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Locale vs tradizionale vs biomedicina nel contesto tanzaniano

Il guaritore locale in swahili è chiamato mganga wa kienyeji: mganga significa guaritore, kienyeji evoca sia il locale sia il tradizionale, si tratta di una tradizione localmente radicata, che distingue e definisce un luogo. Personalmente preferisco utilizzare la categoria “locale”, e non “tradizionale”, essendo la prima meno simbolicamente connotata, anche se frequentemente nella letteratura si utilizza la formula “medicina tradizionale” e non “medicina locale”. Così facendo, tuttavia, come rileva Marsland (2007), nel contesto quotidiano tanzaniano la contrapposizione tra medicina definita “tradizionale” e “biomedicina” dà vita ad una serie di contraddizioni e paradossi, oltre che a forme ibride. Opponendo infatti le categorie di medicina “tradizionale” e “moderna”, la medicina tradizionale risulta arretrata e marginale rispetto alla moderna medicina occidentale. L'effetto è quello di una sorta di evoluzione medica, con due sistemi che non possono essere concepiti come contemporanei e di pari dignità. Uno degli effetti indiretti di questa predominanza della medicina “moderna” è l'attuale presenza – accanto ai guaritori che difendono la loro “tradizionalità” – di guaritori che tendono sempre più ad appropriarsi delle pratiche della biomedicina, dando vita a forme “ibride” di medicina:

The waganga [guaritori] are challenging this version of themselves as outside of the mainstream. By taking on (or aspiring to take on) aspects of modern medicine, they are challenging the representation of themselves by other as “traditional”, since they are open to innovation from “outside”. (Marsland, 2007: 756)

Naturalmente, in questo modo, continuando la contrapposizione tra tradizionale e moderno viene reiterato il pregiudizio evolutivo.

È stimato che oggi in Tanzania vi sia un rapporto di 1:400 pazienti per i guaritori locali e 1:2000 per i medici appartenenti alla biomedicina. Questa disparità di densità tuttavia non si traduce in una posizione realmente maggiormente riconosciuta e istituzionalizzata per i guaritori locali, nonostante occupino un ruolo centrale nel sistema medico di riferimento dei pazienti.

For the waganga themselves, this marginality in terms of government policy does not sit easily with their experience of themselves as practitioners whose services are very much in demand. (Marsland, 2007: 756)

La medicina “tradizionale”, inoltre, penetra anche negli ospedali, intersecandosi strettamente con la biomedicina. Langwick (2008), durante la sua esperienza in un ospedale tanzaniano, ha potuto rilevare come i rimedi locali penetrino all'interno dell'ospedale portati dai pazienti – e uno dei casi più significativi è quello dell'infuso assunto per accelerare le contrazioni ma che sovente provoca la rottura dell'utero – ma anche introdotti dal personale medico. Scrive come ventitré delle ventisei infermiere e aiuto infermiere da lei intervistate abbiano dichiarato di aver utilizzato i rimedi locali almeno una volta nella loro vita. Ciononostante tutte possono portare esempi di situazioni in cui l'uso di medicine locali è dannoso: è il caso ad esempio del degedege, le convulsioni dei bambini, il cui rimedio “tradizionale” si rivela molto pericoloso in un contesto di interazione con il chinino.

Tra le infermiere con cui ho parlato, solo una ha respinto con decisione i rimedi locali, le altre hanno finto scetticismo – presupponendo che io, in quanto bianca, non prestassi fiducia ai rimedi locali – per poi comunque ammettere di averli utilizzati e usufruirne tuttora.

