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CAPITOLO 2 – DALLA SICUREZZA PUBBLICA ALLA SICUREZZA URBANA

2.8 Il governo della sicurezza urbana

Il concetto di sicurezza, a partire dalla fine degli anni Novanta, è venuto via via assumendo un’accezione più ampia, che non si esaurisce nella funzione, tradizionalmente pubblica, di garantire l’incolumità personale, l’ordine pubblico e la legalità dell’ordinamento, ma si estende ad una più generale “vivibilità” del contesto urbano.

In tal senso la sicurezza urbana si afferma come un nuovo diritto sociale alla qualità della vita nella città, un diritto che investe gli ambiti della gestione del territorio, della tutela dell’ambiente, dello sviluppo economico, della coesione sociale e delle risorse culturali.

In questo contesto si inizia a parlare di sicurezza urbana in modo strettamente legato al tema della redistribuzione delle responsabilità e delle competenze tra le amministrazioni locali e centrali che caratterizza il dibattito sulla riforma federalista dello Stato, e si pone anzi come tema ideale su cui tentare di ridefinire gli equilibri tra i diversi attori in gioco; prospettiva questa che si è trovata peraltro a dover scontare l’arretratezza del sistema normativo di riferimento.

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Sotto quest’ultimo profilo rappresenta una novità di estrema originalità ed importanza l’avvio di politiche locali di sicurezza che concorrono con quelle nazionali del governo.

Il sistema di direzione delle politiche per la sicurezza appare oggi quindi stratificato anche riguardo ai centri di responsabilità ed alla legittimazione degli organismi che vi concorrono.

Da un lato, dette politiche, attraverso la legislazione regionale, danno un diverso senso al concetto di polizia amministrativa; dall'altro riguardano l'attuazione di iniziative orientate alle community policing61, ovvero la polizia di comunità di ispirazione anglosassone; infine ha assunto notevole interesse l'intervento urbanistico valutato in chiave di impatto sulla sicurezza della città.

In tema di polizia amministrativa, col trasferimento di un notevole numero di competenze a comuni e province, si è passati da una concezione di controllo repressivo statuale ad un controllo prettamente amministrativo delle attività sul territorio: buona parte delle violazioni fanno capo alla competenza del sindaco o al presidente della provincia e sono così affidate innanzitutto alla competenza della polizia locale.

A questo proposito hanno assunto notevole importanza i regolamenti comunali, nuovi strumenti di dissuasione contro la devianza (atti vandalici, accattonaggio, malgoverno di animali, comportamenti contro la pubblica decenza).

In tema di politiche attive, hanno acquisito notevole interesse azioni e progetti concreti, finanziati con risorse regionali o nazionali che, nella loro generalità possono definirsi orientati anch’essi al concetto di polizia di comunità. Si tratta, nella sostanza, di un modello di sicurezza negoziata, nel quale gli organismi di polizia interagiscono con la popolazione ed attraverso una presenza

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preventiva, condividono con essa le informazioni utili a migliorare i livelli di vigilanza e sicurezza.

Inoltre, in diverse regioni, i comuni, hanno stipulato con lo Stato accordi di programma, contratti, patti o protocolli, per la condivisione delle strategie di controllo del territorio tra forze di polizia e polizie locali, per lo scambio di informazioni, per il supporto alle vittime e per la formazione professionale degli operatori.

È indubbio che al centro delle politiche della sicurezza, di cui il contrasto del fenomeno criminale è solo una parte, deve esserci la prevenzione, sempre più determinante per la tranquillità del cittadino; per migliorare la sicurezza, soprattutto quella percepita, occorre un approccio complesso al territorio, che permetta a comunità e istituzioni di intervenire congiuntamente su quei fattori socio-ambientali che potrebbero sfociare in elementi di pericolosità.

Il concetto di sicurezza urbana e l’evoluzione in senso federale dell’ordinamento, con l’introduzione del principio costituzionale di sussidiarietà, nonché la grande valorizzazione, conseguente all’introduzione del meccanismo di elezione diretta, della figura istituzionale del Sindaco, hanno prodotto grandi cambiamenti nelle politiche di sicurezza delle città.

Vi è stato infatti, innanzitutto, un cambiamento di mentalità, nel considerare che la sicurezza deve farsi più vicina ai bisogni reali dei cittadini e deve contemperare un insieme coordinato di interventi in tutti gli ambiti della vita quotidiana, così che la qualità della vita nel contesto urbano divenga effettivamente misura efficace di prevenzione.

Si è inoltre compreso che per il raggiungimento di tale complesso obiettivo è necessaria l’adozione di nuovi modelli operativi ispirati ai principi della collaborazione e del coordinamento istituzionale in grado di far convergere, in una logica di partnership, le funzioni dello Stato e delle Autonomie locali ed i contributi della società civile.

