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Identità ecclesiastica delle diocesi liguri nel VI secolo

86 CRACCO RUGGINI 2004; CRACCO RUGGINI 2007 87 PIETRI 1987, pp 354-355.

1.3. Impero Occidentale tardoantico e l’affermazione del potere temporale della Chiesa

1.3.3. Identità ecclesiastica delle diocesi liguri nel VI secolo

A cavallo tra il V e il VI secolo le controversie che opponevano le varie fazioni di aristocratici e clericali romani a causa dello scisma acaciano (489-519) avevano portato la corrente filobizantina a opporre al pontefice eletto, Simmaco, l’arciprete Lorenzo. Scisma dentro lo scisma, il conflitto sorto internamente alla chiesa di Roma, vide il susseguirsi di tre concili (499, 501,502), inframezzati da sanguinosi scontri tra le fazioni, prima di risolversi, grazie all’intervento del sovrano ariano, Teoderico con il riconoscimento ufficiale di Simmaco nel 506. Nella fase iniziale della controversia religiosa, il re goto, in linea con la sua politica conciliatoria e di non-ingerenza, volle riunire a Roma i rappresentati più qualificati del collegio episcopale, dall’Italia Padana alla Sicilia. In ogni caso, per l’intero susseguirsi degli eventi, il sovrano mantenne una posizione a quanto pare equilibrata, facendo appello al proprio compito di garante di

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“pax”, “unitas” e “tranquillitas” del regno147. In particolare egli auspicava la presenza

dei prelati della Liguria, dell’Emilia e delle Venezie al fine di giudicare la causa di papa Simmaco148, al quale infine venne riconosciuto il titolo di pontefice, a scapito di Lorenzo, in ragione all’anteriorità dell’acquisizione della carica149. Nel concilio riunito

dal pontefice nel 499 per cacciare da Roma il proprio rivale e per condannare le pratiche simoniache, solamente il vescovo di Alba viaggiò fino all’antica capitale. Differente era la situazione due anni dopo, quando dei sessantasei vescovi che presenziarono al sinodo tenutosi nel 501, in assenza di Simmaco, in seguito agli eventi che coinvolsero il papa e il re goto150, sei erano Liguri: Lorenzo di Milano, i vescovi di Bergamo e d Cremona e, per le regioni occidentali, Massimo di Pavia, Giocondo d’Aosta e Tigridio di Torino151. Il concilio, che non vide la partecipazione dei vescovi

delle Venezie favorevoli all’antipapa Lorenzo, si concluse con “assoluzione per contumacia” del vescovo di Roma e, nonostante le decisioni ultime del sovrano, anche il vescovo di Ravenna, Pietro era presente alla santa adunanza.

Il 6 novembre 502, una nuova sessione presieduta da Simmaco si tenne a San Pietro e davanti a 165 vescovi, il papa legiferò sull’amministrazione dei beni ecclesiastici e dimostrava, de facto, la sua legittimità promulgando un decreto con il concorso del collegio italiano. In quest’occasione i prelati della Liguria orientale, Bergamo e Cremona, erano assenti, così come il vescovo di Pavia. Al contrario, confermarono la loro presenza a fianco di Simmaco i presbiteri della Liguria occidentale Giocondo di Aosta e Tigridius di Torino a cui si aggiunse Emiliano di Vercelli.

Il riallacciarsi dei rapporti tra la Liguria e la sede apostolica, come conseguenza dei conflitti teologici interni e dell’indebolirsi dei rapporti, civili ed ecclesiastici, con Costantinopoli, confermarono nel corso del VI secolo la tendenza avviatasi nei primi anni del secolo. E la situazione politica degli anni successivi non fece che consolidare

147 AZZARA 2013, p. 72.

148 PIETRI 1987, p. 357; AZZARA 2013, p. 70; forse in ragione del fatto che poteva contare

maggiormente sulla fiducia dei prelati di queste regioni in cui era dislocata la maggioranza della popolazione Gota.

149 AZZARA 2013, p. 70, in particolate nota 28. 150 AZZARA 2013, p. 71.

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questa evoluzione al punto di fare della regione che comprendeva dalla Tuscia annonaria tutta la costa ligure “un bastione dell’influenza romana”152.

Già intorno agli anni venti del VI secolo, abbiamo visto come la stabilità politica che Teoderico aveva cercato di costruire sul binomio etnico-governativo che popolava la penisola aveva iniziato a mostrare i primi sintomi di cedimento. La situazione divenne assai greve nel momento in cui salì sul trono d’Oriente Giustino fautore di una politica severamente antiariana e mirata a ristabilire l’unità religiosa dell’Impero che suscitò la reazione anticattolica del sovrano occidentale. In questi anni vediamo come le relazioni diplomatiche tra Ravenna e Costantinopoli siano spesso intermediate dai vertici della Chiesa cattolica, tra cui naturalmente il papa – prima Orsmida (514-523) e poi Giovanni I (523-536) – ma anche il vescovo di Pavia Ennodio e quello di Capua Germano. Stretto tra due fuochi, goto e bizantino, il papato visse un periodo di inquietudini e turbolenze, sebbene la centralità in cui si trovò l’istituzione nelle questioni tanto di natura politica quanto di natura religiosa, non fu altro che un chiaro sintomo del potere che essa andava acquisendo a scapito di altri. La situazione si presentò particolarmente negativa per la Chiesa romana nel momento in cui Giustiniano tentò di realizzare il suo ambizioso disegno di un Impero riunificato sotto l’autorità imperiale, nel quale, il sovrano vedeva nel papato un elemento di congiunzione imprescindibile. Sotto la probabile influenza della moglie Teodora, protettrice dei monofisiti, Giustiniano riportò in auge le controversie nate in seno al Concilio di Calcedonia del 451 ed emanò tra il 543 e il 544 – nel pieno delle azioni belliche in Occidente – il cosiddetto editto dei “Tre capitoli”, in virtù dei capitoli che lo componevano con il quale condannava gli scritti di tre teologi filonestoriani di Antiochia, Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Ibas di Ebessa che erano stati assolti al concilio calcedoniano. Nonostante le intimidazioni da parte della corte imperiale, papa Vigilio si rifiutò di ratificare l’editto giustinianeo; a farlo fu invece il suo successore, Pelagio il quale provocò una rivolta degli episcopi italiani a capo dei quali si ponevano i metropoliti di Milano e Aquileia.

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CAPITOLO II

ALBENGA ROMANA E TARDOANTICA: PREMESSE TOPOGRAFICHE