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Indice. La concertazione. L accordo di programma: aspetti generali ed urbanistici. Gli accordi di programma ex art.27 della legge n.

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I

Indice

La concertazione

1. Concertazione ed azione amministrativa 2. Gli strumenti della concertazione

L’accordo di programma:

aspetti generali ed urbanistici

1. Definizione e finalità 2. Origini e sviluppi

3. Caratteri distintivi degli accordi di programma 4. Accordi di programma e accordi fra pubbliche

amministrazioni

5. Accordi di programma e materia urbanistica

Gli accordi di programma ex art.27 della legge n.142 del 1990

1. Oggetto

2. I soggetti dell’accordo di programma

2.1 I soggetti promotori 2.2 I soggetti partecipanti

3. La procedura di formazione dell’accordo

3.1 La fase preparatoria 3.2 La fase costitutiva 3.3 La fase approvativa 3.4 La fase di pubblicazione

(2)

II

4. L’efficacia dell’accordo di programma

4.1 L’efficacia dell’accordo e i procedimenti di arbitrato 4.2 Il collegio e i poteri di vigilanza

4.3 I poteri surrogatori

5. La tutela giurisdizionale in materia di accordi di programma

5.1 La tutela delle parti 5.2 La tutela dei terzi

6. La natura giuridica dell’accordo di programma

Accordi di programma ed effetti urbanistici

1. Accordi di programma ed intesa ex art.81 del D.P.R.

n.616 del 1977

2. Accordi di programma e D.P.R. n.383 del 1994 3. Il decreto approvativo del presidente della regione 4. La ratifica del comune

5. La dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza

6. Le garanzie dei privati

Gli accordi di programma nelle leggi settoriali

1. Gli accordi di programma nelle leggi anteriori alla n.142 del 1990

1.1 L’accordo di programma nella legge n.210 del 1985 1.2 L’accordo di programma nella legge n.64 del 1986 1.3 L’accordo di programma nel D.L. n.19 del 1988 1.4 L’accordo di programma nella legge n.305 del 1989

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III

2. Gli accordi di programma nelle leggi posteriori alla n.142 del 1990

2.1 Introduzione

2.2 L’accordo di programma nella legge n.396 del 1990 2.3 L’accordo di programma nel D.L. n.398 del 1993 2.4 L’accordo di programma nel D.M. 21 dicembre 1994 2.5 L’accordo di programma nella legge n.662 del 1996

3. Successi ed insuccessi degli accordi di programma nella pratica e prospettive future

Appendice

Bibliografia

NOTA REDAZIONALE

Questa tesi si compone di 136 pagine

(4)

1

La concertazione

Sommario: 1. Concertazione ed azione amministrativa 2. Gli strumenti della concertazione

1. Concertazione ed azione amministrativa

Nella seconda metà degli anni ottanta, e con maggiore convinzione ed incisività negli anni novanta, è stata emanata una serie di provvedimenti legislativi volti a scalfire uno dei principi cardine del diritto amministrativo: l’autoritarietà degli atti amministrativi, con i suoi corollari dell’unilateralità e della indisponibilità del potere relativo.

Il concorrente principio che tende a farsi strada è quello della concertazione, da intendersi come ricerca dell’in idem consensus in ordine all’azione amministrativa, da parte delle pubbliche amministrazioni da un lato, e da parte delle pubbliche amministrazioni insieme ai privati dall’altro lato. I moduli autoritativi lasciano sempre più spazio ai moduli consensuali anche grazie ad una nuova discrezionalità, facente capo alle pubbliche amministrazioni, ugualmente connessa ad interessi e criteri precostituiti, ma sempre più libera di apprestare programmi e soluzioni diretti a concretizzare le finalità pubbliche che a quelle amministrazioni sono attribuite.

La dottrina più recente ha attentamente studiato le ragioni del successo della concertazione e ne ha individuato due gruppi, uno più strettamente giuridico-economico l’altro più politico-sociale. Al primo gruppo appartengono le fondamentali esigenze d’accelerazione e

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snellimento dei procedimenti, finalizzate a soddisfare la domanda di maggiore efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (1).

Al secondo gruppo appartengono la crisi del “circuito partitico- elettorale" (2) e del suo metodo d’azione autoritativo, il correlato sviluppo del “circuito rappresentativo” (formato da gruppi d’interesse, associazioni e movimenti) con cui il primo si vede costretto ad interagire ricercandone il consenso.

2. Gli strumenti della concertazione

Molto probabilmente la svolta decisiva sulla via del consensualismo si è avuta con l’emanazione delle leggi 8 giugno 1990 n.142, e 7 agosto 1990 n.241, le quali hanno introdotto nel nostro ordinamento nuovi strumenti convenzionali e ne hanno generalizzati altri che erano stati previsti solamente da alcune leggi settoriali.

L’art.15 della legge n.241/1990 prevede i cosiddetti “accordi organizzativi” (3) ovvero gli accordi che “le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro…..per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”.

(1) A tal proposito si veda A. PREDIERI, Gli accordi di programma, in Quaderni Regionali, 1991.

(2) Sull’argomento R. FERRARA, Intese, convenzioni ed accordi amministrativi, in Digesto discipline pubblicistiche, VIII, 1993; E. STICCHI DAMIANI, Attività amministrativa consensuale ed accordi di programma, Milano, 1992.

(3) Termine proposto nel testo della Commissione Nigro, incaricata della stesura della legge n.241.

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3

Secondo alcuni autori (4) questa norma, insieme all’art.11 della legge n.241/1990, introduce nel nostro sistema giuridico la figura del “contratto di diritto pubblico”; vi è comunque una certa convergenza in dottrina nel considerarla norma di principio più che di diretta applicabilità, norma che introduce il genus degli “accordi fra pubbliche amministrazioni”, entro cui si possono ordinare le varie species previste dalle leggi settoriali.

L’art.11 della stessa legge prevede i cosiddetti “accordi procedimentali” (5) tra amministrazioni e privati. Più precisamente vengono contemplati gli “accordi integrativi”, ovvero quelli che

“l’amministrazione procedente può concludere …. con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale”, e gli “accordi sostitutivi”, ovvero quelli che “l’amministrazione procedente può concludere……con gli interessati….., nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo”.

L’art.14 della legge n.241 (così come modificato dalle leggi n.537/1993 e n.127/1997) prevede infine l’istituto della “conferenza di servizi”. La conferenza può essere indetta da un’amministrazione in più casi: per effettuare un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti connessi riguardanti stesse attività e risultati; per acquisire a vantaggio della propria attività, o anche dell’attività dei privati, intese, concerti, nullaosta, assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche. Le decisioni prese dalla conferenza sostituiscono a tutti gli effetti i detti assensi o intese.

Sotto il profilo della materia urbanistica risulta interessante notare che il ricorso alla conferenza, secondo l’art.14 bis legge n.241, non è più facoltativo ma obbligatorio qualora essa abbia ad oggetto la programmazione e la realizzazione di opere pubbliche o programmi di intervento di importo iniziale molto elevato (superiore a 30 miliardi di

(4) Fra questi ricordiamo G. MANFREDI, Modelli contrattuali nell’azione amministrativa: gli accordi di programma, in Le Regioni, 1992.

(5) L’espressione è di E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt. (2).

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4

lire), oppure quando si tratti di opere di interesse statale o che interessino più regioni.

Gli strumenti concertativi previsti dalla legge n.142/1990 sono contenuti nel capo VII, rubricato: “Forme associative e di cooperazione.

Accordi di programma” (6).