Solo l'infermiera Rosa si è dimostrata ferma nel sostenere l'inutilità, dove non la dannosità, di certe terapie. Mi ha più volte ripetuto che la chiave di tutto è l'istruzione, anche lei prima di accedere alla scuola per infermiere credeva in tante teorie che poi ha capito non essere “scientifiche”. Come scrive Langwick, riportando il pensiero di

Stacy Leigh Pigg,

articulations of one’s belief in or thoughts on traditional medicine are ways of positioning one’s self. The skepticism, even condescension, of clinical staff toward traditional medicine is shaped by their training, their position as “professionals,” and their position in the complicated class structures of postcolonial modernities (e.g., as people earning salaries in an area where many if not most are subsistence farmers). (Langwick, 2008: 431)

La questione del rapporto tra biomedicina e medicina locale è sicuramente molto complessa e sfaccettata, tuttavia è chiaro come i confini tra i due sistemi siano sempre più labili e di fatto vi sia una grande compenetrazione, nella concretezza della terapia, frutto di una continua frizione e negoziazione. La medicina occidentale ha molti limiti, può risolvere momentaneamente la condizione di malessere ma non mira a ristabilire l'equilibrio tra l'individuo e il mondo, e vi sono disturbi risolvibili solo dalla medicina locale. Ciononostante, i guaritori stessi usufruiscono dei rimedi della biomedicina, in un'ottica di scambio di conoscenze. (Micheli 2011a)

4.2 L'origine della malattia: naturale o sovrannaturale? La stregoneria come orizzonte di senso.

Nell'opinione di Bellagamba (2008), all'interno del sistema medico locale tanzaniano esiste una sorta di dicotomia tra le malattie attribuite a Dio e quelle attribuite agli uomini.

Le prime sono generalmente i piccoli o grandi disturbi la cui causa organica è relativamente chiara. Dio è una vera e propria “categoria causale” all’origine di un gran numero di malattie per le quali, secondo i guaritori africani, è sufficiente andare in dispensario o in ospedale, poiché anche i guaritori occidentali sono in grado di affrontarle senza ricorso agli spiriti e all’invisibile, in quanto dominio del certo e dell’organico.

Quando invece una malattia appare misteriosa, la sua origine sconosciuta, il suo decorso tragicamente infausto o non comprensibile, allora probabilmente si tratta di

una “malattia degli uomini”. Nella maggior parte dei casi è quindi richiesto l’intervento della stregoneria, in quanto la causa di questi disturbi è di origine occulta, dovuta alla mobilizzazione di forze invisibili, come la maledizione da parte degli antenati, o la colpa di un tradimento ricaduta sul figlio, o l’essere posseduti da uno spirito ancestrale. Come scrive anche Ivo Quaranta:

a Nso', come altrove, si distingue in modo esplicito fra afflizioni inviate dagli dei e afflizioni «fatte» dagli uomini. In questo secondo caso si tratta di stregoneria. La differenza tra le due categorie sta, quindi, nel ruolo dell'azione umana nel produrre le condizioni per l'insorgere di malattia e sventura. (2006:142 cit. in Ligi, 2009: 127)

Micheli (2011) sottolinea come, nel pensiero tradizionale africano, tutto ciò che accade nel mondo abbia una causa specifica pur non seguendo, ad esempio nell'ambito medico, un rigoroso meccanismo di causa-effetto (tipico della medicina occidentale). Piuttosto, la spiegazione è saldamente ancora ad un preciso contesto spazio-temporale, da cui sono esclusi caso e fortuna. L'autrice indica come spesso vi sia una netta distinzione tra le malattie naturali e innaturali: per i Kulango le cause della malattia sono riconducibili a tre tipologie: la malattia può avere un'origine naturale e colpire di solito gli anziani. In questo caso, la malattia è ritenuta essere causata dell'Essere Supremo e il guaritore poco può fare, se non alleviare i dolori del malato. Ma la malattia può anche avere un'origine non naturale, e colpire improvvisamente un giovane in buona salute: si tratta quindi probabilmente dell'attacco di uno o più stregoni, e in questo caso il guaritore ingaggia una battaglia contro lo stregone, che sarà vinta da chi dimostra di possedere una maggiore forza mistica. Infine, può avere un'origine non naturale e colpire una persona giovane il cui comportamento si discosta dalla norma: si ritiene che la malattia venga mandata dall'Essere Supremo o dagli antenati, e il guaritore potrà guarire il malato solo se quest'ultimo si pente del suo comportamento deviante.

È dunque importante sottolineare che

interno dare ragione della vulnerabilità individuale e, per un altro, una conferma della struttura sociale, del sistema di valori e dei rapporti di potere esistenti nella comunità. (Ligi, 2009: 128)