• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 3 POLITICHE DI SICUREZZA E SICUREZZA PARTECIPATA: IL CASO

3.8 Le funzioni delle “ronde”

Con l’introduzione delle ronde il legislatore ha voluto dotare i sindaci di ulteriori strumenti per la sicurezza urbana, destinati ad essere utilizzati nel quadro delle prescrizioni fissate dalle ordinanze adottate dai medesimi sindaci e con l’obiettivo di contribuire ad assicurarne l’osservanza e l’efficacia.

Anche nel caso delle ronde la sicurezza urbana appare, dunque, tutta giocata a livello di ordine e sicurezza pubblica. Prospettiva che trova riscontro nelle parole della Corte costituzionale, che nella sentenza n. 196 del 2009, ha chiarito che il decreto del Ministro dell’interno con il quale si è provveduto alla definizione degli ambiti dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana ha ad oggetto

92

esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica, intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati.

La disciplina statale prende spunto dalle esperienze regionali e locali,

realizzate negli ultimi anni, di coinvolgimento dei cittadini nella realizzazione di sistemi integrati di sicurezza locale, che hanno anche trovato un riconoscimento legislativo, dando luogo a diversi modelli di regolazione.

Se in alcuni casi il legislatore regionale si è limitato a prevedere un generico coinvolgimento dei cittadini singoli ed associati nella realizzazione delle politiche di sicurezza urbana, in altri casi è intervenuto con maggior vigore e determinazione.

Tra le esperienze locali si segnala quella degli “assistenti civici” presenti in molti comuni, ed utilizzati fin dal 2001 a Bologna, dove il loro impiego è stato poi disciplinato dalla citata legge regionale n. 23 del 2003 che ha previsto l’utilizzazione di forme di volontariato, diretta a realizzare una presenza attiva sul territorio, aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quella ordinariamente garantita dalla polizia locale, con il fine di promuovere l’educazione alla convivenza e il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone, l’integrazione e l’inclusione sociale.

Nelle legislazioni regionali il coinvolgimento delle associazioni è frequentemente esteso alla partecipazione ad organismi di studio e di monitoraggio dei fenomeni riguardanti la sicurezza intergrata o urbana, la cui operatività è subordinata alla stipula di apposite convenzioni con gli enti territoriali interessati.

La disciplina dei requisiti dei volontari e dei compiti ad essi demandati è posta dalla legislazione regionale, che più volte si preoccupa di ribadirne la dipendenza funzionale dalla polizia locale.

In altri casi ancora (come in Lombardia, in Friuli Venezia Giulia e in Emilia Romagna) è stata riconosciuta agli enti locali la possibilità di avvalersi, previa stipula di apposite convenzioni con gli istituti di vigilanza privata, della

93

collaborazione di guardie particolari giurate, con funzioni ausiliarie, al fine di assicurare alla polizia locale un sostegno nell’attività di presidio del territorio, anche attraverso lo svolgimento di attività sussidiaria di mera vigilanza79.

Dunque, la legge statale n. 94 del 2009 e il decreto ministeriale attuativo intervengono in ambiti già regolati dalla legislazione regionale, sovrapponendosi alla disciplina regionale preesistente e rischiando di invadere competenze legislative regionali così come delimitate dalla riforma del Titolo V della Costituzione.

A tal proposito, la Corte costituzionale ha precisato che la sicurezza pubblica «secondo un tradizionale indirizzo […] è da configurare, in contrapposizione ai

compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico»80.

La Corte costituzionale già con la sentenza del 3 novembre 1988, n. 1013, aveva ribadito che «il riparto di competenze fra Stato e regioni in relazione alle

funzioni di polizia é stato operato sulla base della distinzione tra poteri attinenti alla pubblica sicurezza e poteri concernenti la polizia amministrativa”.

Le prime, che sono state conservate allo Stato a norma dell’art. 4 del DPR n. 616 del 1977, concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali o degli interessi pubblici primari sui quali, in base alla Costituzione e alle leggi ordinarie, si regge l’ordinata e civile convivenza dei consociati nella comunità nazionale. Tali funzioni, pertanto, si caratterizzano per essere primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi, la fede pubblica e ogni altro bene

79 Si veda l.r. Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2009, n. 9, art. 6 80 Corte Cost., 1 luglio 2009, n. 196.

94

giuridico che l’ordinamento ritiene, in un determinato momento storico, di primaria importanza per la propria esistenza e per il proprio funzionamento.

Ne consegue che “i poteri esercitabili dai Sindaci (…) non possono che essere

quelli finalizzati alla attività di prevenzione e repressione dei reati e non i poteri concernenti lo svolgimento di funzioni di polizia amministrativa nelle materie di competenza delle Regioni e delle Province autonome”.

Conclusione che conserva la sua validità anche nel caso di utilizzo delle ronde da parte del sindaco.

Da questa affermazione può trarsi la considerazione che la materia della polizia amministrativa locale affidata alla competenza legislativa residuale delle regioni può comprendere anche aspetti relativi alla sicurezza, purché non si tratti di misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico81.

Gli interventi riguardanti le situazioni di disagio sociale, pur circoscritti all’attività di prevenzione, ben possono essere ricondotti alla materia delle “politiche sociali” o dei “servizi sociali”, che ricade, per costante giurisprudenza costituzionale, nella competenza legislativa residuale regionale.

Infatti, nel “disagio sociale” si intersecano tra loro attività di prevenzione, di assistenza, di recupero, che fanno sì che non possa questa nozione essere interpretata nel senso di attribuire alle regioni il solo compito di intervenire in via successiva, cioè quando le situazioni di disagio sono ormai insorte, lasciando allo Stato la determinazione della disciplina applicabile all’attività di prevenzione.

Infatti, le associazioni di osservatori volontari non operano nell’ambito dell’erogazione di servizi, ma devono limitarsi alla mera osservazione e segnalazione delle situazioni di disagio.

81 M. Cecchetti, Pajno A., Quando una «ronda» non fa primavera. Usi ed abusi della funzione legislativa, 2009, in www.federalismi.it ,

95