L’art.24 della legge n.142 contempla “convenzioni” che comuni e province possono stipulare fra loro, aventi ad oggetto l’esercizio coordinato di funzioni e servizi determinati. Trattasi indubbiamente di una delle più tipiche species del genus “accordi fra pubbliche amministrazioni” previsto dal già citato art.15 (7).

Nell’art.25 vengono disciplinati i “consorzi”, cui i suddetti enti territoriali hanno facoltà di dar vita, per gestire in maniera associata uno o più servizi.

L’art.26 prevede poi che due o più comuni contermini della stessa provincia, ciascuno con popolazione non superiore a 5000 abitanti, possono, in vista di una loro fusione, costituire una “unione” per esercitare insieme una pluralità di funzioni o servizi.

Da ultimo l’art.27 disciplina l’istituto che sarà oggetto di questo studio: gli “accordi di programma”.

Deve farsi menzione che, fra le “ Misure in materia di servizi di pubblica utilità e per il sostegno dell’occupazione e dello sviluppo”, contenute nella legge 23 agosto 1996 n.662, è stata introdotta una nuova disciplina della “Programmazione negoziata” (risultando abrogata quella contenuta nella legge n.104/1995). Nel nostro ordinamento hanno fatto ingresso così nuovi istituti negoziali, altamente flessibili (8), idonei a

(6) Per una disamina dettagliata di questi strumenti si consultino: A. TRAVI, Le forme di cooperazione interlocale, in Rivista di dir. amministrativo, 4/1996; F.

STADERINI, Diritto degli enti locali, Padova, 1997.

(7) In senso conforme SCIULLO, Sintonie e dissonanze fra le leggi 142/’90 e 241/’90, in Foro amm., 1990.

(8) Sulla flessibilità insiste la delibera del CIPE 21-3-1997, Disciplina nella programmazione negoziata.

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programmare e realizzare tutti gli interventi che, da un lato vedono la partecipazione di una pluralità di soggetti pubblici e privati, dall’altro necessitano di decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico dello Stato, delle regioni, delle provincie e degli altri enti locali. L’art.2, comma 203, prevede a tal proposito i seguenti accordi: l’ “intesa istituzionale di programma”, l’ “accordo di programma quadro”, il “patto territoriale”, il

“contratto di programma” e il “contratto d’area” (9).

(9) R. GALLIA, La nuova disciplina della “Programmazione negoziata”, in Rivista giur. del Mezz., 1/1997.

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7

Gli accordi di programma:

aspetti generali ed urbanistici

Sommario: 1. Definizione e finalità 2. Origini e sviluppi

3. Caratteri distintivi degli accordi di programma

4. Accordi di programma e accordi fra pubbliche amministrazioni 5. Accordi di programma e materia urbanistica

1. Definizione e finalità

Cerchiamo ora di offrire un quadro generale, e in particolare una definizione, dell’istituto degli accordi di programma. Trattasi di accordi posti in essere da pubbliche amministrazioni nell’esercizio delle loro potestà amministrative (e quindi nell’ambito delle loro competenze) con funzioni di coordinamento e di programmazione.

Coordinamento significa “…unificazione di condotte, coinvolgimento di più figure soggettive finalizzato ad un’armonizzazione dell’azione amministrativa” (1). Che tale funzione sia caratterizzante degli accordi di programma è confermato dal Consiglio di Stato, il quale nel parere n.7 del 1987 afferma espressamente che “Attraverso tali accordi (nella prassi denominati accordi di programma) ciascuna amministrazione autolimita la propria discrezionalità in vista di ottenere che la sua competenza si sviluppi in armonia con quelle parallele”.

(1) Così E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt. (2), Cap. I.

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A tal proposito potremmo parlare ancora meglio di

“autocoordinamento” (2), nel senso che le amministrazioni si coordinano tra loro non secondo rapporti di gerarchia ma, almeno formalmente, di pariordinazione. Questa esigenza di armonizzazione nasce dalla presenza nel nostro ordinamento di un gran numero di centri decisionali, assai di frequente ugualmente competenti e responsabili, sia finanziariamente che politicamente, in ordine allo stesso oggetto. Ciò è tanto più vero nella materia urbanistica, perché la realizzazione delle opere pubbliche richiede notevoli sinergie da parte di soggetti che hanno competenze territoriali concorrenti.

La seconda funzione caratterizzante gli accordi di programma è la programmazione, da non intendersi come semplice “programmaticità” (3), cioè produzione di vincoli giuridici alla successiva azione amministrativa (caratteristica questa di tutti gli accordi amministrativi), ma come “ vera”

programmazione, ossia costituzione di effetti giuridici.

Risulta di fondamentale importanza notare che l’accordo di programma può essere diretto sia alla formazione di un atto di programmazione, cioè ad individuare degli obiettivi, sia all’attuazione di una programmazione già decisa, vale a dire a determinare le modalità procedimentali per il raggiungimento di quegli obiettivi. Sotto il primo profilo possiamo citare come esempio, in materia urbanistica, l’art.11 della legge n.398/1993: esso regola la stipula di un accordo di programma ai fini dell’approvazione dei programmi di recupero urbano; sotto il secondo profilo ricordiamo, tra le molte ipotesi, l’art.4 della legge n.305/1989, ove è prevista la possibilità di concludere l’accordo di programma per l’attuazione del “Programma triennale per la tutela dell’ambiente”.

(2) L’espressione è proposta da G. FALCON, Il coordinamento regionale degli enti locali. Gli. strumenti consensuali, in Regione e governo locale, 1990.

(3) Sul profilo della differenza tra programmazione ed atti programmatici si veda M. S.

GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1985.

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Recentemente la dottrina ha evidenziato come la concertazione diretta all’attuazione programmatica sia entrata nella cultura amministrativistica proprio in relazione alla pianificazione urbanistica e, in particolar modo, parallelamente alla diffusione di una nuova teoria:

“l’urbanistica degli interventi”. Questa, in contrapposizione all’

“urbanistica dei piani” e al modello di pianificazione detto “a cascata” (4), identifica il momento principale dell’azione urbanistica nella fase dell’attuazione delle opere più che in quella di approvazione dei piani.

L’attuazione, da non confondersi con la realizzazione, “...non è una procedura burocratica, bensì una procedura politico-amministrativa complessa per la costruzione di accordi partecipati decisionalmente e finanziariamente dagli operatori” (5).

Se la legge n.1150/’42 ci presenta la disciplina del territorio come il formale risultato di un sistema pianificatorio di tipo piramidale, ove al vertice stanno i piani territoriali di coordinamento (secondo il modello regionale gli atti di indirizzo e coordinamento) mentre alla base si trovano i piani particolareggiati, un sistema governato dai principi della atemporalità dei piani e del vincolo gerarchico fra gli stessi, la legislazione speciale mostra invece come effettivamente l’assetto del territorio sia: “…la risultante di una serie di spinte e controspinte orizzontali di una pluralità di centri di potere pubblici, semipubblici e privati” (6). Fondamentale risulta allora il coordinamento fra questi centri di potere, coordinamento che, per i sostenitori dell’urbanistica degli interventi, deve avvenire attraverso strumenti quali gli accordi di programma, caratterizzati dalla consensualità e dall’attuatività.

(4) Sulla pianificazione urbanistica si veda MAZZAROLLI, I piani regolatori urbanistici nella teoria giuridica della pianificazione, Padova, 1966; CERULLI IRELLI Urbanistica in Dizionario amministrativo, Milano, 1983; MORBIDELLI, (voce) Piano territoriale, in Enc. Dir., 1983.

(5) Osserva G. RADAELLI, Verso progettazioni complessive, Milano, 1985.

(6) F. SALVIA e F. TERESI, Diritto urbanistico, Padova, 1998.

