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renza del principe verso quest’ultimo orientamento si manifestò sin da subito6. La divisione, per quanto necessariamente osmotica7, fra Senatus ed ordo equester8ebbe come logica conseguenza la separazione di competenze e di prerogative fra i due ordi- nes. Il Senato mantenne il governo provinciale e la quasi totalità degli incarichi ammi- nistrativi antichi e nuovi, mentre pochi cavalieri, elevati dal principe, poterono ambi- re a ruoli di interesse pubblico9.

La grande innovazione augustea consisté nel porre le basi di un processo poli- tico e sociale che, nell’arco di alcuni decenni, avrebbe visto l’accrescersi qualitativo e quantitativo dei cavalieri nell’amministrazione dell’Impero. Un iter lungo che ebbe con Claudio un importante momento di accelerazione, ma che ancora alla fine del I secolo d.C. vedeva gli incarichi concessi ai cavalieri di gran lunga inferiori per prestigio e numero a quelli assegnati ai senatori10. Anticipare questa realtà è un grave anacronismo11. Si stima infatti che alla fine del principato di Augusto vi fossero più o meno trentacinque posti permanenti destinati a funzionari equestri: un’inezia rispetto a quelli riservati all’ordine senatorio nei medesimi anni12. Fra questi, l’uni- co posto al governo guida di una provincia era la prefettura d’Egitto, in un’epoca in cui l’attività amministrativa equestre extraurbana era pressoché esclusivamente limi- tata all’ambito finanziario o patrimoniale13.

Se per un verso la prefettura d’Egitto fu il primo e più evidente frutto istitu- zionale delle guerre civili, dall’altro essa fu solo un aspetto di un compromesso poli- tico ben più ampio. Più di quattro decenni dopo il trionfo su Cleopatra, Augusto teneva ancora a sottolineare che «nullum magistratum contra morem maiorem dela- tum recepi»14, in rispetto di una formula istituzionale che intendeva apertamente dichiararsi in linea ai modelli repubblicani15. Le innovazioni in ambito provinciale furono senza dubbio notevoli, ma, come in altri settori della pubblica amministra-

6 ECK1991, pp. 73 ss.

7 Cfr. DEMOUGIN1982.

8 Sulla riduzione degli effettivi del Senato sotto Augusto, cfr. CHASTAGNOL1992, pp. 23 ss.; sulla

recognitio equitum nei medesimi anni, DEMOUGIN1988, pp. 156 ss.

9 Cfr. AE 1976, 653 = AE 1978, 789 = AE 1989, 727: l. 19: […] equiti Romano cuius officio prin-

ceps optimus utitur […] (epoca tiberiana). 10 Cfr. Capitolo 5.

11 Cfr. ECK1987a.

12 ECK1986, pp. 105 ss.

13 Alla fine del principato augusteo si ritiene che vi fossero otto procuratori finanziari (provinciae

Caesaris) (cfr. PFLAUM1974, p. 9 ss. e ECK1986) e fra i dieci e i dodici procuratori patrimoniali

(res Caesaris nelle provinciae populi Romani) (cfr. BURTON1993). Nello specifico, sui procuratori

finanziari della Siria, cfr. GRANINOCECERE-MAGIONCALDA2003; ECK-COTTON2009; sui Fasti

procuratori delle province iberiche, cfr. LEFEBVRE2006; sui procuratori delle Gallie e delle

Germanie, cfr. DEMOUGIN1998.

14 Res Gestae, 6.

15 Cfr. Suet., Aug., 26, 1; Dio, LII, 41,1; LIII, 17, 11.

zione, seguirono «la massima di non introdurre nulla di completamente nuovo, ma di usare antichi istituti della repubblica per far sorgere inosservatamente dalla loro unione fin allora inusitata ciò che era realmente nuovo»16. E così ritroviamo tale assunto nella natura intima della prefettura d’Egitto, come nell’impianto di delega dell’imperium ai legati pro praetore.

