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“Qui mi preoccupo di mostrare in che modo le intuizioni creative generate dalle metafore possano venire usate per comprendere il fenomeno organizzativo da prospettive diverse.” Gareth Morgan, “Images. Metafore dell’organizzazione"

Gareth Morgan è un noto autore internazionale, consulente e oratore, conosciuto per la sua teoria di gestione. Nato in Inghilterra nel 1943, è Professore alla York University di Toronto in Canada. Autore di best-seller sull’organizzazione, egli utilizza le immagini e le metafore per creare risorse e modi di funzionamento e di gestione.

Morgan sostiene che le teorie, i modi di pensare e di percepire le organizzazioni, possono essere espresse con alcune “metafore”, ossia con immagini che, in forza di un’analogia con altre realtà più familiari, le rappresentano in forma sintetica e semplificata. La scelta dipenderebbe dall’osservatore, dai suoi obiettivi conoscitivi e dal momento in cui si osserva un’organizzazione.

Le metafore esercitano un’influenza decisiva sul linguaggio, sulla percezione dei problemi, sull’espressività dei nostri comportamenti e perfino sulle nostre cognizioni scientifiche.

Uno degli aspetti interessanti delle metafore è che esse sono immagini schematiche, succinte, perciò parziali della realtà, della quale esaltano alcuni aspetti che si ritengono salienti, sacrificandone naturalmente altri. La lettura che Morgan propone delle organizzazioni ne vede la classificazione come macchine, organismi, cervelli, cultura, prigioni psichiche, politiche, cambiamento/trasformazioni e domini.

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La metafora della macchina: in ambito organizzativo, la metafora della macchina come da modello per progettare, realizzare e controllare le attività lavorative è ancora oggi assai diffusa in ambito sanitario.

La descrizione e specificazione accurata delle mansioni, la razionalizzazione dei tempi e dei materiali, la standardizzazione dei processi, la specializzazione, sono pratiche talmente diffuse che hanno ormai condizionato il vocabolario di qualunque settore. I vantaggi dell’approccio organizzativo di tipo “meccanicistico” sono evidenti: chiarezza degli obiettivi e dei risultati finali, accuratezza nella progettazione dei percorsi, corretta individuazione di risorse umane e materiali, limitazione degli sprechi, controllo e correzione immediata dell’errore.

I limiti di quest’approccio sono però rilevanti. Progettare l’organizzazione come se fosse una macchina, è utile solo in ambienti stabili, cosa abbastanza rara in un contesto come un azienda sanitaria. Gli stessi professionisti, senza esserne consapevoli, assumono atteggiamenti che tendono a conservare l’ambiente piuttosto che sviluppare capacità di fronteggiare l’imprevisto. Frammentare il lavoro in attività semplici e spingere verso la specializzazione sono strategie funzionali ad una maggiore precisione e competenza, che riguardano però settori sempre più ristretti, dove si richiede un’autorità gerarchica in grado di ricomporre costantemente le singole parti, pena un caos ingovernabile nel quale ciascun settore agisce senza integrarsi con altri. La condizione perché l’organizzazione funzioni come una macchina perfetta è il costante controllo delle variabili, prime fra tutte la discrezionalità di scelta degli operatori.

Uno degli effetti indesiderati è che l’impossibilità di fare scelte personalizzate e la consapevolezza di essere ingranaggi controllati di un sistema, in un primo momento offrono sicurezza e riduzione dell’ansia, mentre a lungo termine producono disaffezione, perdita diinteresse e di senso di responsabilità, sensazione di spersonalizzazione. Conseguenza di questo malessere personale è, fra l’altro, una minore resa lavorativa.

La metafora dell’organismo: anche nelle strutture sanitarie esiste una organizzazione “informale” con propri obiettivi e specifiche strategie relazionali, parallela alla organizzazione “formale”, che riconosce l’importanza della motivazione e delle relazioni umane. La sicurezza economica e la garanzia del posto fisso non sono l’unico motivo per cui i dipendenti si recano a lavorare tutti i giorni. Altre motivazioni quali la creatività, l’investimento emotivo, le relazioni interindividuali positive che migliorano il clima dell’azienda, incidono positivamente anche sulla produttività, sia in termini quantitativi, sia qualitativi. L’organizzazione è dunque un “sistema aperto”, una sorta di organismo biologico che comunica costantemente con l’ambiente esterno ed è a sua volta costituito da sottosistemi che interagiscono fra loro.

