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La nostra fonte principale, Dione, in un breve quanto chiaro passo5, narra che nell’anno 6 d.C., a seguito di azioni di razzia, furono inviate nell’isola truppe sotto il comando di ufficiali dell’ordine equestre («[…] stratiwvtai~ te kai; stratiavrcai~ iJppeu`sin ejpitraph`nai»), tanto che per diverso tempo non si ebbero più senatori al governo della provincia «[…] w{ste th;n Sardw; mhd a[rconta bouleuth;n e[tesiv tisi scei`n»). Strabone, coevo ai fatti, ne era informato, se, come pare, il brano del V Libro della Geographia riferito alle operazioni di repressione contro le popolazioni locali è un aggiornamento della trattazione sulla Sardegna successivo al 6 d.C.6.

Dalla ridefinizione della geografia provinciale nella Gallia e in Iberia, nessuna provincia senatoria aveva necessitato di un cambio di status, tanto meno verso un’am- ministrazione equestre allora concessa al solo Egitto. Vi erano sì stati dei brevi inter- venti imperiali in province del popolo, manifestatisi con l’invio di ufficiali equestri (come in Cirenaica7o a Cipro, che fu sino al 22 a.C. sotto amministrazione imperia- le8), ma si era sempre trattato di parentesi temporanee. Sino a quel momento, l’utiliz- zo in chiave presidiale dell’ordine equestre era infatti stato promosso da Augusto in realtà distrettuali, limitato a zone di recente acquisizione, comunque poste sotto l’im- perium di un legatus9. Al contrario, la prefettura di Sardegna, che pure non fu piani- ficata10, portò per la prima volta, nella figura del praefectus provinciae Sardiniae, all’i- stituzione di un’amministrazione equestre all’infuori della valle del Nilo.

Quanto accadde nel 6 d.C. trae origine dal bellicoso rapporto fra Roma e gli indigeni dell’entroterra sardo. Non certo un problema nuovo, bensì una questione

5 Dio, LV, 28, 1: kajn toi`~ aujtoi`~ touvtoi~ crovnoi~ kai; povlemoi polloi; ejgevnonto. kai; ga;r lh/stai; sucna; katevtrecon, w{ste th;n Sardw; mhdΔ a[rconta bouleuth;n e[tesiv tisi scei`n, ajlla; stratiwvtai~ te kai; stratiavrcai~ iJppeu`sin ejpitraph`nai.

6 Strab., V, 2, 7 fa esplicito riferimento a degli strathgoiv inviati nell’isola.; in Strab., XVII, 3, 25, la Sardegna è invece ancora una provincia del popolo, cfr. BIFFI1988, pp. 47 ss. e BIFFI1999, p. 231

e per la redazione definitiva del V Libro della Geographia in una data compresa fra il 15 e il 18 d.C., LASSERRE1967, pp. 3 ss. Secondo LILLIU1991, p. 691, il riferimento di Strabone agli atti di pirate-

ria in Etruria e all’invio di strathgoiv romani nell’isola va riferito all’azione contro la pirateria medi- terranea condotta da Pompeo nel 67 a.C. L’ipotesi però non convince. Al di là dei tempi di edizio- ne della Geographia, la notizia sugli atti di pirateria e sulla risposta romana è chiaramente riportata come un atto in fieri e non relegato al passato. Non solo: il brano accerta sin dall’esordio che la Sardegna non è pacificata, tanto da necessitare l’invio in successione di diversi strathgoiv. È altre- sì chiaro che l’invio nel 6 d.C. di ufficiali equestri rispondeva all’aggravarsi di un problema perdu- revole di cui Strabone era certamente informato. Il fatto che altrove l’isola sia ancora considerata dal geografo una provincia del popolo, mentre qui si faccia menzione solamente di strathgoiv, è indi- cativo dell’attualità degli accadimenti narrati; da ultimo, a proposito, MELONI1993-1995.

7 Dio, LV, 10a e cfr. sotto, paragrafo 5.

8 CIL X, 7351, che nomina [---]ius Sex[ [---], pro [legato] Caesari[s] Cypri. La missione di questo pro

legato è da datarsi agli anni immediatamente successivi al 30 a.C. e deve considerarsi conclusa entro

il 22 a.C., cfr. Dio, LIV, 4, 1. Sul personaggio e sul titolo di pro legato, cfr. Capitolo 4. paragrafo 3. 9 Capitolo 3, paragrafo 4.