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2. Origini e sviluppi

I precedenti degli accordi di programma vanno ricercati, al di fuori del nostro ordinamento, nei “contratti di piano” (7) previsti dalla legge francese 29 luglio 1982, n.653, e nei “contratti di programma” (8) previsti dal legislatore comunitario con i regolamenti n.1787 del 1984 e n.2088 del 1985. Questi istituti sono nominalmente e strutturalmente dissimili dai nostri accordi, ma sostanzialmente loro affini per quanto riguarda il loro porsi quali strumenti diretti a garantire coordinamento ed efficienza nella realizzazione di un’opera o di un obiettivo, quando sullo stesso insistano disarticolate competenze ripartite fra più amministrazioni. Anch’essi inoltre si pongono quali strumenti attuativi di una programmazione, più precisamente del “Piano nazionale francese” i primi, e rispettivamente dei

“Programmi di sviluppo regionale” e dei “Programmi integrati mediterranei” i secondi.

Nella legge italiana il precedente più illustre è dato dall’intesa Stato-regione di cui all’art.81, comma 3, del D.P.R. n.616/1977: trattasi di un accordo per la localizzazione di opere pubbliche di interesse statale in difformità alle prescrizioni dei piani urbanistici ed edilizi dei comuni, che può essere sostituito da un atto autoritativo del Consiglio dei Ministri qualora l’accordo non si realizzi entro novanta giorni (ex comma 4).

Gli accordi di programma, propriamente detti, sono stati introdotti nel nostro ordinamento con la legge n.210 del 1985 istitutiva dell’ente

“Ferrovie dello Stato”. La loro “vocazione urbanistica” si manifesta fin dall’inizio, infatti l’art.25 di questa legge li prevede al fine della costruzione e dell’ampliamento d’impianti ferroviari non conformi ai piani urbanistici delle regioni, delle province o degli altri enti locali; la loro

(7) Sull’istituto si veda FIORITTO, I contrats de plan, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 1989.

(8) In tal senso e sull’istituto si consulti G. CARTEI, Gli accordi di programma nel diritto comunitario e nazionale, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1991.

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stipulazione equivale all’approvazione delle varianti ai piani (cosiddette

“varianti automatiche”). Negli anni successivi gli accordi di programma vengono contemplati quali strumenti di settore da numerose altre leggi, fra cui ricordiamo per la loro valenza urbanistica: la legge 1° marzo 1986, n.64 “Disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno”, la legge 1° febbraio 1988, n.19 “Misure urgenti in materia di opere pubbliche e di personale degli enti locali in Sicilia”, la legge 28 agosto 1989, n.305 “Programma triennale per la tutela dell’ambiente”. Con la legge n.142/1990 gli accordi di programma diventano infine strumento di generale applicazione.

3. Caratteri distintivi degli accordi di programma

Gli accordi di programma si distinguono dagli altri strumenti di concertazione per una serie di caratteristiche peculiari.

Rispetto alle “convenzioni” previste dall’art.24 della legge n.142/’90, essi possono coinvolgere una più ampia categoria di soggetti pubblici, hanno un ambito funzionale più vasto e tendono a realizzare un coordinamento procedimentale.

Anche rispetto ai “consorzi” (art.25) l’ambito funzionale è più vasto, inoltre gli accordi non danno vita ad un’autonoma persona giuridica con proprie strutture e personalità, o non sono a ciò finalizzati come invece avviene per le “unioni di comuni” (art.26) (9).

(9) In generale sul tema hanno scritto: G ALBANESE, Il procedimento amministrativo e la riforma delle autonomie locali, Padova, 1993; F. CAIAFFA, Le nuove frontiere dell’attività amministrativa consensuale: gli accordi di programma, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1993; A. TRAVI, Le forme associative tra gli enti locali verso i modelli di diritto comune, in Le regioni, 1991.

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Il distinguo più interessante si pone però con la “conferenza di servizi”, di cui all’art.14 della legge n.241/’90, in considerazione della vicinanza alla materia urbanistica dei due istituti.

Infatti, sia gli accordi che la conferenza possono essere impiegati per l’approvazione o l’attuazione di opere pubbliche, programmi ed interventi, anche se il legislatore sembra guardare con preferenza alla conferenza quando le opere siano di interesse sovraregionale o abbiano un importo iniziale superiore ai trenta miliardi (ex art.14 bis). Mentre la conferenza agisce allo stesso modo di un organo collegiale provvisto di poteri di diretta variante urbanistica, l’accordo, essendo destinato a confluire in un atto finale di natura provvedimentale, solo qualora presenti la forma di decreto del presidente della regione sarà idoneo ad apportare variante automatica agli strumenti urbanistici, necessitando negli altri casi delle distinte delibere delle competenti autorità (10). Un’altra differenza fondamentale sta nel fatto che l’accordo è sempre frutto del consenso unanime delle amministrazioni interessate, mentre per la conferenza sono previste:

- diverse ipotesi di silenzio-assenso delle amministrazioni coinvolte;

- la possibilità che una decisione del Presidente del Consiglio tenga luogo dei pareri dissenzienti;

- una sorta di referendum tra i rappresentanti dei comuni, per approvare le delibere della conferenza aventi ad oggetto le opere pubbliche ex art.14 bis.

(10) Concordano: S. CIVITARESE e P. URBANI, Diritto urbanistico, 1994; N. ASSINI, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 1991; R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1994; PERICU, L’accordo di programma nella legge sulle autonomie locali, in Diritto amministrativo II (a cura di L. Mazzarolli), Bologna, 1998.

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4. Accordi di programma ed accordi fra pubbliche amministrazioni

Le leggi n.142 e n.241 del 1990 presentano uno dei più importanti elementi di sintonia nelle norme che disciplinano gli accordi di programma (art.27 della legge n.142) e gli accordi fra pubbliche amministrazioni (art.15 della legge n.241).

L’art.15, come già accennato all’inizio di questo lavoro, introduce un vero e proprio modello organizzativo, talché nel testo predisposto nella Commissione Nigro si parla di “accordi organizzativi”, mentre alcuni autori parlano di “accordi endoprovvedimentali” (11); esso individua un genus entro cui ricomprendere le varie species che le amministrazioni possono concretamente applicare. Una di queste species è rappresentata, a giudizio di chi scrive, dagli accordi di programma, stante la riconducibilità di quest’ultime fattispecie di accordi all’amplissima formula adoperata per gli accordi fra pubbliche amministrazioni dall’art.15: “…accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”. Con questa soluzione concorda anche il Consiglio di Stato nel fondamentale parere n.7 del 1987 (12).

D’altra parte la riconducibilità all’art.15 non esclude certamente elementi di specificità degli accordi di programma, ravvisabili in breve:

dal punto di vista della struttura, nella loro minore libertà per quanto riguarda l’oggetto e il procedimento di conclusione; dal punto di vista della funzione, nella loro ricerca di una vera programmazione (secondo quanto espletato nel primo paragrafo di questo capitolo); infine, dal punto di vista degli effetti, nella loro fungibilità soggettiva, attraverso gli

(11) Così R. FERRARA, Gli accordi di programma, Padova, 1993.

(12) Concordano anche: G. CORSO e F. TERESI, Procedimento amministrativo e accesso ai documenti, 1991; V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997.

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eventuali interventi sostitutivi previsti nei casi di inadempimento, e nella loro eventuale attitudine ad apportare effetti urbanistico-edilizi.

Si è fatta attenzione al tema della riconducibilità degli accordi di programma all’art.15 perché il comma 2 dello stesso articolo postula che per gli accordi organizzativi “…si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’art.11, commi 2, 3 e 5”.

