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Il rischio Breve excursus: dall'assicurazione marittima al costruzionismo

Il termine rischio (la cui etimologia è incerta4), dalla sua comparsa, pare nel 1263 – legato a questioni di assicurazione marittima – ha modificato il suo significato e l'ambito semantico di appartenenza. Come sottolinea Ewald, riferendosi alla prima comparsa del termine,

A quel tempo, il termine rischio indicava la possibilità di un pericolo oggettivo, un atto di Dio, una forza maggiore, una tempesta o qualche altro pericolo del mare non imputabile a una condotta sbagliata. (Ewald, 1993: 226 cit. in Lupton,

4 Come scrive Ligi (2009: 135-138), potrebbe derivare dal tardo latino risicum (derivante dallo spagnolo risco, scoglio), o dal greco rizicon (sorte, fato), o dall'arabo rizq (“ciò che viene da Dio”), o

2003: 11)

Nelle sue prime apparizione, dunque, il concetto di rischio esclude la responsabilità umana.

Fra il XVI e il XVII secolo il termine rischio si diffuse in Europa anche all'esterno dell'ambito marinaio e assunse vari significati che coprono diverse aree semantiche, da pericolo ad audacia a fortuna: il rischio si lega sempre più all'idea della scelta, inevitabile ma basata su una conoscenza che, sul momento, sarà necessariamente «intrinsecamente incompleta» (Ligi, 2009:136). Solo dopo sarà possibile valutare la bontà della decisione presa. Emerge dunque anche il concetto di probabilità, come strettamente connesso a quello di rischio.

Con l'ingresso nell'Illuminismo l'uomo si arroga sempre più un ruolo di controllo e dominio sul mondo che lo circonda, attraverso la razionalità e la conoscenza scientifica: tramite il calcolo statistico diventa possibile, nel XVIII secolo, quantificare il rischio e monetizzarlo all'interno delle logiche assicurative. A partire dal XIX secolo, inoltre, lo stesso uomo – con i suoi comportamenti – fu considerato fattore di rischio, accanto alla natura.

Il concetto di rischio venne “fissato” nella sua forma definitiva nel 1921, con l'opera di Frank Knight, Risk, Uncertainty and Profit, nella quale Knight distingue tra rischio e incertezza: «il rischio rappresenta una calcolabilità statistica, mentre l'incertezza consiste nell'intrattabilità quantitativa» (Ligi, 2009: 137). Quest'opera è basilare per la risk analysis, i cui esperti si propongono di calcolare oggettivamente i fattori di rischio per raggiungere una sicurezza il più possibile “sicura”.

E, come scrive Reddy,

inventando il “rischio” i moderni avevano eliminato la naturale indeterminatezza o “incertezza”. Grazie al mito della calcolabilità avevano imparato a trasformare un cosmo radicalmente indeterminato in uno maneggevole. (Reddy, 1996: 237 cit. in Lupton, 2003: 13)

Nel secolo scorso il rischio è stato oggetto di numerosi approcci teorici e le diverse posizioni si possono riunire in tre orientamenti di base: il realismo, il costruzionismo e

il costruzionismo debole.

Il paradigma realista – che si fonda sulla risk analysis – di fronte alla consapevolezza che la scienza non può più garantire alcuna certezza, né in termini di pericolo né in termini di sicurezza, passa

da una prospettiva deterministica a una probabilistica sulla possibilità di conoscere i nessi causali tra i fatti, il concetto di rischio è manipolato in modo ragionieristico per calcolare la misura di ciò che si può razionalmente sperare di raggiungere. (Ligi, 2009: 138)

Il presupposto della risk analysis è che l'opinione pubblica sia costituita da individui che agiscono secondo un modello di comportamento razionale e, se così non è, la causa è dovuta ad una differenza di conoscenza tra gli “esperti” e l'”opinione pubblica”. Inoltre, i beni potenzialmente a rischio vengono monetizzati e valutati all'interno di un'ottica costi/benefici.