10 Cfr. sotto, paragrafo 5.

antica quanto la creazione della provincia11. Oltre a Dione e Strabone, fanno men- zione in modo diretto o indiretto di questi popoli, Pausania12, Silio Italico13, Solino14, Pomponio Mela15, Varrone, Cicerone, Livio; gli ultimi tre in diretto colle- gamento ai latrocinia del I secolo a.C. Una realtà così antica e così connessa alla dia- lettica interna alla Sardegna da divenire in talune descrizioni quasi ontologica all’iso- la stessa, un topos letterario: Diodoro Siculo, ad esempio, pone un’analogia così per- fetta fra Cartaginesi e Romani, fra prima e dopo (V, 30: «[…] perciò, quantunque i Cartaginesi ed i Romani spesso li abbiano inseguiti con le armi, non poterono mai ridurli all’obbedienza»; V, 15 «per quanto i Cartaginesi all’auge somma della loro potenza si facessero padroni dell’isola non poterono però ridurre in servitù gli anti- chi possessori della medesima […] anche i Romani, potentissimi per il vasto impero che avevano, avendo fatto loro spesso la guerra, per nessuna forza militare che impie- gassero poterono giungere a soggiogarli») da rendere evidente la natura irriducibile e, conseguentemente, l’immutabile rapporto di ostilità che questi popoli avevano dete- nuto con i conquistatori, di qualunque specie e in qualunque tempo. Un rapporto altalenante, in cui, fra momenti di tensione e altrettanti episodi di distensione, ave- vano convissuto le due anime dell’isola, quella legata allo sfruttamento del latifondo, la Romania, e quella più interna, caratterizzata dall’allevamento e dalla pastorizia, la Barbaria16. La storiografia, Livio in particolar modo, narra in tal senso di ripetute campagne, alcune delle quali quantomai impegnative, condotte dai Romani per oltre un secolo, nel 235, 234, 233, 231, 226-225, 216-215, 178 e nel 126 a.C.17.

A partire dalla seconda metà del II secolo a.C., tuttavia, come osservato da Pais18, il conflitto contro gli indigeni cessa di essere ricordato come bellum e va assu- mendo il carattere di repressione del brigantaggio (o almeno così fanno credere le fonti latine). Nel 104 a.C., il propretore T. Albucius celebrò di sua iniziativa un trionfo sulla Sardegna, poiché gli era stato rifiutato dal Senato l’onore della suppli- catio19. Cicerone20, stigmatizzando l’evento, affermò che, a differenza delle campa-

11 Sulla storia della Sardegna in età repubblicana, vedi ora con ampia bibliografia MASTINO2005,

pp. 63 ss. 12 Paus., X, 17, 5 e ss. 13 Sil. It., XII, 344, 361. 14 Sol., 46, 12 (14, 20).

15 Pomp. Mela, De Chorographia, II, 108.

16 Si veda a tal proposito gli atti del Colloquio dedicato alla nota Tavola di Esterzili, MASTINO

1993a; sull’argomento inoltre MASTINO1993b.

17 Sulle campagne di III e II secolo a.C. vedi diffusamente MELONI1988, pp. 454 ss.; ZUCCA1988,

pp. 354 ss.; MASTINO1993b, pp. 457 ss.; MASTINO2005, pp. 91 ss.

18 PAIS1999, p. 232.

19 Fu quindi accusato dai Sardi di concussione (de repetundiis); UGHI1996.

20 Cic., De prov. Cons., VII, 15: quod est primum dissimile, res in Sardinia cum mastrucatis latruncu-

lis a propraetore una cohorte auxiliaria gesta et bellum cum maximis Syriae gentibus et tyrannis con- sulari exercitu imperioque confectum.