La metafora dell’organismo vivente comporta un approccio “situazionale”, cioè un modello organizzativo flessibile, in grado di adattarsi costantemente alle variazioni dei sottosistemi interni ed alle trasformazioni del contesto esterno. Le decisioni devono essere decentrate a differenti livelli, coinvolgendo i gruppi di lavoro nella elaborazione degli obiettivi aziendali e formando operatori competenti per assumere decisioni appropriate e responsabili. Dalla concezione dell’organizzazione come organismo vivo e in costante evoluzione si elaborano modelli manageriali applicabili in varie situazioni: modelli “per gruppi di progetto”, “modelli a matrice”, modelli “adhocratici”, modelli “ecologici”.

La metafora del cervello: in questa visione delle organizzazioni, l’elemento posto in assoluto rilievo è l’intelligenza dei sistemi operativi. Investire nel “pensiero”, nella competenza decisionale che tutti gli operatori devono possedere per svolgere la loro attività, nella condivisione di processi, nell’apprendimento costante che passa anche attraverso gli errori riconosciuti ed analizzati collettivamente, è la caratteristica delle organizzazioni in grado di sostenere le sfide evolutive.

La metafora della cultura: Morgan definisce la cultura di un’impresa come il sistema valoriale e comportamentale dell’impresa stessa, ossia come quell’insieme di valori che sono posti alla base del modo di lavorare, del sistema premiante delle regole formali ed informali e, inoltre come quell’insieme di attese più o meno formali che rendono il comportamento di un soggetto adeguato e degno di premio o inadeguato e da riprendere. Per Morgan, le caratteristiche della cultura in una impresa sono influenzate, dall’esterno, da elementi

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sociali, etnici, politici, religiosi, e, dall’interno, dalle sottoculture e dalle contro-culture che i gruppi portano formalmente o informalmente. Le differenze interculturali, ormai, non si hanno più solo tra ambiti geografici differenti; la maggior parte delle nostre imprese, anche quelle che non hanno sedi su territorio internazionale, si presentano come aggregati sociali multietnici nei quali i portati culturali di origine sono vari. In realtà nell’impresa non ci sono solamente gruppi differenti per base etnica ma anche per base anagrafica (età, sesso), o per aggregato professionale (gli impiegati, gli operai), o per funzione (quelli delle vendite, quelli della produzione, quelli della amministrazione): è presumibile che ognuno dei gruppi porti come minimo una propria interpretazione di quella che deve essere la cultura dominante così come è facilmente intuibile quanto diventi strategico il controllo della cultura dominante per i dirigenti di quelle organizzazioni che si basano soprattutto su meccanismi di integrazione incentrati su valori, senso di appartenenza e motivazione. Meccanismi di integrazione e differenziazione, riti, usanze e credenze, diventano allora i segnali per leggere la cultura aziendale e per alcuni dirigenti, diventano le leve per gestire tale cultura o addirittura tentare di manipolarla (in senso negativo) o gestirla (in senso positivo) per creare un modo condiviso di guardare alla realtà interna ed esterna alla azienda.

La metafora politica. In questa metafora si mettono in luce le relazioni di potere latenti ed esplicite vigenti nell’organizzazione. E’ una situazione abbastanza diffusa specie nel settore industriale, dove si sono sviluppate vere e proprie trincee che separano i dirigenti dalla forza lavoro. I dirigenti parlano spesso di autorità, potere e di rapporti gerarchici. Si tratta di problematiche di natura politica che riguardano i comportamenti di chi comanda e di chi è comandato. La metafora politica evidenzia tutto ciò che di “politico”, in senso lato, esiste nell’organizzazione: il processo e la mediazione politica possono rappresentare un elemento essenziale della vita organizzativa non sempre superflua o disfunzionale.

La metafora politica mostra come ogni aspetto dell’attività organizzativa trovi la sua origine in qualche interesse specifico. Tutte le parti apparentemente formali dell’organizzazione hanno una dimensione politica e non sono solo le lotte di potere ad essere caratterizzabili in senso politico. La metafora politica quindi mette al centro dell’analisi organizzativa il potere, il suo ruolo e l’uso che ne può essere fatto e sottolinea che gli obiettivi organizzativi possono risultare razionali per alcuni, ma non per altri. Quindi si evidenziano le tendenze e le tensioni disgregatrici che derivano dall’insieme di interessi diversi su cui si basa l’organizzazione stessa.