Ciò implica che, se è corretta la soluzione qui proposta, argomentando ex art.11 comma 2, gli accordi di programma devono essere stipulati in forma scritta ad substantiam e che ad essi, salva diversa disposizione di legge, si applicano, secondo un giudizio di compatibilità, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti. La stipulazione per atto scritto risponde ad una esigenza di certezza dei rapporti giuridici che discendono dall’accordo, mentre le norme del c.c.

intervengono a colmare i vuoti normativi evidenziati dalla prassi.

Nell’eventualità che gli accordi di programma sostituiscano dei provvedimenti, essi divengono sottoponibili agli stessi controlli previsti per questi ultimi (ex art.11, comma 3).

L’art.15, comma 2, non ritiene invece applicabile agli accordi tra pubbliche amministrazioni il comma 4 dell’art.11. Ciò comporta l’inammissibilità della clausola rebus sic stantibus per questi accordi, cioè l’impossibilità di recesso unilaterale per sopravvenuti motivi d’interesse pubblico, perlomeno dal momento in cui l’accordo viene recepito nel provvedimento finale del soggetto promotore.

Infine, interpretando il comma 5, qualora sorgano controversie circa la formazione, la conclusione o l’esecuzione degli accordi di programma, sarà il giudice amministrativo ad avere competenza esclusiva sulla loro soluzione. Da notare che proprio di recente la Cassazione Civile, a sezioni unite, ha espressamente affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in rapporto ad una controversia circa l’attuazione di un

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accordo di programma, stipulato in base alla legge n.396 del 1990 su

“Roma capitale” (13).

5. Accordi di programma e materia urbanistica

Gli accordi di programma stanno riscuotendo una certa fortuna in materia urbanistica, ed il legislatore sembra quantomai fiducioso nelle potenzialità dello strumento.

Fra i principali motivi di questo successo vi è innanzitutto la crisi del sistema previsto dalla “legge urbanistica” del 1942. Il principio dell’obbligo di conformità per le opere pubbliche alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, già previsto dall’art.29 della legge n.1150/’42, avrebbe dovuto trovare contemperamento, secondo la stessa legge, in una serie di previsioni procedurali atte ad assicurare il coordinamento dei piani con le esigenze degli enti realizzatori di opere pubbliche. La loro mancata attuazione (in particolare l’assenza dei p.t.c. e, in seguito al trasferimento alle regioni delle principali potestà urbanistiche, degli atti di indirizzo e coordinamento riservati allo Stato) ha determinato una domanda di coordinamento preventivo cui gli accordi di programma sembrano poter dare risposta.

Per definizione poi, i piani urbanistici già redatti non possono tener conto dell’emersione postuma e continua di esigenze legate alla realizzazione di opere o interventi. Ove a ciò si aggiunga la sempre maggiore completezza e rigidità dei piani, cioè la carenza di quella flessibilità che permetterebbe l’inserimento di opere senza una loro variazione, ben si può comprendere (ma non giustificare) come il

(13) Cass. Civ., Sez. U., sent. n. 91 del 4 gennaio 1995, Soc. Galeria c. Soc. Lamaro Appalti.

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legislatore si sia cimentato nella continua emanazione di leggi ad hoc (14), volte a risolvere le contingenti situazioni di “emergenza” mediante procedure e strumenti di coordinamento e di semplificazione, fra i quali spiccano per frequenza ed importanza gli accordi di programma.

Ricordiamo infine fra le ragioni di successo dell’istituto, quanto scritto già all’inizio di questo lavoro circa la diffusione degli strumenti concertativi nel diritto amministrativo (vedi supra al par. 1, Cap. I).

(14) Fra queste leggi ad hoc ci preme ricordare: negli anni ottanta la n. 441/’87 sullo smaltimento dei rifiuti, la n. 373/’88 per le Colombiadi, la n. 556/’88 sui Mondiali di calcio, la n. 99/’88 sulle opere pubbliche in Sicilia; negli anni novanta la n.

380/’90 per il sistema idroviario padano-veneto, la n. 385/’90 sulle opere ferroviarie, la n. 396/90 per Roma capitale, la n. 152/’91 in tema di lotta alla criminalità, la n. 498/’92 in materia di finanza pubblica.

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L’accordo di programma ex art.27 della legge n.142/1990

Sommario: 1. Oggetto

2. I soggetti dell’accordo di programma 2.1 I soggetti promotori

2.2 I soggetti partecipanti

3. La procedura di formazione dell’accordo 3.1 La fase preparatoria

3.2 La fase costitutiva 3.3 La fase approvativa 3.4 La fase di pubblicazione

4. L’efficacia dell’accordo di programma 4.1 L’efficacia dell’accordo e i procedimenti di arbitrato 4.2 Il collegio e i poteri di vigilanza

4.3 I poteri surrogatori

5. La tutela giurisdizionale in materia di accordi di programma

5.1 La tutela delle parti 5.2 La tutela dei terzi

6. La natura giuridica dell’accordo di programma

1. Oggetto

L’analisi dello stretto rapporto che lega accordi di programma ed urbanistica non può che prendere avvio dalla norma generale dell’art.27 della legge n.142/1990. Con questa norma, come detto in precedenza, l’accordo di programma da strumento settoriale, previsto da singole leggi, diventa strumento generale “…per la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di provincie e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o

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comunque due o più tra i soggetti predetti” (art.27 comma 1). L’ampia formula usata dal legislatore dà spazio ad una notevole ed impegnativa attività di interpretazione.

Per quanto riguarda le due attività di “definizione” (rectius si dovrebbe parlare di “approvazione”) e di “attuazione”, queste sembrano poter riguardare gli oggetti dell’accordo sia in maniera alternativa sia in modo cumulativo. Ciò significa che l’accordo potrà riguardare solamente fasi prodromiche (come la localizzazione d’opere od interventi, la progettazione di massima e l’adozione di atti autorizzativi) oppure solamente fasi esecutive (cioè la concreta realizzazione delle opere già programmate) ovvero ancora, entrambe le categorie di fasi.

Per quanto riguarda i termini “opere”, “interventi” e “programmi di intervento”, risulta necessario considerarli separatamente. Per “opere” il legislatore intende sicuramente tutte le opere pubbliche la cui competenza primaria o prevalente faccia capo alla regione, alla provincia o al comune, mentre con “interventi” comprende tutte quelle attività non comportanti la realizzazione di un’opera ma, ad esempio, strumentali all’esistenza di essa.

Qualora l’accordo abbia ad oggetto “opere” od “interventi”, esso presenterà un carattere fondamentalmente deliberativo ed attuativo, mentre assumerà una valenza effettivamente programmatoria quando si tratti di definire un “programma di intervento”.

La mancanza di aggettivi quali “singoli” o “determinati” in riferimento ai testé detti sostantivi, autorizza a ritenere che l’accordo possa attenere, di volta in volta, a singole opere pubbliche, a singoli interventi, ad una pluralità d’opere e d’interventi, ad uno o, probabilmente, anche più programmi d’intervento.

Secondo alcuni autori (1), vista l’ampiezza dell’oggetto dell’accordo di programma, la scelta fra questo strumento e, qualora ne ricorrano i presupposti, fra gli altri previsti dalla legge n.142 (convenzioni, consorzi ed unioni) sarebbe rimessa discrezionalmente all’ente pubblico

(1) Fra questi si veda A. TRAVI, op. cit. supra a nt. (6), Cap. I.

(21)

procedente; altri (2), viceversa, ritengono che l’accordo di programma possa essere utilizzato solo quando non si creino i presupposti per ricorrere alle altre forme di cooperazione, in ragione delle precise e tipiche finalità dei singoli istituti.