Si può dire che il rischio R è dato dalla relazione fra il danno (D) associato a un evento e le probabilità (P) che l'evento ha di verificarsi: R = D x P (Ligi, 2009: 138)

Il principale punto critico di questo approccio è quello di considerare gli individui agenti secondo un modello razionale, astraendoli dal contesto sociale e rendendoli estranei a qualsiasi influenza politica o morale. Gli individui vengono così “deculturati”.

In una posizione teorica opposta a quella della risk analysis si colloca invece il paradigma costruzionista, cioè le teorie socio-culturali del rischio, il quale mette in relazione il rischio esclusivamente con fattori soggettivi e, quindi, sociali. «Secondo questo approccio la costruzione è radicale: non esistono rischi in sé, esistono solo convenzioni sociali su cosa sia un rischio o cosa non lo sia.» (Ligi, 2009: 153)

Assume quindi un'importanza preponderante l'attenzione alla dimensione individuale, determinata dal contesto socio-culturale. Si può quindi affermare che

il rischio R è dato dalla relazione fra la percezione della gravità del danno (D) associato a un evento e la percezione delle probabilità (P) che l'evento ha di verificarsi. (Ligi, 2009: 152)

Tra i due paradigmi si colloca quello che si può definire come realismo critico o costruzionismo debole, che è la posizione di Mary Douglas, la quale, in particolare, critica il focalizzarsi sulla percezione individuale, sottolineando come gli individui siano già «imbevuti di assunti acquisiti culturalmente». (Douglas, 1996: 67)

Per questo approccio i rischi sono realtà concrete e oggettive, tuttavia la percezione che ne si ha (e quindi le reazioni) varia, ed è influenzata dal contesto sociale, politico e culturale. Quindi, come scrive Lupton,

ciò che le società farebbero è solo selezionare alcuni pericoli come degni di particolare attenzione. Sono i pericoli che, per ragioni interne alla loro cultura e dati i loro valori e interessi esse definiscono «rischi». Il rischio, cioè, non sarebbe che l'interpretazione e la risposta socialmente costruita a un pericolo reale e oggettivo, anche se la conoscenza che ne abbiamo è sempre mediata da processi sociali e culturali. (Lupton, 2003: 46)

Risulta quindi impossibile elaborare un modello di reazione a un evento potenzialmente dannoso senza tenere conto del contesto sociale e delle razionalità multiple che compongono l'opinione pubblica.

Tuttavia, il pensiero di Douglas risulta piuttosto statico e schematico, tende a fissare i comportamenti in schemi e modelli che escludono la dinamicità e il cambiamento, nella sua riflessione non tiene conto, ad esempio, del fatto che gli individui possano adottare diverse posizioni nei confronti dei rischi nel corso della loro vita. E questo riposizionamento avviene all'interno di un processo di costruzione del sé come soggetto morale, l'etica è parte di ciò che Foucault chiama “tecnologie del sé”. Secondo l'autore, la morale si compone di codici, che determinano il valore positivo o negativo conferito ai comportamenti, atti, cioè i reali comportamenti degli individui in relazione al codice morale, ed etica. L'etica consiste nel processo di diventare un soggetto morale (dove le moralità sono codici istituzionalizzati). Per comprendere quindi il comportamento degli individui di fronte ai rischi, non ha senso

utilizzare un modello di comportamento razionale, come proporrebbe il paradigma realista, ma bisogna considerare i codici morali della società e i tipi di etica, cioè le modalità attraverso le quali gli individui si costruiscono o si considerano come soggetti morali.

Nel corso della mia ricerca, nel confrontarmi con la tematica del rischio, ho adottato l'approccio del costruzionismo debole, considerando cioè i rischi medici come realtà oggettive, ma analizzando anche le percezioni locali di rischio e i codici morali propri al contesto culturale locale.

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