La metafora della prigione psichica. In questa metafora si evidenziano i condizionamenti psicologici di cui i membri dell’organizzazione possono essere vittime. In pratica si ipotizza che le organizzazioni siano, in ultima analisi, create e mantenute da una serie di processi consci ed inconsci dando per scontato il fatto che gli uomini possono rimanere imprigionati anche da immagini, idee, pensieri, azioni a loro volta risultanti da tali processi. 24

Tale metafora fa capire che, quando si cerca di modificare i comportamenti organizzativi, in effetti, si cerca di cambiare qualcosa di molto più profondo e che abbiamo razionalizzato in maniera eccessiva il modo di comprendere le organizzazioni. Per quanto si possa far ricorso a misure di controllo rigide, non si riuscirà mai a liberare le organizzazioni da forze represse quali rabbia, aggressività, paura e odio. E’ inutile tentare di sviluppare culture aziendali favorevoli al cambiamento, se si ignora la dimensione inconscia della natura umana.

La metafora del cambiamento e della trasformazione. Le organizzazioni non sono sistemi statici, ma caratterizzati da diverse forme di dinamismo. Morgan attraverso questa metafora prende in considerazione quattro processi detti “logiche di cambiamento” che si trovano alla base delle organizzazioni in divenire.

1.

Logica dell’autopoiesi: autopoiesi deriva dal greco auto, ovvero se stesso, e poiesis, ovverossia creazione e indica la capacità dei sistemi caratterizzati da rapporti chiusi di autoriprodursi. Il sistema è determinato dall’insieme di rapporti e relazioni che un’organizzazione intrattiene. Attribuisce il cambiamento a modificazioni che avvengono all’interno del sistema che quindi si auto determina.

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2.

Logica del caos e della complessità: spiega in che modo i nuovi modelli organizzativi possono emergere da processi auto-organizzativi spontanei. Le relazioni all’interno di un sistema sono sia di natura ordinata che caotica, ciò crea interazioni multiple complesse. Un fattore casuale crea reazioni che spingono l’organizzazione verso un nuovo stato, quindi dalla casualità e dal caos emerge sempre un nuovo ordine coerente. Un evento che accade in un punto del mondo ha ripercussioni impercettibili nella politica, nell’organizzazione, nell’economia di un altro segmento culturale o organizzazioni. E’ stato definito l’”effetto farfalla”, se una farfalla muove le ali in Giappone, il movimento si ripercuote nell’aria e nella sua migrazione aumenta la propria energia che si scaricherà in un altro punto del mondo. Secondo Morgan nella gestione del cambiamento dei sistemi complessi è importante ripensare l’organizzazione, gestire e cambiare l’ambiente, sfruttare i piccoli cambiamenti sollecitando un effetto-farfalla positivo e vivere l’emergenza.

3.

Logica della casualità reciproca: si basa sui concetti del modello cibernetico per descrivere il cambiamento in termini di tensioni rintracciabili nelle relazioni di tipo circolare.

4.

Logica del cambiamento dialettico: interpreta il cambiamento come il prodotto di tensioni interne che rappresentano due stati contrapposti, ma entrambi desiderabili. Ogni cambiamento potenziale è ostacolato da elementi che spingono nella direzione opposta. Le modalità di integrazione risultano efficaci se si riformulano le contraddizioni in modo positivo.

La metafora del dominio. Le organizzazioni spesso sono utilizzate come strumenti di potere, al fine di mantenere gli interessi della élite a spese della maggioranza. Infatti, in ognuna di esse si possono sempre trovare casi in cui gli obiettivi di pochi vengono perseguiti con il lavoro di molti. Gli elementi caratterizzanti identificati da Morgan sono:

sfruttamento dei dipendenti: la loro vita è sacrificata a nome dell’organizzazione;

divisione delle organizzazioni in classi contrapposte: netta divisione tra proprietari, dirigenti e lavoratori;

ubriacarsi di lavoro; le condizioni di lavoro , le aspirazioni di carriera interagiscono con gli individui portandoli a determinati livelli di stress fisico e mentale.

Morgan, quindi, presenta una sistematizzazione, attraverso le sue metafore, delle teorie organizzative precedenti.