Sostanzialmente unanime è la dottrina odierna (3) circa la possibilità di adottare programmi urbanistici e di avviare procedimenti espropriativi attraverso gli accordi di programma, previo comunque il rispetto degli ordinari vincoli procedimentali a contenuto garantistico previsti dalla legge. In tal senso depongono anche recenti provvedimenti legislativi, come la legge n.398/1993, al cui art.11 è prevista la possibilità di approvare programmi di recupero urbano attraverso la conclusione di un accordo di programma, e la legge n.127/1997 che, attraverso l’art.17 comma 8, ha aggiunto un nuovo comma 5 bis all’art.27 prevedendo la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere incluse nei programmi dell’amministrazione e già finanziate che vengono approvate con gli accordi di programma. Pratica conferma a questa posizione viene inoltre dal “documento preliminare” al piano regolatore generale di Napoli, le cui “scelte strategiche” possono essere recepite in accordi di programma per i quali, in conformità allo statuto del comune (che disciplina espressamente l’ipotesi dell’accordo in variante al p.r.g.), sono previste forme di pubblicità e di partecipazione dei privati (4).

Il maggiore problema interpretativo riguardante l’oggetto dell’accordo di programma, sorge in rapporto alla possibilità che lo stesso abbia o meno a contenuto opere ed interventi rientranti nella competenza

(2) P. M. VIPIANA, Commento alla legge sulle autonomie locali, Torino, 1993.

(3) Fra i molti citiamo: G. GRECO, Accordi di programma e procedimento amministrativo, in Il diritto dell’economia, Milano, 1990; S. CIVITARESE e P.

URBANI, op. cit. supra a nt. (10), Cap. II.

(4) L’esempio del “documento preliminare” al piano regolatore di Napoli è tratto da S.

CIVITARESE e P. URBANI, op. cit. supra a nt. (10), Cap. II.

(22)

esclusiva dello Stato. A favore dell’una o dell’altra soluzione depongono molteplici fattori.

Coloro che sono di contrario avviso (5) fanno leva innanzitutto sul titolo e sulla materia della legge in cui è inserito l’accordo di programma:

ordinamento delle autonomie locali e forme di cooperazione fra enti locali parrebbero non avere attinenza con le opere pubbliche statali. D’altro canto la stessa lettera dell’art.27 depone in questo senso: nei commi 1 ed 8 si parla infatti di opere, interventi e programmi di intervento di competenza delle regioni, delle provincie o dei comuni. Da ultimo si fa notare come per l’approvazione di opere statali o di interesse statale vi sia una normativa speciale data dalla combinazione fra il D.P.R. n.616/1977 ed il D.P.R. n.383/1993.

Coloro che sono di favorevole avviso (6) possono contare sulla previsione della possibilità (ex comma 7 art.27) che sia la Presidenza del Consiglio dei Ministri a promuovere l’accordo riguardante interventi o programmi di intervento d’interesse pluriregionale. Un riferimento indiretto alle opere d’interesse statale è poi contenuto nel comma 1 laddove sono previste, fra i possibili contenuti dell’accordo di programma, le opere che per la loro completa realizzazione richiedono l’azione (fra gli altri) anche di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici. Infine decisivo sarebbe il riferimento, contenuto nel comma 4, all’ art.81 del D.P.R. n.616/1977, disciplinante l’intesa Stato-regioni per opere d’interesse statale (7).

Chi scrive è dell’opinione che un’interpretazione estensiva della norma vada favorita; probabilmente il legislatore minus dixit quam voluit, e che la volontà sia quella di favorire l’utilizzo dello strumento è reso palese dalle più recenti disposizioni in materia.

(5) Fra costoro P. M. VIPIANA, op. cit. supra a nt. (2).

(6) La tesi è stata sostenuta inizialmente da G. GRECO, Commento all’art. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142, in AA.VV., Le autonomie locali, Milano, 1990.

(7) L’opinione è sostenuta da E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt. (2), Cap. I.

(23)

A fondamento di questa soluzione va posta, a nostro giudizio, la ratio legis che, come sappiamo, consiste nel coordinamento dell’azione degli enti pubblici con analoghe competenze sullo stesso oggetto, al fine di favorire efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, secondo i dettami del principio del “buon andamento” di cui all’art.97 della Costituzione. Detta ratio coincide appieno con quella che sta alla base della speciale figura di conferenza di servizi prevista dall’ art.3 del D.P.R.

n.383/1994 (8), per la localizzazione delle opere pubbliche statali e d’interesse statale. L’accordo in particolar modo ne condivide la

“democraticità” essendo coessenziale alle due figure il consenso unanime degli enti coinvolti (fra cui non può mancare il comune). Ne deriverebbe la sostanziale fungibilità fra i due istituti e quindi la possibilità di estendere l’oggetto dell’ accordo di programma alle opere anzidette.

In ogni caso, sarebbe certamente auspicabile un intervento normativo da parte del legislatore che portasse un po’ di chiarezza nella confusione che, su questo punto, sembra caratterizzare la materia.

(8) Su questa speciale figura di conferenza di servizi si consulti S. CIVITARESE MATTEUCCI, Semplificazione ed autocoordinamento nei procedimenti di localizzazione delle opere statali, in Le Regioni, 1995.

(24)

2. I soggetti dell’accordo di programma

2.1 I soggetti promotori

I soggetti cui spetta promuovere la conclusione dell’accordo di programma sono tassativamente indicati al comma 1 dell’art.27: si tratta del presidente della regione, del presidente della provincia o del sindaco

“in relazione alla competenza primaria o prevalente sull’opera o sugli interventi o sui programmi di intervento”. Due sono dunque i criteri dettati dalla norma per l’individuazione dell’autorità d’impulso: primarietà o prevalenza.

Il primo, di natura più strettamente giuridico-organizzativa, ricorre quando è possibile individuare un soggetto dotato di competenza di amministrazione attiva sull’opera da approvare o attuare (9). Il secondo, di tipo quantitativo, ricorre in via sussidiaria qualora non vi sia un soggetto investito primariamente dell’opera e questa comunque rientri nella sfera di titolarità di più enti pubblici (ad esempio un’opera da realizzare nel territorio di più comuni finitimi) e consiste nell’individuare, caso per caso, il soggetto maggiormente investito degli oneri finanziari e territoriali in merito all’opera da realizzare (10).

Tale individuazione risulta molto importante se si tiene conto del fatto che essa incide sulla competenza all’approvazione dell’accordo, e che da essa la giurisprudenza fa dipendere la legittimità dell’accordo stesso (11). Si tratta tuttavia di un’operazione non sempre agevole da effettuare, talché, ad esempio, la legge n.396/1990 per “Roma capitale”

prevede un subprocedimento ad hoc, in cui il soggetto competente viene indicato dal Ministro per i problemi delle aree urbane, su richiesta del

(9) In tal senso G. GRECO, op. cit. supra a nt. (3).

(10) Conformemente G. MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I.

(11) Confronta T.A.R. Lazio, Sez. I, 20 gennaio 1995, n. 62.

(25)

presidente della regione Lazio, del presidente della provincia di Roma, del sindaco di Roma o di un’amministrazione statale.

Sono da segnalare almeno due deroghe al principio di corrispondenza tra competenza sull’oggetto dell’accordo e promozione dello stesso. La prima è contenuta espressamente nel comma 7 dell’art.27 e consiste nell’iniziativa della presidenza del Consiglio dei Ministri qualora, per la realizzazione di un intervento o di un programma d’intervento, sia necessario il concorso di due o più regioni finitime (si pensi per esempio alla costruzione d’una via di comunicazione che attraversi più regioni).

La seconda si può ricavare in via interpretativa dall’esclusione delle amministrazioni statali dal potere d’iniziativa (12), per cui organo promotore di un accordo di programma avente ad oggetto un’opera pubblica d’interesse statale dovrebbe essere il presidente della regione (13).

