui direzione spetta al cristiano Teodosio “l’unico che seppe sviluppare le alternative necessarie per rispondere alle sfide del suo tempo”43

1.1.3. La nascita delle prime sedi episcopali: influenze e dipendenze dai nuovi baricentri del potere

41 L’imperatore durante il concilio di Rimini del 359 fa approvare una formula di fede che è di fatto la

sconfessione del simbolo niceno RIZZO 1999, p. 134.

42 La morte di Giuliano è celebrata in un’orazione da Gregorio, vescovo di Nazianzo. Gregorio

Nazianzeno, Orationes, V, 29-31.

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È importante sottolineare come la cristianizzazione e il consolidarsi di una comunità di fedeli in un’organizzazione ecclesiastica istituzionalizzata siano al contempo, due fenomeni interconnessi, ma in larga misura differenti. Non necessariamente, infatti, tracce di cristianizzazione presuppongono l’esistenza di una strutturazione ecclesiastica locale che poté affermarsi anche molto più tardi, dietro la spinta di motivazioni politiche diverse da concrete esigenze spirituali. Gli intenti, i ritmi e la rete di sviluppo di una gerarchia ecclesiale in loco rispondono, di regola, a una logica a sé stante44. La cristianizzazione, specie nell’ultimo cinquantennio del IV secolo, si

era ampiamente diffusa, perlomeno nelle grandi città, diffondendo un nuovo sistema di valori e un’idea totalizzante che si concretizza nelle varie forme della liturgia – scandita nel tempo e nello spazio urbano – dei culti e delle architetture. In generale si ha l’impressione che, nei suoi ritmi e nei suoi modi, si possano riconoscere i condizionamenti del quadro geografico e delle molteplici presenze culturali operanti in esso, cioè espressioni dirette di situazioni sociologiche ben determinate, diverse nelle varie comunità.

Nel contesto Norditalico, in un primo tempo, pare che il filo conduttore comune, nella prospettiva diacronica regionale del IV secolo, fosse costituito dalla funzione mediatrice dell’asse padano tra le due Partes Imperii, tramite gli scali adriatici e il filtro – apparentemente molto attivo – di Roma45. Gli influssi reciproci con le aree transalpine galliche appaiono di una discreta influenza solo nelle aree più occidentali dell’Italia

Annonaria, sarebbe a dire quelle che oggi corrispondono alla regione della Liguria, del

Piemonte meridionale e delle zone marittime. Da un punto di vista economico-commerciale qualche premessa del gravitare del Piemonte meridionale verso l’area tirrenica era ravvisabile già a partire dal II secolo ed era andata a delineare in Liguria una tendenza interessante destinata a potenziarsi nei secoli successivi46.

Da un punto di vista di vitalismo religioso, ancora nella seconda metà del IV secolo, il numero delle sedi vescovili sicure per l’Italia settentrionale appare decisamente esiguo se paragonato con la realtà diocesana delle regioni suburbicarie – direttamente controllate da Roma – e, in ogni caso, fortemente sbilanciato verso il settore orientale

44 Sull’argomento vedere in particolare CRACCO RUGGINI 1998.

45 Sulle dinamiche politiche e sociali nel Norditalia annonario vedere CRACCO RUGGINI 1998;

CRACCO RUGGINI 2004; CRACCO RUGGINI 2007.

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e adriatico. A suscitare particolare perplessità è soprattutto il vuoto che sembra caratterizzare il settore nord-occidentale colmato soltanto dalla diocesi autonoma di Vercelli che nacque con Eusebio, pochi anni prima del suo esilio (355-361/362), quando nella vicina Provenza nel IV secolo troviamo ben tredici diocesi dipendenti dalle metropoli di Arles e Marsiglia47. Di fatto sembra che solo in seguito a questa

prima creazione storicamente accertata, nell’area piemontese e in quella rivierasca si fosse andata a costituire un’embrionale rete episcopale, sviluppatasi nella sua totalità approssimativamente tra il 381 e il 451 per poi consolidare definitivamente le proprie strutture nel corso del V secolo48.