L’anno 27 a.C. risulta decisivo in seno alla formulazione del nuovo Stato, ancorché non si debba parlare di «rechtliche Teilung der Herrschaft, sondern eine politische Pazifizierungsmassnahme»17. Lo statuto d’Egitto è non a caso precedente a questa data. La genesi di questa nuova figura presidiale è in parte corrispondente al passaggio dall’Ottaviano dux e triumvir dell’estate 30 a.C. al restitutor rei publicae di tre anni dopo: tanto autocratica fu la scelta di porre un proprio accolito al governo di un’importante provincia, tanto restitutiva, almeno nella forma, fu l’approvazione di una lex popolare per sancirne la legittimità.

È probabile che nei primi momenti la posizione ottenuta da Gaio Cornelio Gallo apparisse al Senato come uno strumento di pressione politica. La scelta di Ottaviano non aveva precedenti a questi livelli e avrebbe potuto costituire la premessa di una svol- ta istituzionale di natura «cesariana». Se in Egitto, il bottino, l’annona e la volontà di evitare ab origine ogni eventuale, possibile, nuova sedizione erano buoni motivi nel breve come nel medio periodo18, per il lungo ve ne erano altrettanti a Roma, in seno ad un compromesso politico che passava necessariamente attraverso la riconferma del ruolo istituzionale che la tradizione repubblicana assicurava ai soli togati laticlavi.

Diciotto mesi dopo il ritorno del divi filius, in occasione dell’inevitabile ricom- posizione fra il vincitore della guerra civile ed il Senato, era indispensabile che l’Egitto non potesse costituire il precedente da cui trarre esempio per la messa in opera del nuovo corso. A meno di non compromettere sin da subito l’ambita concordia ordi- num. Nel delicato equilibrio dei poteri, Ottaviano doveva necessariamente rassicura- re l’assemblea dei patres in merito al ruolo che questa avrebbe svolto nel nuovo siste- ma, il quale, ancorché non più d’esclusiva competenza senatoriale, non poteva che esserle ancora largamente favorevole.

Tornando alle parole di Dione19, lo storico narra che, dopo aver motivato il con- trollo diretto di alcune province, l’intenzione di concedere ai soli senatori il governo di entrambe le classi di province, tranne l’Egitto (per il quale era già stata promulgata una legge specifica), fu la prima cosa, «prw`ton», che Ottaviano, appena nominato Augusto, dichiarò dinanzi al Senato. Si trattava perciò del primo provvedimento all’interno delle norme ratificate dal senatus consultum del gennaio 27 a.C. Tale soluzione non era per- tanto solo destinata a definire un orientamento generale, quanto piuttosto un impegno politico che Augusto assumeva a garanzia della restitutio rei publicae.

16 VONSAVIGNY1886, p. 533.

17 ECK1986, p. 107.

18 Capitolo 2, paragrafo 3. 19 Dio, LIII, 13,2.

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Il timore del Senato era in primo luogo rivolto al destino istituzionale delle nuove province imperiali, il cui unico esempio esistente all’epoca era l’Egitto con la sua rivoluzionaria prefettura. Chiara, perciò, la necessità da parte del principe di pre- cisare innanzitutto che la dignitas richiesta per il governo provinciale sarebbe rimasta quella senatoria per qualunque tipo di provincia. Ancora ai funerali di Augusto, nel- l’orazione pubblica, votata per decreto, che, sempre secondo Dione, Tiberio pronun- ciò dai rostri, si richiamava fra le righe la scelta augustea di assicurare il governo pro- vinciale come una prerogativa del ceto senatorio20.