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gne in Oriente, condotte contro re potenti e sotto la guida di un proconsole, le ope- razioni in Sardegna si limitavano all’utilizzo di una sola coorte di ausiliari impegna- ta contro dei mastrucati latrunculi, cioè dei briganti coperti di pelli di capra. Il rife- rimento a dei semplici latrocinia ritorna nel corso del I secolo a.C. nel breve luogo corrotto di Varrone21, quindi emendato dal Cichorius, dove si ricordano dei latro- cinia in Sardegna prope Ou<s>elim22.

Il quadro descritto lascia intendere che dopo il trionfo [ex Sa]rdinia 23 nel 177/176 a.C. ottenuto dal console Ti. Sempronio Gracco (il quale dedicò un’iscri- zione nel tempio della Mater Matuta celebrante le sue vittorie e menzionante la cifra di 80.000 Sardi morti o fatti prigionieri) 24, le operazioni condotte nell’isola fossero limitate ad azioni di polizia a bassa intensità. Nel I secolo a.C. non posse- diamo difatti notizia di alcuna rilevante attività militare in Sardegna. Cionondimeno, Livio, in riferimento ad una rivolta nel 181 a.C. degli Iliensi, pre- cisa che «gente ne nunc quidem omni parte pacata»25, confermando che in epoca augustea erano ben note delle civitates di fatto estranee al dominio romano, ancor- ché contenute e sorvegliate dall’ordinaria amministrazione proconsolare. Ciò è almeno quello che ci si aspetterebbe di credere in ordine alla decisione nel 27 a.C. di considerare comunque l’isola pacata, scelta che non può che essere maturata nello stato di cose presente allora.

Nel 6 d.C., per la prima volta dopo oltre un secolo, le fonti tornano a parlare di un bellum in Sardinia: Dione lo cataloga fra i povlemoi del tempo, mentre Strabone ricorda la strategia adottata dai Romani, dovuta in massima parte ad un nemico sfuggevole e ad un contesto ambientale ostico e malsano. Nel suddetto brano (LV, 28, 3), Dione sostiene che fra le molte guerre di quell’anno, egli cita solo quelle di maggior importanza («tav ge mh;n mnhvme~ tino;~ a[xia kefalaiwvsa~, plh;n tw`n megivstwn, ejrw`»), confermando indirettamente il rilievo assegnato alla questio- ne sarda e precisando che «allora i predoni («lh/staiv») avevano devastato diverse regioni, tanto che la Sardegna non ebbe più governatori senatori per diverso tempo» («kai; ga;r lh/stai; sucna; katevtrecon, w{ste th;n Sardw; mhdΔ a[rconta bouleuth;n e[tesiv tisi scei`n»)26.

Il termine «lh/staiv» può designare sia dei briganti sia dei pirati, benché, nel nostro caso, la parola abbia più il significato di «razziatori», dal momento che l’al- lusione «sucna; katevtrecon» fa forse riferimento alla coeva rivolta in Giudea del 6 d.C.27e al bellum Gaetulicum28. Detto questo, Dione avrebbe potuto sottintende-

21 Varro, De re rust., I, 16, 2. 22 CICHORIUS1922, p. 205.

23 Insc. It., XIII, 1, pp. 80 ss. 24 Liv., XLI, 28, 8 ss. 25 Liv., XL, 34, 13. 26 Dio, LV, 28, 1. 27 SWAN2004, p. 189.

28 Nel 6-8 d.C. cfr. paragrafo 5.

re con lh/staivtutte le forme di razzia, sia terrestre che marittima, dal momento che nel testo non si fa riferimento ad un contesto specifico. Più particolareggiato risul- ta il resoconto del coevo Strabone29, secondo cui il territorio di Pisa ed il braccio di mare antistante la Corsica sarebbero state la zona d’azione di gruppi di pirati, i quali provenivano dai medesimi populi che promuovevano i latrocinia nell’isola. Sebbene il geografo sia l’unico autore che associ direttamente i montanari sardi ai corsari del Tirreno, la contemporaneità agli eventi e la menzione generica dei lh/staivin Dione lasciano presagire una connessione, quantomeno cronologica, fra pirateria tirrenica e brigantaggio sardo30.