La specificità del caso, impone tuttavia una certa cautela nell’affrontare il fenomeno della strutturazione ecclesiastica tra l’Appennino e il mare49, in quanto le nostre

conoscenza restano pesantemente condizionate dalla carenza delle fonti storiografiche e dal profilo spesso troppo leggendario e contradditorio dell’agiografia locale, mentre di poco supporto sono i documenti archivistici – tardi o inattendibili – e l’incidenza di un eterogeneo corpus epigrafico non sufficientemente integrato dal dato archeologico. Il dibattito sui tempi della cristianizzazione della Liguria oppone ancora oggi gli studiosi che si occupano dell’argomento e sebbene alcuni, in linea con quanto affermava Pietri50, continuino a sostenere la tarda strutturazione di una rete episcopale ben organizzata – non prima della seconda metà del V secolo51 – la tendenza maggiormente condivisa è quella di non sottovalutare i dati archeologici e letterari a nostra disposizione che, anche se scarsi, non possono passare inosservati, soprattutto in seguito alle più recenti scoperte in campo archeologico52.

Indipendentemente dalla sporadicità dei ritrovamenti e delle indagini di scavo, le lacune conoscitive possono essere parzialmente giustificate dallo sviluppo difforme

47 MARCENARO 2006, pp. 19-20.

48 PIETRI 1987, p. 353; CRACCO RUGGINI 1998; CRACCO RUGGINI 2004; CRACCO RUGGINI

2007.

49 Una delle più recenti discussioni sulle tempistiche della penetrazione cristiana in Liguria è contenuta

in MARCENARO 2007, pp. 964-967.

50 PIETRI 1987.

51 PERGOLA in MARCENARO 2007, pp. 964-965.

52 In merito vedere in particolare FRONDONI e POLONIO in MARCENARO 2007, pp. 965-967, non

finalizzati a mettere dubbio i contenuti dell’opera di PIETRI 1987 sulle diocesi liguri che, in ogni caso, oltre a risultare datati, si riferiscono limitatamente ai dati archeologici, quanto piuttosto a porre in evidenza la presenza di indizi di una cristianità organizzata sul territorio ligure fin dalla fine del IV secolo d.C.; MARCENARO 2006, pp. 19-20 evidenzia la disparità numerica tra il numero di diocesi nelle Gallie nella vicina Liguria; sull’argomento anche MENNELLA-COCCOLUTO 1995.

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che incontrarono, nel corso del tempo, lo sviluppo insediativo e l’espandersi del Cristianesimo in ambito regionale. Entrambi i fenomeni dovettero necessariamente far fronte alla triplice corografia del dipartimento ligustico, rappresentata delle zone rivierasche, costellati da attivi insediamenti culturali e commerciali; dalle aree interne, cosiddette “padane” ricche di centri collegati posizionati lungo il trafficato reticolo viario interno e da altri insediamenti più defilati; e infine dalle aree alpine ed appenniniche più povere e selvatiche.

A ridosso della costa, i centri romani e preromani dotati di porti sicuri e spesso attraversate – come nel caso di Albenga – dalle trafficate strade litoranee, sopravvissero continuativamente fino all’invasione longobarda accogliendo liberamente afflussi di uomini e di idee che non di rado contribuirono a modificarne la morfologia urbanistica. Il dinamismo attivo degli antichi capoluoghi rivieraschi rappresentò per essi la via di accesso privilegiato alla propagazione della nuova fede che consolidò la propria organizzazione attorno alle precedenti infrastrutture, rinforzate dalla presenza bizantina in epoca più tarda. Emblematici sono i casi di

Albingaunum e Vada Sabatia, nei quali la ricerca archeologia continua ad evidenziare

una ricca, seppur problematica, adesione ai canoni del culto cristiano, con Albenga in particolare che costituisce – dopo Dertona – il centro ligure più noto nella tarda fase della sua cristianizzazione53.

Spartiscono con i centri rivieraschi una continuità insediativa costante, i nuclei urbani dipanati lungo le importanti arterie stradali di connessione tra la costa e l’entroterra e quelli posizionati in punti strategici per neutralizzare rischi di scorrerie ed invasione. A loro volta forniti di presupposti che ne garantivano una continuativa vivacità, questi centri interni si rivelarono ugualmente favorevoli ad accogliere le strutture ideali ed organizzative del culto di Cristo nel momento della sua affermazione nel Norditalia. Un esempio dell’endemico vitalismo dell’area padana è indubbiamente fornito dal caso di Dertona, a cui si possono accostare, sebbene con differenti presupposti, la situazione di cui godettero gli abitati di Hasta, Alba, e Aquae Statiellae. Ad essere penalizzate dalla loro natura più povera e selvatica furono, invece, le fondazioni dell’area appenninica-prealpina che rimasero rarefatte in aree isolate, lontane dai crocevia socio-economici della principale viabilità e per questa ragione

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spesso ostili all’insediamento delle nuove forme religiose. Non è un caso che queste aree restituiscano spesso antiche memorie cristiane di figure “carismatiche” di isolati evangelizzatori che vennero ben presto trasformate dalla tradizione agiografica, in leggendari martiri locali54.

