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CAPITOLO 1 – PER UNA DEFINIZIONE DI SICUREZZA

1.9 Sicurezza e territorio

Le analisi sociologiche dei primi anni Novanta, infatti, individuavano proprio nel cambiamento della concezione tradizionale di spazio e di distanza una delle conseguenze più rilevanti del processo di globalizzazione.

Fino all'avvento della postmodernità, il concetto di sicurezza era strettamente associato a quello di territorio, inteso come spazio entro cui è possibile esercitare il controllo. In tal senso, Bauman parla di una “era dello spazio”, cioè di un'epoca in cui “era in termini di ampiezza e profondità del territorio controllato che si misuravano e affrontavano le questioni di sicurezza”36.

Oggi l’era dello spazio è ormai chiusa, suggellata dall'attacco dell' 11 settembre che ha mostrato in modo drammatico e spettacolare quanto da tempo intuito dagli studiosi sociali, ossia che gli eventi si collocano ormai in uno spazio indefinito e sembrano rendersi indipendenti dal luogo in cui avvengono e dalla popolazione direttamente coinvolta.

Dal punto di vista delle relazioni sociali e della nostra vita quotidiana, siamo di fronte a un riordinamento del tempo e della distanza, così che le nostre vite

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sono sempre più influenzate da attività ed eventi che hanno luogo ben al di là dei contesti sociali di riferimento37.

A livello economico, la libera circolazione del capitale non è più un’immagine ideale ma una realtà concreta e dalle conseguenze tangibili, tanto da limitare considerevolmente l'incidenza dell'azione degli stati nazionali sull'economia. A livello politico, la portata dei problemi esula sempre di più dalle potenzialità di entità politiche e istituzionali con responsabilità spazialmente circoscritte: la protezione dell'ambiente, lo sviluppo demografico, i diritti fondamentali dei cittadini e degli stranieri, per citarne solo alcune, sono istanze che richiedono un’intensa attività di coordinamento e cooperazione fra istituzioni politiche su scala mondiale.

Sul versante militare, il raggio d'azione sempre più ampio degli armamenti e la possibilità di usare oggetti di uso quotidiano a scopi bellici (come nel caso degli attentati terroristici) determina per gli eserciti nazionali l'impossibilità di essere dei garanti efficaci della pace e della sicurezza degli stati. Ma ancor più paradossale é che in questo ambito ogni tentativo di estendere il controllo si traduce inevitabilmente in maggiore vulnerabilità. Se pensiamo infatti allo sviluppo dei sistemi d'arma degli ultimi 50 anni, ci rendiamo conto che essi dipendono completamente dai sistemi satellitari che hanno spostato dalla terra allo spazio i confini da difendere. Ma il controllo di questa frontiera è attuabile soltanto attraverso sistemi altamente vulnerabili e sensibili alle interferenze. La ricerca della sicurezza ancora una volta é foriera di maggiore insicurezza e, per assurdo, è proprio chi più controlla a essere più esposto ai rischi.

Di fronte a questi cambiamenti, concetti come quelli di confine e di territorio, con la loro connotazione di entità spaziali circoscritte, perdono la loro funzione

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protettiva e il loro significato sociale in favore di una concezione dinamica di flussi globali

La despazializzazione e deterritorializzazione dei fenomeni e dei problemi sociali non riduce tout court l'importanza dello spazio e del territorio, che invece acquisiscono una centralità nuova proprio in virtù delle proprie caratteristiche di finitezza e di controllabilità. Anzi si assiste nel dibattito pubblico a una assimilazione del problema della sicurezza a quello della difesa (territoriale) dalle minacce della criminalità e della violenza urbana.

È chiaro che, di fronte all'estrema vulnerabilità a livello globale, gli individui sono portati a cercare protezione almeno nelle immediate vicinanze dei luoghi che abitano, all'interno del proprio spazio vitale. Ma ci sono anche altre ragioni che conducono al trionfo della dimensione locale nella gestione della sicurezza.

Che si manifesti attraverso disastri naturali, conflitti armati o attentati terroristici, il rischio globale ha senso per l'individuo nella misura in cui si traduce in minacce specifiche alla propria sicurezza locale.

La trasposizione nel locale dell'insicurezza globale è necessaria non solo per la soggettiva attribuzione di senso, ma anche per la ricerca collettiva di possibili soluzioni.

È soltanto a questo livello, infatti, che l'individuo è ancora fiducioso di poter fare qualcosa e, successivamente, di vedere con i propri occhi e sperimentare di persona le conseguenze delle azioni intraprese.

È soprattutto a questo livello, inoltre, che le istituzioni politiche possono ancora esercitare pienamente il proprio potere e mettere in campo politiche rivolte a migliorare la sicurezza dei cittadini.

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Non sorprende, quindi, che il discorso sulla sicurezza e le iniziative in questo ambito, si siano concentrate soprattutto sulla dimensione specifica della sicurezza urbana38 .

Le città sono diventate, infatti, lo spazio entro cui i fenomeni descritti si manifestano in tutta la loro complessità e contraddittorietà.

Nelle città convivono intrecciandosi non luoghi e luoghi antropologici, si rendono visibili le conseguenze della globalizzazione mondiale, si percepisce la concretezza del problema dell'insicurezza e si sperimentano i sistemi per risolverlo. Non è un caso, infatti, che anche in Italia la domanda di sicurezza più pressante provenga proprio dagli abitanti delle città, in particolare dai capoluoghi e dai grandi centri urbani, sia in termini di domanda generica espressa attraverso i sondaggi di opinione, sia direttamente attraverso segnalazioni e chiamate agli operatori di polizia39.

Indubbiamente esistono vari problemi per l'attuazione di una sicurezza partecipata. Primo fra tutti la ricorrente scarsità di risorse destinate agli enti locali (dal punto di vista dei sindaci) o alle polizie nazionali (dal punto di vista delle polizie) per progetti di questo tipo.

Nient'affatto secondaria, però, è la difficoltà di rimettere in discussione ruoli, culture e pratiche professionali consolidate sia da parte degli operatori di polizia che da parte degli operatori sociali. Ma, se la sicurezza va gestita a livello locale, per le istituzioni della sicurezza oltre che un problema di cambiamento culturale si pone anche un problema di riorganizzazione e di ottimizzazione delle risorse, che rafforzi il ruolo e riqualifichi l'azione delle polizie locali evitando inutili ridondanze e dannose sovrapposizioni.

Nelle realtà urbane dove le politiche di sicurezza sono attive da tempo si è verificata una convergenza degli attori sugli obiettivi prioritari e sulle logiche di

38 Selmini R. (a cura di), La sicurezza urbana, op.cit.

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azione ed è stato implementato un mix di azioni di controllo, di prevenzione comunitaria, sociale e situazionale, rivolte a dare risposta alle diverse istanze dei cittadini40 e, soprattutto, si è tentata una cogestione delle iniziative.

In tutti i casi, per evitare che la gestione del bene collettivo sicurezza sia attribuita in via esclusiva a singoli apparati della burocrazia statale o addirittura a soggetti privati, è necessario che la politica, a livello nazionale e a livello locale, eserciti il ruolo che le è proprio.

Ciò al di fuori della demagogia e dei proclami sicuritari, attraverso il rafforzamento delle funzioni di analisi, indirizzo, controllo e valutazione delle politiche per la sicurezza dei cittadini.

40 C. Braccesi, Lo sviluppo delle politiche di sicurezza urbana, in Selmini R (a cura di), La sicurezza urbana, op. cit.

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CAPITOLO 2 – DALLA SICUREZZA PUBBLICA ALLA SICUREZZA