Sulla scorta del passo straboniano, si potrebbe supporre che piccole navi corsa- re muovessero dalle calette nascoste della costa orientale dell’isola nelle attuali Baronie e Ogliastra, sovrastate dai Montes Insani31oppure, con Pais32, ipotizzare che i montanari-pirati siano da identificare con i Corsi della Gallura, di remota origine ligure, operanti nella parte settentrionale e nord-orientale della Sardegna, a ridosso dell’intrico di isolette presso lo stretto di Bonifacio33. In questo caso, è ipotizzabile che tali popolazioni, prossime ad oriente alla fertile Romania (oggi Romangia) del territorio della colonia di Turris Libisonis34, e ad occidente a quello di Olbia35, si ado- perassero in attività di razzia delle messi degli agri cittadini e di pirateria lungo le rotte

29 Strabo, V, 2, 7.

30 La pirateria lungo le coste della Sardegna era peraltro nota allo Stato romano anche in tempi rela- tivamente recenti, come attesta il soggiorno nell’isola di Pompeo, che nel 67 a.C. vi si recò per rafforzarne le guarnigioni in seno al bellum piraticum; Cic., De imp. Cn. Pompei, 34.

31 LILLIU1991, pp. 692 s. 32 PAIS1999, pp. 241 e 249.

33 RUGGERI1999, pp. 107 ss.; sulle isole circumsarde nell’antichità ZUCCA2003.

34 Sulla colonia di Turris Libisonis cfr. BONINU-LEGLAY-MASTINO1985; ZUCCA2005, pp. 273 ss.

35 Il nome dell’agro circostante a Turris Libisonis, Romania, consente di circoscrivere un ambito geografico caratterizzato culturalmente come il più «romano» dell’isola, tanto da lasciare trac- cia evidente anche nella denominazione di una curatoria: il termine Romania (oggi Romangia) compare già pienamente documentato nel Condaghe di San Pietro di Silki, con riferimento ad un’area circoscritta che potrebbe conservare il nucleo delle assegnazioni terrie- re ai coloni di Turris Libisonis; MASTINO2002. Quanto ad Olbia, la città era a capo di un’im-

portante rete viaria che la congiungeva al suo retroterra e alle altre città sarde: MELONI1953,

pp. 42 ss. ed ora MASTINO1995, pp. 333 ss. con ampia bibliografia; dalle indagini sul terri-

torio, l’agro di Olbia era in età repubblicana altamente parcellizzato; PANEDDA1954; con un gran numero di fattorie al centro di tenute di modeste estensione; SANCIU1997. Rilevante ai

nostri fini, è che questo sistema pare entrare in crisi nel tardo I secolo a.C., tanto che i suc- cessivi insediamenti imperiali nascono in altri luoghi; SANCIU1998, pp. 790 ss.: ciò sarebbe

per alcuni da ricondurre al corrotto e citato passo varroniano; MASTINO1994, pp. 164 s.; PITTAU1994, pp. 125 s.; si apriva quindi una nuova fase caratterizzata dai noti latifondi

appartenenti alla dinastia Giulio-Claudia, il cui nucleo originario è da far risalire ad Augusto stesso; RUGGERI1996.

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dei due rispettivi importanti porti36. Un passo di Pausania37narra che i Balari, allea- ti ai Cartaginesi al momento della conquista dell’isola, entrarono in contrasto con i conquistatori e, disertato dall’esercito cartaginese, si rifugiarono nelle montagne, da cui in lingua corsa Balari significherebbe «esuli» (nel senso di disertori, perfugae). Ora il rinvenimento di un cippo terminale in Gallura, e posto da un praef(ectus) provin- ciae della prima metà del I secolo d.C. consente di fissare le sedi dei Balari nella Sardegna centro-settentrionale38. Secondo Zucca, quindi, «il racconto potrebbe testi- moniare una seriorità della formazione politico-cantonale del populus dei Balari, forse enucleatosi da quello dei Corsi»39. La strategica collocazione del campo ausiliario di Luguido, costruito in età augusteo-tiberiana, muove a favore del riconoscimento di questo settore come zona di interesse militare40.