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E’ quindi in questo spazio, concettuale prima ancora che giuridico, che si colloca la sicurezza urbana,come esperienza caratterizzata da profili riconducibili alla nozione tradizionale di sicurezza pubblica, e da profili propri dell’intervento dei poteri locali; sicché essa pare costituire, alla fine una realtà che non può essere definita se non dal concorso di funzioni statali e funzioni non statali.

Essa, infatti, da una parte evoca l’idea della difesa di interessi pubblici primari, come l’integrità delle persone, la protezione dei possessi, sicché non può che rimandare all’esercizio di funzioni statali; dall’altra sembra suggerire un intimo collegamento con la qualità della vita della città sicché non può che rimandare anche all’esercizio di compiti e funzioni locali (o non statali), comunque disciplinati dalla fonte legislativa regionale.

La locuzione “urbana”, predicata con riferimento alla “sicurezza”, non indica, soltanto un ambito speciale all’interno del quale assicurare la sicurezza (e cioè la prevenzione e repressione rispetto ai danni potenziali), ma anche un valore (la città sicura ed accogliente), da preservare, garantire e promuovere proprio perché la sicurezza che si intende garantire (la sicurezza della città) non può essere assicurata senza una adeguata promozione delle qualità stesse dei servizi, delle infrastrutture e dell’arredo urbano62.

Ciò significa che la sola prevenzione dei pericoli e la repressione di comportamenti indicati come dannosi, pur utili, appaiono in realtà inidonee a realizzare una vera “sicurezza urbana”; e che, d’altra parte, la semplice promozione di servizi, se non garantita stabilmente attraverso un’attività di prevenzione e repressione dei pericoli, appare in qualche modo insufficiente ad assicurare una stabile qualità della vita nelle città, e cioè la sicurezza urbana.

62 Pallotto P., La pratica e la teoria della sicurezza urbana: realizzazione e analisi di un progetto in La

sicurezza urbana: dalla pratica alla teoria, dalla teoria alla pratica. Elaborati finali del corso di responsabile tecnico delle politiche di sicurezza urbana, FISU, 2006

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Non a caso, è stato di recente ricordato che, anche secondo la letteratura internazionale, la sicurezza urbana tende a distinguersi dai concetti tradizionali di sicurezza e di ordine pubblico, e che il riferimento al contesto urbano allude anche agli attori istituzionali che hanno la responsabilità, a livello locale, di farsi carico dei problemi dei cittadini.

La sicurezza urbana non è infatti una nuova materia e un esercizio di funzioni di ordine e sicurezza pubblica o di polizia amministrativa locale, ma è il risultato dell’esercizio di funzioni fra di loro coordinate, il frutto di una attività di coordinamento fra funzioni ed attori istituzionali diversi.

E’ per tali ragioni che per la nozione di sicurezza urbana acquista, come si è visto, una importanza decisiva la disposizione dell’art. 118, della Costituzione, che individua nella legge statale la fonte chiamata a disciplinare forme di coordinamento tra stato e regioni in una accezione che estende il coordinamento di queste anche ad un esercizio ordinato di funzioni rientranti nella competenza regionale o locale, in vista della soddisfazione di una domanda di sicurezza che concerne ad un tempo valori primari e qualità delle condizioni di vita del territorio.

La sicurezza urbana diviene pertanto oggetto di una vera e propria competizione istituzionaletra sindaci e autorità di pubblica sicurezza, fra governo locale e governo nazionale della sicurezza.

In una prima fase le posizioni sono apparse piuttosto radicali e statiche, pur in un quadro articolato in relazione alle diverse opzioni politiche espresse dai governi locali: estremizzando i concetti per necessità di sintesi, si può dire che alla rivendicazione da parte dei sindaci di un ruolo comunque più diretto ed incisivo nel governo della sicurezza delle città si è contrapposta la riaffermazione della esclusività del monopolio della sicurezza da parte dei prefetti e del Ministero dell’Interno.

Tale rigida contrapposizione si è poi sbloccata, per dare inizio ad una complessa fase di “negoziazione”: ed è importante sottolineare come l’avvio di

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questa nuova fase abbia trovato fondamento ed impulso proprio nella cognizione di quella trasformazione sostanziale della domanda sociale di sicurezza, che ha spinto “sempre più spesso Prefetti e Sindaci a consultarsi sulla consistenza dei problemi e sulle misure da adottare.

Negli ultimi anni la progettazione e la gestione delle politiche per affrontare la sicurezza urbana appaiono caratterizzate da alcuni elementi comuni e innovativi rispetto al passato, sia dal punto di vista delle premesse teoriche che delle pratiche operative.

