Accordi di programma ed effetti urbanistici
6. Le garanzie dei privati
I primi commenti al comma 8 dell’art.17 della legge Bassanini/2 sono in senso ampiamente positivo, si è scritto infatti che: “Per certi aspetti, l’art.5 bis capovolge la tradizionale impostazione, passando da un impianto di stampo prettamente autoritativo ad un nuovo rapporto basato su contenuti collaborativi…; muta così anche lo stesso concetto di espropriazione” (27).
(26) In tal senso, fra i tanti, R. GALLI, op. cit. supra a nt. (10), Cap. I; e F. PUGLIESE, op. cit. supra a nt. (24).
(27) G. PERULLI, op. cit. supra a nt. (17), Cap. III.
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Francamente non ci sentiamo di condividere questo tono ottimistico: se è vero che con l’accordo di programma l’espropriazione s’innesta in un ambito più marcatamente concertativo e meno autoritativo, non è detto che in quest’ambito venga garantito il giusto spazio al privato;
vediamo perché.
La dichiarazione di pubblica utilità implicita, prevista in via generale per la realizzazione di opere pubbliche già dalla legge n.1 del 1978, comporta il superamento del subprocedimento previsto dagli articoli 3 e ss. della legge n.2359 del 1865 (la cosiddetta “legge fondamentale”), e dagli articoli 10 e 11 della legge n.865 del 1971 (la cosiddetta “legge sulla casa”). Questo subprocedimento si articola in più fasi (deposito della documentazione, pubblicità del deposito, presentazione delle osservazioni dagli interessati, trasmissione di tutti gli atti al Presidente della Giunta regionale, emanazione del decreto dichiarativo della pubblica utilità nonché della indifferibilità ed urgenza delle opere), ed è diretto a garantire un regolare contraddittorio tra amministrazione espropriante e privato espropriando, prima di addivenire alla dichiarazione. Il privato infatti ha un forte interesse ad impedire che si giunga alla dichiarazione di pubblica utilità, perché questa vincola il suo bene alla destinazione pubblica, e quindi ne deprezza il valore di mercato.
Con il superamento di questo subprocedimento viene dunque meno una garanzia molto importante per i privati, tanto più che per l’amministrazione è possibile prorogare i termini entro i quali devono essere iniziati ed ultimati i lavori e le varie fasi dell’espropriazione.
L’amministrazione infatti può, per cause di forza maggiore o per ragioni indipendenti dalla sua volontà che abbiano determinato una situazione di difficoltà oggettiva (art.13, comma 2, della legge fondamentale), prorogare anche più volte i suddetti termini (28). Il tutto va naturalmente a discapito degli interessi degli espropriandi, i quali devono subire un prolungamento dei vincoli sui loro beni.
(28) In tal senso Cons. di St., Sez. IV, 11 dicembre 1984, n. 913, in Rivista giuridica dell’edilizia, 1985.
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Poiché le leggi n.1/1978 e n.142/1990 stabiliscono un termine di inizio dei lavori di tre anni, è da ritenersi che ogni singola proroga, da disporsi sempre prima della scadenza, non possa estendere questo termine a più di un anno; l’art.14 della legge fondamentale prevede infatti che i termini legali per l’esecuzione di un’opera non possono essere prorogati per più di un terzo del periodo concesso.
Un discorso analogo a quello testé svolto per la dichiarazione di pubblica utilità, vale anche per la dichiarazione di indifferibilità ed urgenza. Poiché la dichiarazione di indifferibilità ed urgenza delle opere pubbliche approvate è implicita e si accompagna necessariamente alla dichiarazione di pubblica utilità, il procedimento di occupazione preliminare, di cui la prima costituisce il presupposto, perde la sua autonomia e facoltatività, e diviene fase necessaria del procedimento espropriativo, con tutto ciò che di negativo può derivarne all’espropriando (si pensi per esempio alla possibilità di perdere la proprietà per
“accessione invertita”). Inoltre, viene meno il subprocedimento per giungere alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza, coincidente con quello previsto per la dichiarazione di pubblica utilità, e con esso vengono meno le garanzie concesse ai privati nelle varie fasi che lo compongono.