Secondo il comma 1 dell’art.27 il potere d’iniziativa può essere esercitato “…anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati”.

Questa generica formula dev’essere intesa come riferita a quei soggetti la cui azione sia necessaria per la completa realizzazione dell’opera, intervento o programma d’intervento, siano essi soggetti pubblici sicuramente (14), siano essi, secondo alcuni autori, anche privati (15).

(12) Sull’illogicità di tale limitazione si è espresso G. LEONE, L’accordo di programma nella realizzazione delle opere pubbliche, in Atti del Convegno-Seminario su “Il nuovo ordinamento degli enti locali (l. 8 giugno 1990, n. 142)”, 1990.

(13) Nello stesso senso G. GRECO, op. cit. supra a nt. (6), e F. CAIAFFA, op. cit. supra a nt. (9), Cap. II.

(14) Per l’esclusività dei soggetti pubblici è F. CAIAFFA, op. cit. supra a nt. (9), Cap.

II.

(15) A favore dei privati si schiera F. GUALANDI, L’accordo di programma nella disciplina urbanistica, in Rivista giuridica dell’edilizia, 1996.

(26)

Il mancato accoglimento della richiesta a promuovere l’accordo dovrà essere sorretto, a nostro avviso, da un’adeguata motivazione scritta, dimodochè il promotore non si tramuti in un “vero e proprio dominus dell’accordo” (16), padrone di decidere sempre e comunque l’opportunità, i tempi e le modalità dell’accordo.

2.2 I soggetti partecipanti

Per quanto riguarda i soggetti partecipanti all’accordo di programma il comma 4 dell’art.27 (così come modificato dall’art.17 della legge n.127/1997, la cosiddetta “Legge Bassanini/2”) esige il “…consenso unanime del presidente della regione, del presidente della provincia, dei sindaci e delle altre amministrazioni interessate”.

Mentre prima della riforma l’amministrazione procedente godeva di un minimo di discrezionalità nello scegliere i propri interlocutori (il vecchio articolo4 voleva semplicemente il “consenso unanime delle amministrazioni interessate”), ora questa “libertà” viene meno perché regioni, province e comuni, principali figure della pianificazione urbanistica, vengono previste, attraverso i rispettivi rappresentanti istituzionali, quali parti assolutamente indefettibili dell’accordo.

La nuova formulazione ha come scopo quello di rendere il procedimento di scelta più omogeneo, e di dare complessivamente maggiore stabilità e certezza all’istituto. Alcune perplessità vanno però sollevate in rapporto sia alla contrazione dell’autonomia riservata all’ente procedente, sia alla più difficile adattabilità verso procedimenti di bassa complessità, in quanto entrambi i fenomeni risultano potenzialmente idonei a disincentivare l’utilizzo dello strumento in esame (17).

(16) L’espressione è di G. MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I.

(17) In tal senso G. PERULLI, Conferenze di servizi e accordi di programma, in Lo snellimento dell’attività amministrativa (coordinatore V. ITALIA), Milano, 1997.

(27)

Per quanto riguarda il consenso delle “amministrazioni interessate”

riteniamo, conformemente alla più recente dottrina, che non sia necessario l’assenso di tutti i soggetti invitati alla preliminare conferenza di servizi, ma sia sufficiente il consenso di quei soggetti che nella conferenza abbiano manifestato il loro interesse (18), fra i quali non possono mancare

“i titolari dei poteri corrispondenti all’atto del procedimento da porre in essere” (19), perché, come sappiamo, l’accordo di programma non è strumento di deroga alle ordinarie competenze previste dalla legge, ma di acquisizione, in un unico contesto procedimentale, delle manifestazioni di volontà, di giudizio e di conoscenza dei soggetti interessati.

Un altro problema interpretativo, riguardante l’individuazione degli enti pubblici legittimati a partecipare all’accordo, consiste nella possibilità o meno che organi diversi da quelli di amministrazione attiva intervengano come parti nell’accordo stesso. Una soluzione positiva deve ritenersi plausibile per le autorità che devono intervenire nel procedimento a scopo di vigilanza e prevenzione, analogamente a quanto avviene nella conferenza di servizi ex art.14 legge n.241/1990. Si pensi, in materia urbanistica, all’opportunità di inserire una autorizzazione regionale per la costruzione di nuovi impianti industriali o artigianali, oppure una valutazione di impatto ambientale riservata al Ministero dell’ambiente, oppure infine una autorizzazione dell’Ufficio del genio civile per le costruzioni da realizzare in località ad alto rischio sismico. Per quanto riguarda invece le autorità di controllo in senso stretto, il cui apporto è ottenibile con le forme ordinarie ossia al di fuori dell’accordo di programma, la loro partecipazione pare questione di opportunità da

(18) Sostengono questa interpretazione F. GUALANDI, op. cit. supra a nt. (15), e G.

PERULLI, L’iter preliminare all’accordo di programma, in Riv. Trim. appalti, 1992; contra G. MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I.

(19) Confronta la sentenza della Corte Costituzionale 28-7-1993 n. 348, in Foro italiano, 1994.

(28)

risolversi caso per caso, soppesando le contrastanti esigenze di celerità del procedimento e d’imparzialità dell’autorità che esegue il controllo (20).

Circa l’includibilità del concessionario d’opera pubblica fra i soggetti legittimati a stipulare l’accordo di programma, non possiamo che fare un rinvio ai numerosi scritti sul tema, in considerazione dell’assai dibattuto ed ancora insoluto problema sulla natura (pubblicistica o privatistica) dell’attività posta in essere dal predetto soggetto (21).

In ogni caso, la possibile soluzione si connette alla risposta che si intende dare al quesito (di fondamentale importanza) sulla possibile partecipazione dei soggetti privati all’accordo di programma. Sul punto la dottrina è divisa in due ampi schieramenti; al primo appartengono quegli autori (22) che limitano ai soli soggetti pubblici la facoltà di stipulare l’accordo. A sostegno del loro assunto costoro adducono, da un lato l’esaustività della formula contenuta nell’art.27 che, a meno di voler stravolgere il dato letterale, non prevede in alcun modo la partecipazione dei privati, dall’altro lato possono contare su di una recente sentenza della Cassazione, la già citata (23) sent. 4 gennaio 1995 n.91, ove si afferma che

(20) Conformemente P. M. VIPIANA, op. cit. supra a nt. (2); e G. ALBANESE, op. cit.

supra a nt. (9), Cap. II.

(21) A sostegno della tesi della natura pubblicistica degli atti del concessionario si veda R. MARRAMA, Natura giuridica degli atti del concessionario privato di sola costruzione, in Riv. giur. urb.,1991; e G. MONTEDORO, Il concessionario di opere pubbliche: privato esercente pubbliche funzioni o imprenditore commerciale?, in Riv. Trim. appalti, 1991; contra si veda F. ANCORA, Il concessionario d’opera pubblica tra pubblico e privato, Milano, 1990, ed E.

CANNADA BARTOLI, Degli atti di gara del concessionario di sola costruzione, in Foro amm., Milano, 1991.

(22) Appartengono a questo schieramento: E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt.

(2), Cap. I; F. CAIAFFA, op. cit. supra a nt. (9), Cap. II; e P. M. VIPIANA, op.

cit. supra a nt. (2).

(23) Supra a nt. (13), Cap. II.

(29)

l’accordo di programma consiste nel consenso unanime delle amministrazioni statali, delle amministrazioni locali e degli altri soggetti pubblici interessati, senza che ad esso partecipino i privati che, invece, possono essere coinvolti nella sua attuazione (24). Ulteriore elemento di contrarietà ai privati è ravvisato nella possibilità che questi inquinino la trasparenza dell'azione amministrativa, compromettendone il principio di imparzialità (25).

