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Gli accordi di programma nelle leggi settoriali

1. Gli accordi di programma nelle leggi anteriori alla n.142 del 1990

1.2 L’accordo di programma nella legge n.64 del 1986

La legge 1° marzo 1986 n.64 (3), disciplinante l’intervento straordinario nel Mezzogiorno, è stata abrogata nel 1992 dalla legge n.488.

(3) Sulla legge n. 64 del 1986 si consulti G. CORSO, L’accordo di programma, in L’accordo nell’azione amministrativa, Formez, Roma, 1988; G. DI GASPARE, L’accordo di programma: strutture, efficacia giuridica e problemi di gestione, in Le Regioni, 1988; A. QUARANTA, Gli accordi di programma nella legge 1° marzo 1986, n. 64 sul Mezzogiorno, in Il Consiglio di Stato, 1987.

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Essa costituiva, per il grado di dettaglio con cui regolava l’accordo di programma, la più importante legge sull’istituto anteriormente all’emanazione della legge n.142/1990.

L’art.7 prevedeva che, per attuare gli interventi previsti nel programma triennale per lo sviluppo del Mezzogiorno (approvato dal C.I.P.E.) necessitanti dell’azione integrata e coordinata di amministrazioni statali, regioni, enti locali ed altri soggetti pubblici, il Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno e i soggetti interessati potevano promuovere un accordo di programma che stabilisse, fra l’altro, i tempi dell’attuazione, le modalità, il finanziamento e i destinatari della gestione.

Per la prima volta, l’accordo di programma veniva dunque concepito quale strumento di coordinamento delle competenze di diversi enti pubblici. La formula verrà in parte ripresa nella legge n.142 ma, a differenza dell’accordo disciplinato da quest’ultima legge, quello previsto dalla legge n.64 veniva delineandosi essenzialmente come strumento di attuazione di una programmazione già avvenuta (il programma triennale per lo sviluppo del Mezzogiorno), o comunque quale strumento di una programmazione di secondo grado, esecutiva e di dettaglio (4).

L’accordo prevedeva altresì procedimenti di arbitrato rituale ed interventi surrogatori nei confronti dei soggetti inadempienti (art.7, comma 2). Il comma 2 è stato successivamente trasfuso nell’art.27, con due differenze: la prima riguarda la possibilità, e non la necessità, di questi procedimenti ed interventi; la seconda consiste nel non aver fatto cenno al tipo di arbitrato (rituale o irrituale), lapsus che avrebbe fatto nascere diversi dubbi interpretativi (vedi supra al par. 4.1, Cap. III).

L’approvazione dell’accordo avveniva, su proposta del Ministro e previa delibera del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente del Consiglio (e non con decreto del Presidente della Repubblica come disposto invece nella precedente legge n.210/1985), decreto che andava pubblicato insieme all’accordo nella Gazzetta Ufficiale.

(4) In tal senso si veda E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt. (2), Cap. I.

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Anche qui, come nella legge n.210, l’accordo esplicava gli effetti dell’intesa di cui all’art.81 del D.P.R. n.616 (variazione degli strumenti urbanistici difformi e sostituzione della concessione edilizia), ma veniva addizionalmente richiesto, a differenza che in quella legge, il consenso del comune interessato che non avesse preso parte all’accordo.

Rilevanti poteri venivano attribuiti al Ministro. Egli infatti promuoveva la conclusione dell’accordo, vigilava sulla sua esecuzione e,

“in caso di inadempienza dei soggetti partecipanti e di mancata attuazione delle procedure sostitutive” (art.7, comma 4) poteva sollecitare la revoca del finanziamento concesso (sanzione che non verrà ripresa nella legge n.142). Qualora l’accordo avesse ad oggetto progetti che riguardavano esclusivamente le regioni a statuto speciale, i poteri del Ministro dovevano essere esercitati d’intesa con i presidenti di queste regioni.

E’ stato rilevato in dottrina (5) come al Ministro venisse sostanzialmente attribuita una vera e propria posizione di supremazia rispetto agli altri soggetti dell’accordo di programma, che si è cercato poi di temperare nella legge n.142 attribuendo i poteri di vigilanza e di coazione ad un apposito collegio, anziché al promotore dell’accordo.