L’erosione di queste garanzie ha costituito oggetto di una nota sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la n.6 del 1986, la quale ha stabilito che il subprocedimento per la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, costituisce condizione di legittimità del decreto di espropriazione, e che se tale dichiarazione è implicita esso deve svolgersi successivamente all’approvazione dell’opera pubblica. In ogni caso, continua il supremo organo di giustizia amministrativa, le garanzie dei privati in ordine alla partecipazione al procedimento e al contraddittorio con l’amministrazione pubblica vanno oggi anticipate al momento della pianificazione urbanistica. E’ in sede di pianificazione infatti che si svolgono la maggior parte delle scelte discrezionali dell’amministrazione, pertanto questa sede rappresenta il luogo dove il
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cittadino “può e deve cercare penetranti garanzie e reali spazi di partecipazione” (29).
In ordine alla prima affermazione del Consiglio di Stato, è da sottolineare come lo spostamento delle garanzie dei privati ad un momento successivo alla approvazione delle opere pubbliche riduca le stesse garanzie ad una mera formalità, “…è infatti di tutta evidenza che, una volta approvato il progetto esecutivo dell’opera, l’apporto collaborativo incontra una limitatissima disponibilità recettiva; e del resto la valutazione in contraddittorio, a decisione già adottata, è ontologicamente inammissibile” (30).
Circa la seconda affermazione dell’Adunanza Plenaria sulla necessaria ricerca di garanzie per i cittadini nella fase di pianificazione urbanistica, ci preme avanzare due rilievi. Il primo concerne la constatazione della scarsità di reali garanzie partecipative offerte ai privati in questa fase. Si pensi, per esempio, al contraddittorio che si svolge in sede di adozione del piano regolatore generale fra comune e privati, e al relativo strumento posto in mano a questi ultimi: le osservazioni. Esse costituiscono, secondo una parte della giurisprudenza amministrativa (31), dei meri apporti collaborativi che l’amministrazione ha facoltà di prendere in considerazione e che può respingere senza una specifica motivazione, semplicemente affermando la loro contrarietà al pubblico interesse generale perseguito attraverso il piano.
Il secondo rilievo consiste invece nella considerazione che le flebili garanzie concesse ai privati in sede di pianificazione urbanistica potrebbero, in pratica, venire annullate attraverso l’approvazione di progetti di opere pubbliche in variante automatica agli strumenti urbanistici.
(29) Così Cons. di St., Ad. Plen. , 19 giugno 1986, n. 6, in Foro Italiano, 1986.
(30) G. MORBIDELLI, op. cit. supra a nt. (19).
(31) In tal senso Cons. di St. , Sez. IV, 3 febbraio 1981, n. 129, in Foro amministrativo, 1981.
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A seguito di questi rilievi, sorge una serie di pressanti interrogativi.
Non costituisce forse una delle possibili e peculiari caratteristiche dell’accordo di programma, quella di poter approvare delle opere pubbliche in variante automatica ai piani regolatori generali dei comuni? E per le stesse opere non è forse implicita la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, qualora vengano approvate con l’accordo? Ma allora non c’è il rischio che vengano sottratte ai privati le garanzie partecipative, contenute nei subprocedimenti per la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e in sede di pianificazione urbanistica, nel caso che si approvino con l’accordo di programma opere di tal fatta?
Il problema è molto serio, perché potrebbe realmente accadere un giorno ad un qualsiasi privato proprietario, di vedersi notificare un avviso di immissione nel possesso dei beni da parte dell’amministrazione pubblica, finalizzato alla realizzazione di un’opera approvata con un accordo di programma in variante al piano regolatore generale, senza mai essere stato informato o interpellato preventivamente.
Una risposta al problema è opportunamente da configurare e si deve muovere, a nostro giudizio, su due vie parallele. La prima via da percorrere è quella di assicurare un’adeguata pubblicità al procedimento di formazione dell’accordo di programma, conformemente alla normativa urbanistica in tema di pianificazione (pubblicazione dei piani e delle varianti adottate dai comuni), e alla legge sul procedimento amministrativo n.241 del 1990, il cui art.7 prevede la comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti, o che da esso possano derivarne un pregiudizio.
Interessanti soluzioni pratiche sono offerte a tal proposito dalla normativa degli enti locali: si va dalla più semplice ed indispensabile garanzia offerta dal deposito del progetto di accordo di programma, completo dell’intera documentazione, presso le segreterie comunali (con
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relativa pubblicità del deposito) (32), alla più pregnante garanzia offerta dalla nomina, da parte del soggetto promotore dell’accordo, di un garante dell’informazione, investito del compito di assicurare ai cittadini fin dall’avvio del procedimento la conoscenza delle scelte dell’amministrazione (33).
La seconda via da seguire è quella di permettere ai privati interessati di partecipare al procedimento di formazione dell’accordo di programma; in quali forme poi si debba concretizzare questa partecipazione può costituire oggetto di ragionamento e discussione.