In questo poliedrico quadro morfologico, la geografia delle sedi episcopali Liguri non è registrata che per registra per il periodo costantiniano una presenza episcopale se non ai margini meridionali della regione55.

Negli anni centrali del IV secolo d.C. nacque invece la sede episcopale di Vercelli fondata ad opera di un lettore romano, Eusebio, in un momento in cui la città acquisì il ruolo di centro strategico-logistico tra Milano e le Gallie. Rievocando la situazione religiosa dell’Italia padana subito dopo il concilio filo-ariano di Milano, nonché la composizione prevalentemente ariana delle milizie comitatensi che sostavano nella città, è stato dunque rintracciato un forte impulso dell’antica capitale, più che di Milano, nella volontà di promuovere Vercelli a sede di diocesi56. A Roma, non più privilegiata dalla presenza della sede imperiale, regnava dal 352, nel segno dell’ortodossia nicena, papa Liberio, laddove negli stessi anni, la sede norditalica sottostava al governo dell’Augusto filo-ariano Costanzo II.

Di fatto, sembra che, seguendo un ardore cattolico in linea con la più pura tradizione romana, Eusebio di Vercelli contribuì, con il suo operato, a rafforzare le comunità cristiane ortodosse sparpagliate attorno alla città su di un’area estesissima, tra cui principalmente Novara, Ivrea e Tortona104, ma anche Aosta, Torino, Monteu da Po, Ghemme fino a Embrun105. La popolazione di questi centri dislocati sul territorio circostante a Vercelli vennero gestite da discepoli del presule della diocesi che con quest’ultimo condividevano la fede nicena, seguendo un’attitudine che sarebbe stata poi ereditata da Ambrogio negli anni del suo officio milanese.

Dopo la breve parentesi filoariana dell’episcopio milanese, culminato con l’elezione del vescovo Aussenzio nel 355, il consularis Aemiliae et Liguriae Ambrogio venne eletto episcopo di Milano nel 373.

54 MENNELLA-COCCOLUTO 1995, p. XVIII in particolare nota 15. 55 PIETRI 1987, p. 352.

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Da allora, in una realtà globale che vedeva la Chiesa italica propendere sempre di più verso un tipo di gestione regionale delle proprie strutture, i ritmi e le modalità con cui prese forma una radicale mutazione nel reclutamento dei quadri ecclesiastici, parallelamente al riplasmarsi delle strutture ecclesiastiche nel Norditalia, furono sì fortemente segnate dai cambiamenti in atto sul piano politico, ma essi dovettero essere anche il risultato di una precisa strategia ecclesiastica. Mentre i primi contribuirono a conferire un profilo particolare al clero – seppur diverso a seconda delle situazioni – rispetto ad altre aree cronologicamente affini, fu la seconda ad operare scelte mirate e precise in funzione delle realtà politiche in movimento di cui aveva lucida consapevolezza.

Da tempo il momento di questa svolta decisiva è stata attribuita all’episcopato ventennale di Ambrogio di Milano (374-397)57.Secondo tali presupposti e sulla base della documentazione successiva, sembra pertanto possibile individuare nella diocesi di Vercelli l’ultima attestazione di un influsso ecclesiastico di Roma nel settore nord-occidentale prima dell’imporsi di Milano.

Un influsso, peraltro, che sebbene ponesse l’ufficio del vescovo Eusebio in connessione con quello di papa Liberio sembra in realtà intrecciarsi ad una battaglia comune per l’ortodossia, piuttosto che suggerire una dipendenza particolare di Vercelli dal seggio apostolico58. Così, dopo la morte di Eusebio, fu la diocesi milanese ad ereditare l’autorità un tempo esercita dall’episcopio piemontese nelle città limitrofe59.