E’ da segnalare che, con il D.P.C.M. 30 dicembre 1987 è stato approvato un accordo di programma ex art.7 della legge n.64 (questo costituisce l’unico caso di accordo di programma approvato secondo l’art.7). Si tratta dell’accordo attuativo del progetto per la reindustrializzazione e la realizzazione di un parco tecnologico nell’area della Val Basento (6). Con successivi decreti ministeriali (D.M. 27 dicembre 1994, D.M. 5 maggio 1995 e D.M. 29 dicembre 1995) sono stati fissati nuovi termini per l’attuazione di questo accordo che, allo stato attuale, non risulta ancora completamente realizzato.

(5) G. MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I.

(6) Sull’accordo di programma per la Val Basento si veda più dettagliatamente S.

STAIANO, op. cit. supra a nt. (32), Cap. III.

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1.3 L’accordo di programma nel D.L. n.19 del 1988

Il D.L. 1° febbraio 1988 n.19 (convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 1988, n.99) prevedeva, fra le varie misure urgenti in materia di opere pubbliche in Sicilia, la possibilità di stipulare un accordo di programma in deroga alle disposizioni dell’art.7 della legge n.64 del 1986. Nonostante il carattere derogatorio, il D.L. n.19/1988 rappresenta una tappa importante nell’evoluzione della disciplina dell’accordo di programma (7).

L’accordo di programma previsto dal D.L. n.19 poteva avere ad oggetto (ex art.1, comma 1) l’esecuzione delle opere di cui all’art.5, comma 3, lettere a) e d) della legge n.64/1986, cioè le opere della cessata Cassa per il Mezzogiorno che dovevano essere trasferite agli enti competenti oppure che erano state già appaltate ma non risultavano ancora completate. Inoltre, l’accordo poteva concernere la realizzazione delle generiche attività ed iniziative di sviluppo del Mezzogiorno di cui all’art.1, comma 2, della legge n.64, cioè “…le attività e le iniziative, con particolare riguardo alle produzioni sostitutive di importazioni e alle innovazioni, che concorrono al risanamento, all’ammodernamento e all’espansione dell’apparato produttivo, all’accrescimento dei livelli di produttività economica, al riequilibrio territoriale interno, alla valorizzazione delle risorse locali e al miglioramento della qualità della vita, al potenziamento e alla riqualificazione delle istituzioni locali, economiche, tecnico-scientifiche e culturali, formative ed amministrative”. Infine, oggetto dell’accordo potevano essere (ex art.1, comma 1 bis, del D.L. n.19) gli interventi di risanamento dei centri storici di Palermo e Catania.

(7) Sul D.L. n. 19 del 1988 e il relativo accordo di programma si consulti G.

MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I; E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt. (2), Cap. I; M. ANNESI, Bilancio di una legge, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 1989.

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Se in rapporto all’esecuzione delle opere di cui all’art.5, della legge n.64, l’accordo di programma previsto dal D.L. n.19 si delineava quale strumento attuativo di una programmazione già avvenuta (al pari dell’accordo di programma previsto dall’art.7 della legge n.64), esso assumeva più marcatamente la veste di strumento di programmazione quando aveva ad oggetto gli interventi di risanamento dei centri storici di Palermo e Catania, e le iniziative di sviluppo di cui all’art.1, comma 2, della legge n.64.

L’accordo veniva promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, ma su richiesta del presidente della regione siciliana,

“…senz’altro in considerazione del carattere prevalentemente regionale o locale dei programmi da implementare” (8). Alla richiesta del presidente della regione siciliana si univa quella del sindaco di Palermo e di Catania, qualora l’accordo avesse ad oggetto interventi di risanamento delle rispettive città.

L’accordo era diretto principalmente (come nella legge n.64) ad identificare e coordinare le azioni necessarie per la sua attuazione, determinandone la localizzazione, i tempi, le modalità, il finanziamento e le forme di controllo opportune.

Il comma 3, dell’art.1, prevedeva che alla definizione dell’accordo partecipavano, dietro preciso invito del Presidente del Consiglio dei ministri, tutti i soggetti pubblici e privati interessati alla realizzazione degli interventi che avrebbero costituito oggetto del programma.