Due ci paiono a tale proposito le soluzioni attualmente ipotizzabili e proponibili. La prima consiste nel considerare il privato quale vera e propria “parte” dell’accordo, cioè soggetto dal cui consenso non si può prescindere per la stipula dell’accordo stesso. Abbiamo già visto (supra al par. 2.2, Cap. III) come sul punto vi siano contrastanti idee sia in dottrina sia in giurisprudenza, e quanto numerose e altrettanto valide motivazioni possono avanzare sia coloro che sono favorevoli ai privati, sia coloro che sono contrari.
Non è possibile però negare che la legislazione statale e regionale più recente si sia indirizzata verso l’estensione ai privati dell’istituto (34).
(32) Si veda ad esempio l’art. 32 dello Statuto di Napoli; e l’art. 14 della legge reg.
Emilia-Romagna n. 6 del 1995 (riportati rispettivamente in S. STAIANO, op. cit.
supra a nt. (32), Cap. III; e in F. GUALANDI, op. cit. supra a nt. (15), Cap. III.
(33) In tal senso dispone, ad esempio, l’art. 36 della legge reg. Toscana n. 5 del 1995 ( riportato in F. GUALANDI, op. cit. supra a nt. (15), Cap. III.
(34) In questo senso dispone in materia urbanistica, ad esempio, la legge statale n. 179 del 1992 (art.3), la quale permette ai privati di prendere parte agli accordi di programma stipulati per l’attuazione dei programmi di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata. Di fondamentale importanza è inoltre la legge n. 662 del 1996 che, nell’ambito dalla “Programmazione negoziata”, ammette i privati a partecipare oltre che al “Patto territoriale”, al “Contratto di programma” e al “Contratto d’area”, anche all’ “Accordo di programma quadro”.
Nell’ambito delle leggi regionali citiamo la legge reg. Veneto n.40 del 1990, che all’art. 13 dà facoltà al Presidente della Giunta di promuovere un accordo di
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La seconda soluzione consiste nel garantire il contraddittorio tra amministrazione pubblica e privati, attraverso le osservazioni che questi ultimi possono presentare successivamente al deposito dell’accordo di programma. Il procedimento sarebbe analogo a quello che avviene in sede pianificatoria per il piano regolatore generale, ma delle osservazioni l’amministrazione avrebbe qui l’obbligo di tenere conto, e non semplice facoltà (35).
La scelta di una soluzione a nostro avviso non esclude l’altra. Con ciò intendiamo dire che ci pare opportuno, conformemente alla prima soluzione, permettere ai privati di prendere parte ad un accordo di programma finalizzato, per esempio, all’approvazione di un programma di recupero urbano o di riqualificazione urbana, per il ruolo propulsivo e realizzativo di primo piano da questi svolto all’interno di quelle peculiari figure programmatorie.
Sarebbe d’altra parte certamente eccessivo richiedere in generale, per l’accordo di programma, il “consenso unanime” (art.27 della legge n.142) dei privati interessati, perché si arriverebbe in molti casi ad impedire l’utilizzo dello strumento e a paralizzare l’attività amministrativa. Infatti quale privato si lascerebbe, ad esempio, mai spogliare dall’amministrazione procedente della proprietà dei suoi beni?
In linea teorica generale, la seconda soluzione ci sembra dunque più adeguata della prima, perché attua un compromesso tra garanzie dei privati ed esercizio dell’attività amministrativa per fini generali. Essa ci sembra tuttavia incompleta, nel senso che, oltre all’obbligo per l’amministrazione di prendere in considerazione le osservazioni dei privati
programma per attuare i piani e i programmi che richiedono la partecipazione anche dei privati. Al di fuori della materia urbanistica si consideri il D.M. n.454 del 1995, che consente ai privati di partecipare all’accordo di programma concernente la definizione di iniziative di ricerca scientifica e tecnologica.
(35) In tale senso dispone ad esempio l’art.14 della legge reg. Emilia – Romagna n. 6 del 1995 e l’art. 36 della legge reg. Toscana n. 5 del 1995 (riportati in F.
GUALANDI, op. cit. supra a nt. (15), Cap. III.
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(conformemente tra l’altro a quanto richiede l’art.10 della legge n.241 del 1990), ad essa dovrebbe essere coattivamente imposto di motivare puntualmente la reiezione di un’osservazione, perlomeno nel caso in cui a presentarla sia un soggetto espropriando, necessitando egli di una tutela più incisiva rispetto a quella accordata agli altri cittadini.
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