La zona di cui è altresì certa un’intesa attività di controllo negli anni successivi al 6 d.C. è la Sardegna centro-orientale, l’antica Barbaria, sede degli Ilienses. Livio41 narra che nel 178 a.C. quest’ultimi, alleati con i Balari, invasero quella che nel luogo liviano è definita provincia pacata, cioè il retroterra della città dove era maggiormen- te diffusa la cerealicoltura. Dopo aver devastato gli agri seminati a grano, l’attenzio- ne degli indigeni si indirizzò verso le città costiere, cosicché i legati delle stesse chie- sero a Roma di intervenire.

Quanto accadde sotto Augusto non dovette differire di molto dalla cronaca liviana, benché la messa in opera di una risposta tanto risoluta, in relazione al basso profilo tenuto da Roma in Sardegna nel I secolo a.C., porta a credere che gli atti di

36 È noto che in Sardegna una delle fonti di maggiore ricchezza era rappresentata in età imperiale da una combinazione di iniziative commerciali marittime e di proprietà agraria di tipo latifondi- stico. Il rilievo del porto di Turris Libisonis in seno all’annona urbana è testimoniato dalla men- zione dei navicularii Turritani ad Ostia. Il controllo doganale del porto di Turris Libisonis (la ripa

turritana), ricordato in due distinte iscrizioni della colonia, era affidato a procuratori ed a liberti

imperiali, che si occupavano della riscossione dei diritti doganali e della custodia delle merci in transito. Per quanto riguarda il porto di Olbia (RICCARDI2002) se ne ricorda l’importanza per

l’imbarco di derrate alimentari: nel 56 a.C., il fratello di Cicerone, Q. Tullius, si trattenne ad Olbia come legato di Pompeo per collaborare alle operazioni di vettovagliamento dell’Urbe e dell’Italia; Cic., Ad Q. fratrem, II, 3, 7; 4, 7; 6, 1 e 2; Pro Scauro, XVII, 39; è stato inoltre sup- posto che i navicularii di Olbia comparissero anche nel piazzale delle corporazioni di Ostia: PISANU1996, pp. 500 ss.

37 Paus., X, 17, 5. 38 S, n. 2.

39 ZUCCA1988, p. 355.

40 Cfr. paragrafo 3.

41 Liv., XLI, 6, 5: eodem tempore et in Sardinia magnum tumultum esse litteris T. Aebuti praetoris

cognitum est, quas filius eius ad senatum attulerat. Ilienses adiunctis Balarorum auxiliis pacatam pro- vinciam invaserant, nec eis invalido exercitu et magna parte pestilentia absumpto resisti poterat. eadem et Sardorum legati nuntiabant orantes, ut urbibus saltem † iam enim agros deploratos esse † opem senatus ferret.

pirateria ed i latrocinia avessero riscosso allora un effetto di gran lunga più gravoso che non in altri tempi; è in tal senso lecito ipotizzare che la concomitanza di razzie, terrestri e marittime, concorresse nel diminuire il maggior apporto che l’economia provinciale offriva alla Stato romano, l’annona, in un momento particolarmente delicato per l’Urbe.

Il 6 d.C. non fu un anno qualsiasi, quanto piuttosto un momento eccezional- mente tormentato42. La seditio pannonica aveva creato un vero e proprio shock nella capitale, tanto che Augusto andava affermando in Senato che in dieci giorni il nemi- co avrebbe potuto raggiungere l’Urbe; inoltre, la strategia della terra bruciata messa in atto dagli insorti costrinse l’autorità romana a dirottare la maggior parte dei vetto- vagliamenti al mantenimento delle truppe sul fronte renano e danubiano, che al tempo contava circa 100.000 uomini43. A ciò si aggiunse nello stesso anno una seve- ra carestia; la situazione divenne tanto critica che Augusto ordinò l’evacuazione da Roma di tutti i peregrini (con l’eccezione di medici e insegnanti) e nell’8 d.C. o poco dopo, affidò definitivamente la cura annonae ad un prefetto44.

In questa situazione, concordemente descritta dalle fonti di assoluta emergen- za annonaria, il grano sardo, che prima della conquista dell’Egitto costituiva una rile- vante parte dell’annona45come ricordato da Varrone46e Cicerone47, acquistò vero- similmente un’importanza crescente, dettata in primo luogo dalla rapidità di traspor- to che ne garantiva un’immediata distribuzione nei mercati di Roma48.