Risulta evidente l’innovatività della norma, la quale ammette per la prima volta, anticipando un odierno indirizzo legislativo, la possibile partecipazione dei privati alla definizione di un accordo di programma.

L’accordo veniva approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ed era vincolante non solamente per i soggetti partecipanti, ma anche per quei soggetti che, pur essendo stati invitati, non avevano concorso alla formazione dello stesso (art.3, comma 4).

(8) G. MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I.

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Si trattava di una disposizione di dubbia legittimità e sulla quale molte riserve sono state espresse dalla dottrina (9). Non si è compreso infatti quale fosse la ratio che spingeva il legislatore ad estendere gli effetti di una fattispecie, caratterizzata dalla consensualità, nei confronti di soggetti che non avevano in alcun modo manifestato il loro assenso. Ad imprimere poi un certo grado di autoritarietà all’accordo contribuiva il fatto che tale estensione veniva determinata da un atto unilaterale, cioè dall’invito rivolto dal Presidente del Consiglio dei ministri. E’ stato osservato in dottrina (10) che attraverso questo atto si sarebbe potuto procedere, ad esempio, all’espropriazione dei beni di un privato senza rispettare le garanzie procedurali previste dalla legge ordinaria.

E’ da segnalare che questa disposizione derogatoria non ha fatto ingresso nella disciplina organica dell’accordo di programma contenuta all’art.27 della legge n.142 del 1990, ma è stata sostanzialmente ripresa in materia di conferenza di servizi dalla legge n.241 del 1990 (11).

Conformemente alle figure di accordo di programma antecedenti, anche l’accordo previsto dall’art.1 del D.L. n.19 era idoneo ad apportare variante automatica agli strumenti urbanistici vigenti, ma in più attribuiva alle relative opere il carattere di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, fermi in ogni caso i vincoli previsti dalle leggi in materia paesaggistica ed ambientale (12).

La previsione della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere approvate con l’accordo, ancora una volta precorre

(9) Riserve sono state espresse da E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt. (2), Cap. I;

e da L. TORCHIA, Gli accordi di programma fra regioni ed enti locali: una ipotesi di lavoro, in Regione e Governo locale, 1990.

(10) G. MANFREDI, op. cit. supra a nt. (4), Cap. I.

(11) Sul tema vedi supra al par. 3, Cap. II.

(12) Sulla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza vedi supra par. 5, Cap. IV.

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i tempi poiché, come sappiamo, verrà introdotta nel 1997 dalla legge Bassanini/2 anche nell’accordo di programma previsto dall’art.27 della l.

n.142/1990.

Il comma 6, dell’art.1, prevedeva al primo capoverso che l’attuazione dell’accordo spettava alle amministrazioni e gli enti interessati, nei termini fissati dall’accordo stesso.

Al secondo capoverso era poi stabilito che, in caso d’inerzia o di ritardo delle parti nell’attuazione dell’accordo, vi poteva essere l’intervento sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri, da esercitarsi su richiesta del presidente della regione siciliana. Il Presidente del Consiglio, che poteva agire direttamente o delegare il presidente della regione Sicilia, provvedeva con i poteri di cui all’art. 3, dello stesso D.L.

n.19, ovvero “…anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle sulla contabilità generale dello Stato e con il limite del rispetto dei principi generali dell’ordinamento e delle norme comunitarie”.

La disposizione di cui al secondo capoverso costituisce, a sua volta, una deroga alla legge n.64/1986, in quanto individua direttamente il titolare del potere sostitutivo, non rimandando per ciò all’accordo, e traccia al contempo i contenuti di tale potere sostitutivo. Risultando applicabile anche ai soggetti che pur non avendo partecipato all’accordo sono stati invitati dal Presidente del Consiglio, tale disposizione sarebbe diretta secondo alcuni (13) a bilanciare proprio la derogatorietà della previsione di cui al comma 4, sottraendo all’accordo l’incerta disciplina dei contenuti e della titolarità dei poteri surrogatori, attraverso la loro tipizzazione per legge.

(13) Di questo avviso è E. STICCHI DAMIANI, op. cit. supra a nt. (2), Cap. I.

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