Il secondo schieramento, di più recente formazione, vede gli autori che ne fanno parte prendere una netta posizione in favore dei privati.

Costoro (26) portano a fondamento del loro pensiero, l’espressa previsione della partecipazione dei soggetti privati all’accordo contenuta nella legislazione successiva alla legge n.142 (in particolare nelle leggi n.179/1992, n.493/1993 e n.662/1996) (27), nonché un parziale ravvedimento della giurisprudenza (T.A.R. del Lazio, Sez. I, 30 gennaio 1995 n.62) concretizzatosi nell’ affermare la duttilità dello strumento dell’accordo di programma, l’assenza di rigidi caratteri di specificità, il suo possibile utilizzo per la realizzazione di opere d’iniziativa privata (d’interesse pubblico). Secondo questi autori, la partecipazione dei privati contribuirebbe poi a migliorare l’andamento dell’attività amministrativa, essendo in grado quest’ultimi di apportare nuove idee, finanziamenti e mezzi attuativi.

(24) Sulla sentenza si veda la nota critica di E. CANNADA BARTOLI, Accordo di programma e giurisdizione, in Giurisprudenza italiana, 1995.

(25) L’opinione è sostenuta da R. MARONE, Gli accordi di programma nella legge n.

142 del 1990, in Il corriere giuridico, 1991.

(26) A favore dei privati si schierano: G. DI GASPARE, L’accordo di programma:

struttura, efficacia giuridica e problemi di gestione, in Le Regioni, 1988; A.

PREDIERI, op. cit. supra a nt. (1), Cap. I; R. FERRARA, op. cit. supra a nt. (11), Cap. II; G. PASTORI, Accordo e organizzazione amministrativa, in L’accordo nell’azione ammministrativa, Atti del convegno organizzato dal Formez in Roma nel 1988, Roma, 1988.

(27) Su queste leggi si veda più ampiamente infra al Cap. IV.

(30)

3. La procedura di formazione dell’accordo

3.1 La fase preparatoria

La formazione di un accordo di programma passa attraverso un procedimento che si articola in almeno quattro fasi essenziali.

La prima di queste fasi, che potremmo definire “preparatoria”, si apre con la convocazione di una conferenza da parte del soggetto promotore dell’accordo ( il presidente della regione, il presidente della provincia o il sindaco in relazione alla competenza primaria o prevalente, come precedentemente precisato). Trattasi di una conferenza di servizi cosiddetta“istruttoria”, il cui scopo fondamentale consiste nel verificare l’esistenza di un interesse delle amministrazioni partecipanti a concludere un accordo di programma per il raggiungimento di un determinato obiettivo.

Alla conferenza dovranno essere invitati i rappresentanti di tutte le amministrazioni “interessate”. Si tratta di una scelta delicata, da un lato perché “l’interesse” va inteso in senso ampio, essendo ricomprese fra le amministrazioni interessate anche quelle contrarie alla realizzazione di un’opera da cui potrebbero subire un danno (28), dall’altro lato perché le amministrazioni ingiustamente escluse potrebbero impugnare in via giurisdizionale il provvedimento che recepisce l’accordo, vanificando così i lunghi sforzi occorsi per arrivare fino a quel punto (29).

Ci si può interrogare su chi possa assurgere alla figura di

“rappresentante”, se un semplice tecnico o un esperto che riceve un incarico ad hoc, oppure se il rappresentante legale dell’ente, come ad esempio richiede la legge regionale Toscana n.5/1995.

(28) In questo senso P. M. VIPIANA, op. cit. supra a nt. (2).

(29) Sul punto B. CARAVITA, Gli accordi di programma, in Aziendaitalia, 1990; e G.

MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I.

(31)

Quest’ ultima figura ci sembra più indicata delle altre, innanzi tutto perché più consona alla posizione di soggetto portatore della volontà di una pubblica amministrazione e di probabile firmatario del documento finale contenente l’accordo.

In secondo luogo, perché intorno al tavolo della negoziazione primariamente si vaglieranno questioni di opportunità e si svolgeranno vere e proprie trattative, mentre le valutazioni di tipo tecnico potranno avvenire anche in un secondo momento, da parte di professionisti che svolgeranno il loro incarico per conto delle singole amministrazioni, oppure per conto di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento (in questo caso dovranno essere nominati con il consenso unanime delle stesse).

Molto importante per l’esito della conferenza risulta anche l’atto di convocazione che, pur non richiedendo la legge alcuna formalità, dovrà chiaramente indicare l’oggetto dell’eventuale accordo e dovrà essere trasmesso previamente e tempestivamente a tutte le amministrazioni interessate, in modo che queste possano prendere le opportune determinazioni nel merito, una volta esaminati i dati progettuali e finanziari inerenti.

Come i primi esempi pratici confermano (ad esempio (30) l’accordo di programma approvato con decreto del Presidente della Giunta della regione Emilia Romagna n.70 del 7 febbraio 1995), le conferenze necessarie per arrivare alla stipulazione di un accordo di programma saranno, nella maggioranza dei casi, più di una, dimodochè gli enti coinvolti possano adeguatamente compiere le proprie valutazioni di merito.

(30) L’esempio è tratto da F. GUALANDI, op. cit. supra a nt. (15).

(32)

3.2 La fase costitutiva

Se a queste conferenze si attribuisce dunque un ruolo preparatorio, come conferma il comma 3 dell’ art.27 che attribuisce ad esse lo scopo di

“verificare la possibilità di concordare l’accordo”, ne deriva che la

“conclusione” dell’accordo costituisce una fase distinta dalla precedente.

Essa consiste nella manifestazione del “ consenso unanime del presidente della regione, del presidente della provincia, dei sindaci e delle altre amministrazioni interessate” (comma 4 dell’art.27), attraverso la sottoscrizione, in ultima battuta, del documento unitario contenente l’accordo, da parte dei tre suddetti organi monocratici e da parte dei rappresentanti delle altre amministrazioni partecipanti.

Sia la legislazione statale che quella regionale omettono una formale e puntuale regolamentazione di questa fase, introducendo così un principio di libertà del procedimento che si estrinseca in diverse modalità di acquisizione del consenso, nonché in differenti rapporti tra la figura idonea a formare la volontà dell’ente e quella idonea a rappresentarlo.

Un primo modello vuole stabilita la coincidenza fra queste due figure nell’organo monocratico dell’amministrazione, dando luogo in molti casi ad una deroga alle ordinarie competenze stabilite dalla legge all’interno di quella (31). Esemplificativo a tal proposito è lo statuto di Roma (32), il quale stabilisce che il Sindaco promuove gli accordi di programma e aderisce alla proposta di altri enti sulla base degli indirizzi deliberati dal Consiglio comunale, informandolo preventivamente sugli elementi principali dell’accordo (art.20 comma 4).

(31) A favore del modello è A. TRAVI, op. cit. supra a nt. (9), Cap. II; e R. MARONE, op. cit. supra a nt. (25).

(32) Questo e i successivi esempi sugli statuti comunali sono tratti da S. STAIANO, L’accordo di programma nelle leggi n. 64/1986 e n. 142/1990, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 1992.

(33)

Il modello risulta evidentemente improntato alla speditezza del procedimento, parzialmente bilanciata con l’inserimento di alcune garanzie, date dal rispetto dell’attività di indirizzo dell’organo collegiale e dall’informazione a quest’ultimo assicurata. Tale informazione può essere preventiva, come stabilito dal già visto statuto di Roma o da quello di Bari (art.27 comma 3), viceversa può essere postuma, cioè avvenire dopo l’approvazione o la stipula dell’accordo, come dispongono invece gli statuti di Pescara (art.64 comma 3) e dell’Aquila (art.60 comma 3).