Negli anni successivi, per le diocesi che costellarono il panorama ligure tra l’Appennino e la costa, si deve pensare ad una spinta di stampo dichiaratamente ambrosiano fin dalla loro genesi; in particolare per i centri di Lodi, Pavia, Genova, Tortona, e Torino60. Nel territorio ad ovest di Milano, verosimilmente corrispondente

57 CRACCO RUGGINI 1998, pp. 852-853. 58 PIETRI 1987, p. 355.

59 PIETRI 1987, p. 353.

60 La creazione della sede episcopale di Torino con il vescovo Massimo è ambrosiana; di poco

successive o contemporanee sono le creazioni delle sedi episcopali di autonome di Aosta, Ivrea e Novara che divennero suffraganee di Milano riducendo l’estensione enorme della diocesi di Vercelli; Nell’attuale Lombardia anche Felice, primo vescovo di Como fu designato da Ambrogio tra il 386 e il 390 in CRACCO RUGGINI 1998, p. 894 con bibliografia, per riferimenti sulla cattedrale PIVA 1990, pp. 57-84; Ambrogio esercitò la sua influenza anche sui seggi già formatisi in epoca precedente come nel caso di Virgilio vescovo di Trento (385/388); Gaudenzio, installato quasi a forza sul seggio di Brescia tra il 396/397 alla morte del suo predecessore; Onorato, condotto nel 392 sul seggio di Vercelli dallo stesso prelato milanese dopo la morte di Limenio CRACCO RUGGINI 1998, pp. 894-896; anche PIETRI 1987.

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all’antica Regio XI, a partire dal 381, sono attestati tre nuovi seggi episcopali, rispettivamente nei centri di Lodi, con Bassianus61, di Pavia con Eventius62 e probabilmente a Novara con Gaudentius63. Solo nel 398 è registrata, invece, una presenza vescovile a Torino, all’epoca cioè del concilio tenutosi nella medesima città; l’affermazione di una comunità cristiana locale è tuttavia iscrivibile ad un periodo ben precedente, quando un sermone attribuito a Massimo vescovo di Torino, ricorda come il gruppo di fedeli della città riconosca nella figura di Eusebio il proprio padre spirituale64.

In corrispondenza della regione costiera, identificabile all’incirca con la IX regione augustea, la prima attestazione concreta di un episcopio, si riferisce all’officio del vescovo di Genua, Diogene, segnatario del concilio tenutosi ad Aquileia nel 381. A nord della città marittima, Dertona – la città che peraltro restituisce il numero più consistente di iscrizioni cristiane65 – accoglieva sicuramente una comunità cristiana attiva dalla metà del secolo, come testimoniano le lettere ad essa indirizzata dallo stesso Eusebio vescovo di Vercelli66. Una diocesi locale è accertata solamente a partire concilio aquileiense del 381, quando Exuperatius esercitava le proprie funzioni liturgiche a capo dell’ecclesia tortonese67.

In alcuni casi, la subordinazione alla diocesi milanese è particolarmente evidente, come avviene per esempio con Evenzio, vescovo di Pavia nonché uno dei fedeli seguaci di Ambrogio che si trovò con lui sia ad Aquileia nel 381 che a Milano nel 39068. Per queste ragioni non sembra difficile ipotizzare, per il IV dei legami anche

61 Bassiano, primo vescovo di Lodi fu fedele sostenitore di Ambrogio sia nella campagna antiariana al

concilio di Aquileia del 381, sia al concilio di Milano nel 393 CRACCO RUGGINI 1998, p. 895.

62 PIETRI 1987, p. 353; sulla cattedrale di Pavia PIVA 1990, pp. 85-100 in cui troviamo che già un

episcopio nella città potrebbe risalire alla metà del IV secolo, con San Siro; PIVA 1994, pp. 42-44; l’ultima consacrazione sicura di Ambrogio fu quella del successore di Evenzio a Pavia (Profuturus?) al principio del 397; Paolino di Milano, Vita Ambr., 45; CRACCO RUGGINI 1998, p. 896.

63 PIETRI 1987, p. 353. 64 PIETRI 1987, p. 353.

65 MENNELLA-COCCOLUTO 1995, p. XVI. 66 PIETRI 1987, p. 353.

67 I presbiteri di entrambe le città di Genova e Tortona presenzieranno al concilio tenutosi a Milano nel

451, rispettivamente Paschasius di Genua e Quintus di Dertona; Leone Magno, Ep. 96,

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architetturali tra Milano e Pavia nel nucleo episcopale, sebbene la controversa situazione archeologica della città non permetta di risalire alla cattedrale originaria69.