In quegli stessi anni, Strabone scriveva della divisione dei poteri all’interno dell’Impero21, offrendoci un resoconto coevo alla realtà descritta22. Il geografo for- nisce una lista delle province del popolo; a seguire, afferma che «tutte le altre pro- vince appartenevano a Cesare, il quale, in alcune inviava uomini di rango consola- re, in altre uomini di rango pretorio, in altre ancora uomini di rango equestre». Comparando il passo con il brano dioneo, si dovrebbe concludere che, nel tempo intercorso fra il 27 a.C. e i primi anni di Tiberio, il sistema fosse in parte mutato, favorendo il ceto equestre, oramai svincolato dalla sola prefettura d’Egitto in dire- zione di una più ampia affermazione nel panorama provinciale romano. Un’informazione che, se genuina, comporterebbe più di una domanda. Augusto smentì la scelta assunta nel 27 a.C. davanti al Senato? Per quale motivo? Cos’era mutato? O fu Tiberio a contribuire a questa rivoluzione?

La risposta, al primo quesito, è negativa. Al momento non è infatti attestato, tranne che per la Sardinia, alcun praefectus provinciae extraegiziano a capo di una nuova provincia equestre, né sotto Augusto, né sotto Tiberio. L’unica importante anomalia, la Sardegna, è l’eccezione che conferma la regola e non può essere esempio di un mutato atteggiamento. L’antica provincia tirrenica ebbe infatti in sorte una vicenda istituzionale quantomeno peculiare, che, nei primi tempi di Tiberio e dopo un decennio di amministrazione straordinaria, la vide protagonista di un mutamen- to di status unico nella storia delle istituzioni altoimperiali: da provincia pubblica a provincia imperiale equestre. Un evento tanto eccezionale da richiedere un percorso legiferativo modellato sulla falsariga della prefettura egiziana23.

20 Dio, LVI, 40, 2-3.

21 Strab., XVII, 3, 25: Ta;~ de; a[lla~ ejparciva~ e]cei Kai'sar, w|n eij~ a}~ me;n pevmpei touv~ ejpi- melhsomenou~ uJpapikou;~ a[ndra~ eij~ a}~ de; strathgikouv~ eij~ kai; a}~ de; kai; iJppikouv~ kai; basilei'~ de; kai; dunavstai kai; dekarcivai th'" ejkeivnou merivdo" kai; eijsi; kai; ujph'rxan ajeiv.

22 La definitiva redazione dell’opera straboniana è datata dalla filologia moderna ai primi anni del principato di Tiberio; cfr. Capitolo 4, paragrafo 1.

23 Negli ultimi anni di Augusto, sappiamo che la Sardinia era straordinariamente governata da un

pro legato equestre di nomina imperiale, inviato pro tempore nell’isola per far fronte a dei torbidi

interni. Nel passo citato sopra, Strabone pone la Sardegna ancora fra le province del popolo, ma questo particolare non inficia la cronologia del brano, dal momento che in un altro passo della

Per quello che ci è dato conoscere, nel periodo compreso fra il 27 a.C. ed il 37 d.C., non vi fu la creazione di nessuna provincia retta statutariamente da un cava- liere. Sottolineo l’avverbio «statutariamente», poiché, anche quando al principe venne chiesto di intervenire in una provincia pubblica attraverso la nomina di un cavaliere con funzioni presidiali, come nel caso della Sardinia o della Cirenaica, l’e- videnza documentaria suggerisce che tali interventi fossero finalizzati al ripristino di un livello di pax interna tale da prefigurare il ritorno all’amministrazione senato- ria24: un ulteriore e decisivo indizio in favore del mantenimento della formula pro- vinciale sancita nel 27 a.C.

Escludendo le province pubbliche, nelle quali un intervento imperiale non poteva che essere straordinario, nelle rimanenti province imperiali la situazione non evidenzia nulla che possa avvalorare l’affermazione di Strabone. In seno a vaste regio- ni di pertinenza imperiale, quali la Gallia, l’Iberia e la Pannonia, si assiste alla nasci- ta di estese province legatarie con una o più legioni stanziate25. Tali province si esten- devano su ampi territori, abbracciando popolazioni di diversa etnia. Per ragioni non sempre evidenti, all’interno di quest’ultime venivano stanziati degli ufficiali equestri con compiti di controllo distrettuale. Tali ufficiali, centurioni, primipili o tribuni, prendevano il medesimo titolo che già in epoca repubblicana caratterizzava questi particolari incarichi presidiali, quello di praefectus26.