Un secondo modello vuole invece garantito il normale riparto delle competenze all’interno dell’amministrazione (33), ragione per cui il rapporto tra la figura rappresentativa e la figura deliberante vedrà l’organo monocratico e l’organo collegiale in frequente posizione di dicotomia.

A tal proposito due sottomodelli si presentano come astrattamente proponibili: il primo è quello della successiva ratifica da parte dell’

organo collegiale della volontà espressa dal rappresentante tramite la sigla dell’accordo (34); il secondo è quello della previa autorizzazione rilasciata al rappresentante dall’organo collegiale, attraverso un mandato con margini di elasticità tali da poter negoziare le deliberazioni finali (35).

Tale sottomodello ci sembra nettamente da favorire, in primo luogo perché più “garantista” per le autorità competenti che non si trovano costrette a ratificare scelte operate altrove, “magari sotto il solito ricatto della perdita di un qualche finanziamento” (36), in secondo luogo perché si adatta perfettamente al comma 5 dell’art.27 che altrimenti diventerebbe un’inutile repetitio, ed in ultima analisi perché l’accordo di programma risulta fin dall’inizio più stabile, non verificandosi problemi di eventuali

(33) Così G. GRECO, op. cit. supra a nt. (6).

(34) A favore di questo modello si veda G. PERICU, op. cit. supra a nt. (10), Cap. II.

(35) Per la previa autorizzazione sono: G. MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I;

P. M. VIPIANA, op. cit. supra a nt. (2); G. ALBANESE, op. cit. supra a nt. (9), Cap. II; e F. GUALANDI, op. cit. supra a nt. (15).

(36) R. MARONE, op. cit. supra a nt. (25).

(34)

rifiuti di ratifica da parte dell’organo collegiale (semprechè l’accordo non comporti variazione degli strumenti urbanistici, nel qual caso la ratifica diventa ex lege necessaria).

Esemplificativo del modello è, a livello statale, l’art.25 della legge n.210 del 1985, il quale afferma che i rappresentanti devono essere

“…autorizzati dai rispettivi organi deliberanti”. A livello locale citiamo lo statuto di Firenze, il quale stabilisce che il Sindaco deve essere autorizzato a sottoscrivere l’accordo dal Consiglio comunale (art.32 comma 3), oppure lo statuto di Bergamo, il quale dichiara che il Sindaco

“agisce sulla base di una deliberazione della Giunta comunale, sentiti i capogruppo” (art.51 comma 2). Si consideri ancora lo statuto di Venezia che obbliga il Sindaco a fornirsi del “mandato vincolante dell’organo collegiale competente” (art.21), e, da ultimo, lo statuto di Napoli in cui il Sindaco “sottopone per l’approvazione lo schema di accordo di programma al Consiglio o alla Giunta, in ragione delle rispettive competenze, almeno trenta giorni prima della conferenza fissata per la conclusione dell’accordo. Egli conclude l’accordo o dichiara l’indisponibilità del Comune a concluderlo in conformità alle determinazioni della Giunta o del Consiglio” (art.61 comma 2).

3.3 La fase approvativa

Alla fase di conclusione segue quella di “approvazione”, come espressamente dispone il comma 4 dell’art.27: “L’accordo…..è approvato con atto formale del presidente della regione o del presidente della provincia o del sindaco”.

(35)

Trattasi di un atto unilaterale, di natura provvedimentale con veste di decreto od ordinanza, la cui competenza è rimessa, secondo unanime dottrina, al titolare del potere di promozione dell’accordo (37).

Ciò dovrebbe valere anche per l’ipotesi prevista dal comma 7, ovvero quando l’accordo ha per oggetto un intervento o un programma di intervento che richiede il concorso di due o più regioni finitime: in tal caso il decreto di approvazione dovrebbe provenire dal Presidente del Consiglio dei ministri.

In tutte le ipotesi è comunque dubbia la natura e l’efficacia dell’atto di approvazione dell’accordo di programma.

Secondo una parte della dottrina l’atto di approvazione dà luogo ad un fenomeno di novazione della fonte di produzione, sostituendosi il provvedimento all’accordo come fonte degli effetti giuridici ivi contemplati e fungendo il provvedimento da strumento per il controllo degli aspetti formali e sostanziali dell’accordo stesso (il controllo verterà ad esempio sul rispetto delle norme vigenti e sul sistema delle competenze, sulla coerenza delle dichiarazioni dei vari enti e sull’osservanza degli atti di programmazione di cui gli accordi costituiscono attuazione) (38).

Secondo un’altra frangia notevole della dottrina (39), gli effetti giuridici sono da attribuirsi comunque all’ accordo, dando luogo il provvedimento di approvazione ad un fenomeno di mera esternazione volto a rendere l’accordo efficace nei confronti dei terzi che, qualora

(37) In tal senso, fra gli altri: L. VANDELLI, Ordinamento delle autonomie locali.

Commento alla legge 8 giugno 1990, n. 142, Rimini, 1991; G. MANFREDI, op. cit.

supra a nt. (4), Cap. I; e G. GRECO, op. cit. supra a nt. (6).

(38) Fra coloro che sostengono questa posizione citiamo G. GRECO, op. cit. supra a nt.

(6), e F. CAIAFFA, op. cit. supra a nt. (9), Cap. II.

(39) All’interno di questa frangia ricordiamo: A. QUARANTA, Gli accordi di programma nella legge 1° marzo 1986 sul Mezzogiorno, in Il Consiglio di Stato, 1987; e V. CERULLI IRELLI, op. cit. supra a nt. (12), Cap. I.

(36)

ritengano l’accordo lesivo dei loro diritti, possono impugnare il decreto che lo recepisce davanti al giudice amministrativo. Il termine

“approvazione” non dovrebbe dunque trarre in inganno: la funzione dell’atto non sarebbe tanto quella di controllo del contenuto, giacché questa viene assegnata ad una delle parti contraenti che la può esercitare semplicemente impedendo la conclusione dell’accordo, bensì è quella di estendere erga omnes gli effetti dell’accordo di programma che, prima della sua recezione, si producono esclusivamente inter partes.

Una spiegazione ulteriore di questa particolare procedimentalizzazione è stata proposta proprio in riferimento alla materia urbanistica. L’atto amministrativo conclusivo sarebbe da ricollegare ai possibili effetti di diretta variazione degli strumenti urbanistici, che all’accordo sono espressamente attribuiti dal comma 4 dell’art.27. Tali effetti non si potrebbero infatti produrre per via meramente consensuale ma necessiterebbero, almeno formalmente, di un atto amministrativo di tipo autoritativo (40).

3.4 La fase di pubblicazione

Alla fase di approvazione dell’accordo di programma segue, sempre secondo il comma 4 dell’art.27, quella di “pubblicazione” dello stesso.

La pubblicazione dovrà avvenire nel bollettino ufficiale della regione: si tratterà della regione il cui presidente ha emanato il decreto di approvazione, oppure della regione in cui è ricompresa la provincia o il comune il cui organo monocratico di vertice ha provveduto all’approvazione.

Per l’accordo di programma previsto dal comma 7 dell’art.27, la pubblicazione, stante il silenzio della norma sul punto, dovrebbe avvenire

(40) Questa teoria viene sostenuta da E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt. (2), Cap I.

(37)

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica in considerazione degli effetti ultraregionali dell’accordo (41).

Con la pubblicazione il procedimento di formazione risulta essenzialmente completo e l’accordo diventa operativo.

(41) Conformemente P. M. VIPIANA, op. cit. supra a nt. (2).

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