L’annona sarda, d’altra parte, aveva risolto diverse situazioni di emergenza, sia nei secoli precedenti (nel 212, 203, 202 a.C.49, quindi nella guerra contro Antioco III50, e contro Perseo nel 171 a.C.51), sia in tempi assai più prossimi alle vicende qui analizzate. Nel I secolo a.C. la Sardinia viene citata a più riprese nei momenti di dif- ficoltà annonaria: oltre alla ricordata visita nel 67 a.C., in occasione di una grave care-

42 Sulla nomina nel 6 d.C. extra sortem dei proconsoli di tutte le province del popolo, cfr. paragrafo 5. 43 KIENAST1982, pp. 142 ss.

44 Dio, LV, 26, 1; cfr. Suet., Aug., 42, 3: magno vero quondam sterilitate ac difficili remedio cum vena-

licias et lanistarum familias peregrinosque omnes exceptis medicis et praeceptoribus partimque servi- tiorum urbe expulisset, ut tandem annona convaluit, impetum se cepisse scribit frumentationes publi- cas in perpetuum abolendi, quod earum fiducia cultura agrorum cessaret; Eus., Chron., p. 170, 13-

14 (Helm); PAVIS D’ESCURAC1976, pp. 26 s.; GARNSEY1988, pp. 220 ss.

45 MARASCO1992; ROWLAND1994; COLAVITTI1996; MASTINO2005, pp. 164 ss.

46 Varro, De re rust., II, praef. 3: frumentum locamus qui nobis advehat, qui saturi fiamus, ex Africa

et Sardinia, et navibus vindemia condimus ex insula Coa et Chia. Sulla mancanza della menzione

della Sicilia, cfr. MARASCO1992, pp. 651 ss.

47 Le province di Africa, Sicilia e Sardegna costituivano i tria frumentaria subsidia rei publicae; Cic.,

De Imp. Cn. Pompei, 12, 34.

48 RICKMAN1980, pp. 106 ss.; MARASCO1992, pp. 651 ss.

49 Liv., XXV, 20, 3; XXIX, 36, 3; XXXXVI, 24, 5; XXXVII, 36, 2 e 38, 5. 50 Liv., XXXVI, 2, 12; XXXVII, 2, 12; XXXVII, 50, 10.

48 Davide Faoro

stia a Roma e in Italia, Pompeo si recò nuovamente nell’isola nel 57 e 56 a.C. per organizzare più efficacemente le operazioni di vettovagliamento verso l’Urbe52; nel 46 a.C., durante il bellum civile, fu la volta di Cesare, che chiese insistentemente grano alle città dell’isola53. Il grano di Sardegna è ricordato altresì nel 4254e nel 40- 38 a.C. per il perdurare della minaccia piratica di Sesto Pompeo55.

Il prezioso contributo dell’annona sarda nei difficili momenti delle guerre civi- li riecheggia poi in un carme oraziano (composto intorno al 28 a.C. dalla menzione del tempio di Apollo Palatino), in cui si fa riferimento alle «optimae Sardiniae segre- tes feracis»56. Ancora per i primi decenni del V secolo d.C., infine, si può ricordare la lettera di Paolino da Nola, con la quale si raccomandava il navicularius Secundiniano, che aveva perso il carico di grano e la nave a causa di un fortunale: l’armatore aveva deciso di inviare il bastimento, «vi publica urgente», per soddisfare la pressante richie- sta di frumento nella capitale57.

Se le fonti sono concordi nel ricordare l’importanza del grano di Sardegna in vari momenti critici del I secolo a.C., non possiamo dimenticare che Strabone in età augustea associava esplicitamente la perdita delle ampie possibilità annonarie sarde alla mancata pacificazione dell’isola58. Non conosciamo l’entità esatta dell’an- nona prodotta nell’isola; sappiamo però che la decima siciliana ammontava al tempo di Verre a 3 milioni di moggi: considerando la decima sarda circa un terzo di quella siciliana, si arrivava comunque alla ragguardevole cifra di 1 milione di moggi (9 milioni di litri). Già per l’età repubblicana, si calcola una produzione complessiva di oltre 10 milioni di moggi, pari ad 87 milioni di litri; il grano sardo