Il problema della sicurezza é compreso all'interno del più ampio contesto della qualità della vita nelle città, che chiama in causa non soltanto i fenomeni delinquenziali o la microcriminalità. ma anche gli episodi di vandalismo, inciviltà e degrado, l'assenza di adeguati servizi alla persona, la cattiva progettazione urbana63.

L'esigenza di rispondere a un problema così complesso ha prodotto l’aumento degli strumenti di conoscenza dei problemi anche attraverso il rafforzamento della comunicazione e dell’ascolto dei cittadini.

La responsabilità di governance della sicurezza si è allargata ai rappresentanti degli enti locali e i ruoli dei diversi attori sono stati ridefiniti estendendo il target delle azioni di prevenzione dai gruppi sociali “a rischio” alle vittime potenziali e ai cittadini in generale.

Al tradizionale centralismo si é sostituito un approccio basato sulla sussidiarietà, che vede il governo locale protagonista delle politiche di intervento. Le policy locali si inseriscono all'interno di accordi tra le istituzioni politiche e le istituzioni di polizia a competenza nazionale. La loro progettazione e implementazione é frutto della collaborazione degli amministratori e dei funzionali con le polizie locali e con i cittadini.

63 Amendola G. (a cura di), Il governo della città sicura. Politiche, esperienze e luoghi comuni, Liguori, Napoli, 2003

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E’ attivo, inoltre, il ruolo di altri attori non istituzionali, provenienti sia dal mondo delle associazioni e delle rappresentanze di interessi (associazioni di consumatori, di commercianti, ecc.) attive a livello locale, ma anche dal mondo della ricerca e della consulenza. Elementi relativamente nuovi sono riscontrabili anche nell'orizzontalità delle relazioni tra i diversi soggetti e nella loro responsabilizzazione formale attraverso la stipula di accordi di partnership, di protocolli, di contratti locali per la sicurezza.

Sul piano operativo, l'acquisizione di un approccio ampio al problema della sicurezza e la molteplicità degli attori coinvolti ha prodotto muta menti anche sul versante degli interventi per la sicurezza.

Barbagli e Gatti64 evidenziano che gli interventi di prevenzione hanno

adottato il paradigma epidemiologico del "fattore di rischio", pur applicandolo a destinatari diversi (potenziali autori o vittime) a seconda della prospettiva criminologica di riferimento. Ciò ha facilitato anche l'adozione del metodo scientifico empirico nella programmazione e valutazione degli interventi.

La ricorrenza di questi elementi nelle iniziative sulla sicurezza ha portato diversi autori a parlare di un modello di "nuova prevenzione"65, ma l'eterogeneità

delle politiche e delle attività messe in campo mostrano, in particolare in Italia, che ci troviamo in una fase di sperimentazione e di diffusione di buone pratiche piuttosto che di consolidamento di un nuovo paradigma di interpretazione e azione in tema di sicurezza.

È altresì ancora evidente la difficoltà di superare la contrapposizione tra interventi sociali spesso astratti e difficili da valutare e misure pratiche di controllo e piuttosto che il loro effettivo superamento.

Nel caso italiano, le politiche locali per la sicurezza si sono inizialmente ispirate all'approccio orientato allo sviluppo della comunità.

64 Barbagli M., Gatti U., Prevenire la criminalità, Il Mulino, Bologna, 2005

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Gli enti locali dell'Emilia Romagna, che per primi si sono mossi in questa direzione con il “Progetto Città Sicure”66 organizzato dal FISU67, ma anche altre

esperienze successive, hanno messo in atto programmi improntati alla partecipazione dei cittadini nelle policy locali attraverso iniziative di analisi della domanda e consultazione dei destinatari degli interventi.

Già alla fine degli anni Novanta, il panorama degli interventi per la sicurezza appariva piuttosto variegato con una prevalenza di azioni di tipo situazionale, come l'emanazione di ordinanze amministrative volte alla dissuasione o alla repressione di specifici comportamenti, o come il rafforzamento delle misure di sorveglianza e gli interventi architettonici in funzione dissuasiva.

Le pratiche di prevenzione messe in atto nei comuni italiani quindi, sembrano concentrarsi sulla modificazione dei contesti e degli effetti degli atti criminosi e delle inciviltà, anche a fronte di opinioni consolidate tra i sindaci più orientate verso la prevenzione sociale68.

Accentuatasi negli ultimi anni, tale contaminazione di idee e soprattutto di pratiche mostra come le contrapposizioni ideologiche presenti nel discorso sulle politiche di sicurezza a livello nazionale, tendano a stemperarsi a livello locale.

