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Di fronte a questa realtà, presentante diversi fattori di rischio concreti, cercherò di evidenziare quali possono essere gli aspetti socio-culturali che entrano in gioco, ad aumentare la vulnerabilità.

Innanzitutto va considerata la scolarizzazione e la possibilità di reperire informazioni sanitarie. Nell'area intorno al villaggio di Ipamba ci sono diverse strutture scolastiche, che coprono tutti i gradi di istruzione fino al termine della scuola secondaria. Il sistema scolastico è ricalcato su quello inglese e quasi tutte le famiglie di Ipamba mandano i loro figli e figlie a scuola (che non è gratuita), anche se vi sono delle eccezioni. Queste informazioni mi sono state fornite da Teresa, un'arzilla ottantasettenne che vive a Ipamba da trent'anni e si occupa della gestione della guest house del Cuamm. Molte famiglie si rivolgono a lei chiedendo un aiuto economico per mandare a scuola i loro figli, e Teresa ha organizzato diversi fondi e sistemi di sostegno per i bambini più in difficoltà (ad esempio ogni anno compra metri di stoffa blu e fa cucire a donne senza marito né lavoro decine di uniformi). L'impressione che ho avuto conversando con la gente è che siano soprattutto i genitori (che spesso hanno un livello scolastico basso) a comprendere l'importanza di una buona istruzione, piuttosto che i figli. Per esempio, quando una ragazza minorenne rimane incinta i suoi genitori si arrabbiano molto, ma non perché la ragazza non è sposata e dovranno mantenere loro il bambino, o per questioni religiose, ma perché dovrà lasciare la scuola.

casi non hanno) più di tre figli, perché altrimenti, come si fa a farli studiare? È questa la principale preoccupazione, molto più dei costi che possono essere l'alimentazione o il vestiario o le spese mediche.

Tuttavia, soprattutto le ragazze, non sono interessate a proseguire gli studi. Molti e molte, tra i giovani, mi hanno detto che di solito alle ragazze non importa lasciare la scuola, loro vogliono avere dei figli e creare una famiglia, inserendosi nel tessuto locale e nella vita del villaggio con una nuova autonomia. Quelle che terminano la scuola secondaria poi possono indirizzarsi verso un'università (ma è molto raro, se la famiglia non è agiata è molto più probabile che vi si mandi un fratello) o iscriversi a diversi corsi, da quello per infermiera a quello di cucito, passando per una scuola di cucina italiana gestita da una suora. Le informazioni mediche inerenti alla gravidanza e al parto a cui possono accedere sono soprattutto legate all'ospedale, all'RCH, in quanto con le madri non hanno questo tipo di conversazioni e, oltre ai guaritori (che si pagano) sono le anziane del villaggio a maneggiare e custodire la conoscenza della medicina locale. Da quando esiste questo servizio (nessuno mi ha saputo dire con esattezza quando è stata inaugurata la clinica, ma credo risalga ad almeno dieci anni fa) penso sia ragionevole supporre che la vulnerabilità di donne e ragazze sia molto diminuita.

Un altro fattore che mina la possibilità delle donne di gestire al meglio il rischio medico è l'autonomia di scelta nella contraccezione e nel numero di figli desiderati. Come già accennato, quella del numero di gravidanze è una decisione che, nonostante i recenti cambiamenti, spesso, soprattutto nelle zone più rurali, è ancora interamente nelle mani del marito. Nel villaggio di Ipamba vige un sistema patrilineare e virilocale. Non è necessario sposare una ragazza di un altro villaggio, mi hanno spesso ripetuto che quello che conta, e che gli anziani della famiglia considerano per dare il consenso al matrimonio è l'amore e il feeling di coppia, indipendentemente dalla provenienza. Tuttavia, dopo il matrimonio, la ragazza va a vivere nel villaggio del marito. Qui si trova lontana dalla sua famiglia e le decisioni sulla salute dei figli ricadono sul marito e sulla suocera, non ha una rete sociale sviluppata per poter imporre la propria opinione o richiedere aiuto. Se una donna partorisce un bambino che ha bisogno di essere trattenuto in ospedale perché malato o prematuro ma il marito la vuole a casa non ha molta scelta: senza soldi né

cibo deve per forza tornare a casa, con il suo bimbo di poco più di un chilo, avvolto in kanga e coperte, allacciato sulla schiena.

Holten parla di capitale sociale, richiamando P. Bourdieu, come

the aggregate of the actual or potential resources which are linked to possession of a durable network of more or less institutionalized relationship of mutual acquaintance and recognition. (Bourdieu, The forms of capital cit. In Holten, 2013: 62)

L'autrice, sulla scorta di Bourdieu, distingue poi il capitale sociale dal capitale simbolico, inteso invece come riferito a

resources available to an individual on the basis of honor, prestige or recognition, and functions as the embodiment of cultural values. (Holten, 2013: 62)

Per portare un bambino in ospedale, o comunque farlo curare, servono soldi; la povertà in questo contesto è un grande fattore di vulnerabilità. Una donna ha poche persone a cui può chiedere aiuto economico, il marito prima di tutto, ma se questi rifiuta non può rivolgersi ad altri senza “scavalcare” inopportunamente il marito.

Holten, nella sua ricerca a Farabako, in Mali, conclude che la vergogna (di dover chiedere aiuto, per la propria condizione di povertà) è un fattore significante che porta ad atteggiamenti che sono visti come di grande passività da osservatori occidentali, ma in realtà sono comunque di “agentività”. Infatti:

poverty and and mistrust limit the capacity of social capital to generate the founds needed. Thus, symbolic capital, in the form of the embodied cultural value of shame, becomes an important determining factor in health seeking behavior. But shame is not only embodied, it is also actively used by women in constructing their identities as “good women” when faced with health adversity. In the end, when your child is ill and the means run out, it is most important to be a good woman who has shame; morals really matter. (Holten, 2013: 67-68)