Principale porto della capitale, Genova ricopre un ruolo di estrema importanza economica nell’Italia Annonaria del IV secolo in diretta interdipendenza con Milano. Anche in questo caso non sembra inadatto immaginare che una medesima solidità di legami si fosse creata a livello interecclesiastico tra i due centri, come sembrerebbero indirettamente confermare sia le poche epigrafi di presuli milanesi e genovesi di IV e VI secolo, che utilizzano monogrammi costantiniani e spesso ripetono tre volte le croci, sia la fedele presenza del vescovo a fianco di Ambrogio nel 381. Somiglianze architetturali tra la cattedrale genovese e quella di Milano non possono per ora fornire alcuna indicazione, dal momento che le più antiche testimonianze archeologiche dell’Ecclesia di Genua risalirebbero al VI secolo70.

La dislocazione delle sedi episcopali – a cui si aggiunge quella di Aosta registrata sullo scorcio del IV secolo – disegna una prima trama e fornisce delle indicazioni sul ritmo della conversione del territorio ligustico in epoca tardoantica71.

In conclusione, è evidente come le nostre conoscenze sulla cristianizzazione del territorio ligure risultino fortemente condizionate dalla scarsità delle fonti, tanto letterarie quando archeologiche a nostra disposizione. Forse il quadro presentato da queste isolate testimonianze restituisce un’immagine assai più brusca rispetto alla reale situazione in cui si trovavano le coste della Liguria alla fine del IV, quando un’iscrizione funeraria rinvenuta a Perti72, tracciata in corsivo su una tegola, sembra

individuare una presenza cristiana forse più attiva sul territorio. Tuttavia, come abbiamo precedentemente posto in evidenza, la casualità del ritrovamento di Perti che potrebbe identificare semplicemente il passaggio73 di un gruppo di fedeli in transito nella zona, sebbene non possa considerarsi come indizio indiscusso di una strutturazione ecclesiastica preesistente a quella testimoniata dalle indagini e dalle

69 Una testimonianza di Ennodio, vescovo urbano tra il 514 e il 521, narra di un episodio che riguarda

il suo predecessore, Epifanio (467-497), il quale dovette assistere alla distruzione di Pavia da parte di Odoacre durante la quale venne incendiato il nucleo episcopale Ennodio, Vita B. Epiphanii episcopi ticinensis, in PL 63, coll. 222-223; PIVA 1990 pp. 87-100.

70 CANTINO WATAGHIN-GUYON 2007, pp. 294-295. 71 CANTINO WATAGHIN-GUYON 2007, p. 309.

72 [L]ucius Helvi [innocens?]/in pace Iesu [depositus die?] VII id(us) Iunias [Mamertino et] Nevitta

Co(n)s(ulibus)MENNELLA 1982, pp. 1-6; MENNELLA 1986, pp. 65-66; MENNELLA 1995, n. 34.

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fonti dirette non può essere sottovalutata. Ugualmente la presenza a Genova di una diocesi fin dal 381 deve essere considerata nel contesto globale della Liguria74.

1.1.4. Rapporti tra potere civile e potere ecclesiastico

È interessante notare come fu sotto l’operato di Ambrogio a Milano che i tradizionali rapporti tra il potere imperiale e quello ecclesiastico cominciarono a mutare a vantaggio dell’istituto religioso.

Ambrogio godette per tutti gli anni del suo episcopato del fervente appoggio dei fedeli seguaci dell’ortodossia religiosa di Milano. La dimensione pubblica della carica da lui ricoperta ebbe un valore centrale nel suo operato ed egli fu in grado di ridisegnare la figura del vescovo secondo forme e stili completamente diversi rispetto al passato75.Uno dei principali obiettivi del presbitero milanese fu quello di vedere i vescovi innalzarsi ad un livello culturale, autoritario e di stile adeguati per potersi interfacciare alla pari con i rappresentanti del potere politico76. Fu attraverso la tutela del prestigio della sua funzione che egli riuscì a proteggere la Chiesa, avviando un’intensa attività pastorale, evangelizzatrice e missionaria che arrivò a travolgere il regno di Graziano e le sue scelte in campo religioso dalle quali risultò una definitiva rottura con il passato pagano della carica imperiale77.