Di fronte all'esigenza di rispondere alla domanda di sicurezza dei cittadini, i sindaci e gli amministratori locali sono portati a individuare soluzioni concrete spesso in discontinuità con il background ideologico di riferimento, ma anche con le proprie idee astratte in merito a quelle che si ritengono le cause della criminalità e le misure migliori per fronteggiarle.

66 http://100cittasicure.wordpress.com/about/

67 Il FISU, Forum Italiano per la Sicurezza Urbana, è un’associazione attiva dal 1996, composta da oltre cento tra Città, Provincie e Regioni italiane. L’obiettivo del Forum è quello di promuovere nuove politiche di sicurezza urbana. Il Forum Italiano, sezione nazionale del Forum Europeo al quale sono associate oltre trecento Città e Amministrazioni territoriali, riconosce il ruolo delle città nello sviluppo di queste nuove politiche ed opera, fin dalla sua costituzione, per costruire un punto di vista unitario delle Città, delle Regioni e delle Provincie sulle politiche di sicurezza urbana, dal sito:

http://www.fisu.it/

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Un’altra importante novità che ha caratterizzato le politiche di sicurezza in Italia è rappresentata da una prima attuazione del progetto di polizia di prossimità, sia da parte delle polizie nazionali, in particolare Carabinieri e Polizia di Stato, sia da parte della Polizia Municipale, che in alcuni casi ha allargato il proprio spazio di competenza fino ad includere il "buon vivere" dei quartieri.

Mentre dal punto di vista concettuale la polizia di prossimità trae le mosse dalla polizia di comunità americana e dall'esperienza dell'ilotage francese69, nella

gran parte dei casi il ruolo dei carabinieri e dei poliziotti di quartiere italiani appare limitato al controllo del territorio.

In questa fase di transizione verso un nuovo modello di relazione con i cittadini, la situazione italiana è caratterizzata da una certa disomogeneità a livello territoriale e dall'emergere di esperienze locali portatrici di idee e pratiche innovative.

Se e quanto il lavoro della polizia di prossimità in Italia metterà in moto un processo di cambiamento e rafforzamento del senso civico e di riduzione delle illegalità diffuse anziché il semplice rafforzamento della repressione, dipenderà dalla capacità degli attori locali di canalizzare questi bisogni facilitando un processo di responsabilizzazione dei cittadini e delle istituzioni sociali e politiche piuttosto che di delega ai corpi di polizia nazionali e alle istituzioni giudiziarie e penali della soluzione di tutti i problemi di sicurezza e convivenza delle nostre città.

Nell’ordinamento sono già presenti diversi strumenti per la sicurezza urbana; in primo luogo i “patti per la sicurezza” che prevedono, per la realizzazione di programmi straordinari di incremento dei servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini, la stipula di convenzioni tra il Ministro dell’Interno e, per sua delega, i prefetti, e le regioni e gli enti locali.

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In secondo luogo vanno menzionate le convenzioni tra il Ministero dell’interno ed i comuni finalizzate a finanziare iniziative urgenti occorrenti per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell’ordine pubblico.

Tra le iniziative attivabili vi rientrano, nell’ambito dei patti per la sicurezza, progetti di investimento in tecnologie di video sorveglianza, interventi per la realizzazione di misure di interoperatività tra sale operative delle forze di polizia e della polizia locale, progetti di potenziamento delle dotazioni tecnico – logistiche ed interventi strutturali sugli immobili adibiti a presidi delle forze di polizia, nonché progetti diretti all’accoglienza dei minori non accompagnati, o altri interventi comunque finalizzati a fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina.

Inoltre, possono essere finanziati progetti relativi ad interventi da attuare nel campo della protezione sociale con l’obiettivo di contribuire a migliorare la qualità di vita nel territorio, con particolare riferimento al risanamento delle aree degradate, al miglioramento della viabilità, all’assistenza alle categorie di persone disagiate.

In terzo luogo vanno richiamati i sistemi di videosorveglianza che i comuni, in base alla legge n. 38 del 2009, possono utilizzare in luoghi pubblici o aperti al pubblico per la tutela della sicurezza urbana.

Infine, è stato già ricordato nel corso della riflessione che in virtù dell’art. 54 del Tuel, come novellato dalla legge n. 125 del 2008, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana il sindaco, quale ufficiale del Governo, può adottare con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nonché può modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, e, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio.

La pluralità di strumenti deputati ad assicurare la sicurezza urbana fa emergere la necessità di pensare ad un “governo della sicurezza urbana”.

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CAPITOLO 3 - POLITICHE DI SICUREZZA E SICUREZZA