Il titolare della cattedra milanese, nonostante i rapporti a tratti difficoltosi con Giustina, madre ariana di Valentiniano II, prevaricò con costanza l’autorità imperiale del giovane Graziano.Nel corso del suo operato, l’influenza del vescovo crebbe a tal punto che i presbiteri segnatari dei successivi sinodi milanesi gli riconobbero, nel 390 un’autorità che poco si discostava da quella ricoperta dal papa nelle province suburbicarie78. Negli stessi anni, Atanasio affermava che il vescovo di Milano era metropolita d’Italia, così come quello di Treviri lo era per le Gallie79.

74 FRONDONI e POLONIO in MARCENARO 2007, pp. 965-967. 75 Sull’argomento CRACCO RUGGINI 1998 con bibliografia relativa. 76 CASELLA 2010, p. 138.

77 Zosimo, IV, 36- IV 36, 3-5; Graziano rinunciò alla carica di pontifex maximus: nel 376 per RIZZO

1999, p. 143; e nel 379 per LE GLAY-VOISIN-LE BOHEC 2002, pp. 514-516; egli rinnovò il provvedimento di rimozione dell’ara della Vittoria al senato.

78 PIETRI 1987, p. 355. 79 PIVA 1990, p. 17.

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La predominanza autoritaria della diocesi milanese fu perpetuata dopo Ambrogio dal suo successore Simpliciano la cui influenza spirituale tra i ministri della Chiesa arrivò a travalicare, verso ovest, i confini amministrativi della diocesi italiciana.

In seno al congresso di Torino del 398, il presbitero milanese designato da Ambrogio sul letto di morte si trovò a ricoprire il ruolo di mediatore nelle controversie vescovili delle Gallie, consolidando il potere spirituale della diocesi di Milano nelle regioni transalpine80.

In ultima analisi, appare evidente come lo stabilirsi delle prime sedi episcopali nella Liguria d’occidente, nella seconda metà del IV secolo – con l’esclusione di Vercelli – sia contemporanea al momento in cui la metropoli milanese irradia l’Italia di un’eccezionale attività apostolica strettamente interconnessa con la vita politica dell’Impero. Tuttavia, questa coincidenza, non permette di attribuire un ruolo esaustivo ad Ambrogio nello sviluppo della geografia ecclesiastica che abbiamo visto peraltro dipendere strettamente dalla vitalità di cui godevano in precedenza alcuni centri in relazione alla loro posizione privilegiata sulle vie terrestri e marittime.

I parallelismi cronologici illustrano semplicemente l’autorità esercitata dalla Chiesa di Milano sulla conquista cristiana della Liguria ponentina che si abbozza alla fine del IV secolo per poi essere solidamente compiuta nel V81.

Quest’opera di stabilizzazione cristiana coincide con il parallelo affermarsi di un’élite locale convertita, discretamente illustrata dall’epigrafia, la quale riporta gli estremi dei compositi gruppi che associavano clerici e laici in uno scambio di influenze sociali e politiche82.

I governatori che hanno esercitato l’amministrazione dell’Emilia-Liguria, appartenevano, in età costantiniana, quando cioè ancora non si registrano presenze cristiane sul territorio ponentino, prevalentemente ad un’aristocrazia pagana83.

80 Prima di morire Ambrogio aveva predisposto il materiale necessario al concilio torinese predisposto

per redimere le controversie intestine all’episcopato delle Gallie; di questo non conosciamo che i canoni, preceduti da una breve introduzione: Ch. MUNIER, Concilia Galliae, Corpus Christianorum A.314 - A. 506, Corpus Christianorum. Series Latina, CXLVII, pp. 52-60; nuova edizione con note a cura di J. GAUDEMET, Conciles Gaulois du IVe siècle; Sources Chrétiennes 241, Paris, 1977, pp. 133-141.

81 PIETRI 1987, pp. 372-373. 82 PIETRI 1987, pp. 361-363.

83 Questo dato è testimoniato sia dalle figure di C. Iulius Rufinianus Abblabius Tatianus e del suo

predecessore Junius Rufus che dai loro successori Ulpius Flavianus e Dulcitus i quali ricoprono la carica rispettivamente nel 327 e nel 357 PIETRI 1987, pp. 361-362.

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