Ad un’analisi più dettagliata, in Occidente si ebbe una ridefinizione della geo- grafia provinciale in Gallia Comata (16-13 a.C.), con la conseguente assegnazione del governo a legati imperiali. Al momento, non vi è nessuna risultanza del disloca- mento di ufficiali equestri con compiti presidiali. In Iberia, la decennale campagna condotta fra il 29 ed il 19 a.C. aveva portato alla pacificazione dei riottosi popoli del nord-ovest della penisola. Augusto lasciò al legato consolare della Hispania Citerior una vasto territorio e tre legioni. Nella nuova provincia27 confluirono le regioni che furono al centro della guerra cantabrica, l’Asturia e la Callaecia. In una data precedente al 10 d.C., è testimoniato un cavaliere28con il titolo di praefectus Asturiae, quindi con autorità su un territorio che era parte integrante della suddet- ta Hispania Citerior29.

Geographia (V, 2, 7), Strabone parla di stratiarchi inviati contro i Barbari del centro dell’isola;

più estensivamente sul mutamento di status della provincia tirrenica Capitolo 4, paragrafo 1. 24 In quegli stessi anni in Cirenaica fu mandato, a causa di incursioni di tribù nomadi, un tribuno

della guardia pretoria con funzioni presidiali; l’amministrazione straordinaria equestre durò alcu- ni anni; Capitolo 2, paragrafo 5.

25 Cfr. LAFFI1976.

26 Capitolo 2, paragrafo 2.

27 Sulla controversa cronologia della costituzione delle province ispaniche, se nel 27 a.C. o in una data prossima al 13 a.C., ALFÖLDY2001.

28 Sotto paragrafo 2, n. 8. 29 Sotto paragrafo 5.1, a.

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La conquista e la sottomissione della Germania, grazie alla quale era sorta una provincia30, svanì a seguito della clades variana. Sul Reno rimasero due legati conso- lari a capo di distretti militari, la cui elevazione formale a statuto di provincia si ebbe solo con Domiziano31. Propedeutica alla conquista della Germania transrenana, la campagna di sottomissione delle Alpi centro-orientali, culminata nel 15 a.C.32, aveva portato di fatto, come ricordato dal trofeo di La Turbie33, tutte le popolazioni alpine sotto la sovranità di Roma; ma né l’iscrizione posta nel suddetto monumento34, né il passo relativo delle Res Gestae35, né alcun altro documento citano la deduzione di province nell’arco alpino a seguito della campagna di conquista. Le Alpi centro- orientali, oltre alla Rezia e alla Vindelicia, erano infatti divise fra Alpi Marittime, Alpes Atrectianae, Alpi Cozie e Vallis Poenina (unita con la Rezia). Si trattava di pic- cole circoscrizioni, entro le quali dimoravano popoli indigeni, articolati secondo una divisione cantonale basata su strutture sociali tribali. I Romani li identificavano come civitates. A capo di alcune di queste popolazioni vi era un rex, Cottius, il quale venne autorizzato da Augusto a regnare in vece di Roma, assumendo la cittadinanza roma- na e il titolo di praefectus civitatum36. La posizione di questo notabile chiarisce lo sta- tus di un regno cliente assegnato alle Alpi Cozie. Egli tuttavia si fregia del medesimo titolo portato dei funzionari allogeni inviati negli distretti alpini, come testimoniato in Rezia nei primi anni di Tiberio, allorché era attivo un praefectus Raetis Vindolicis et Vallis Poeninae37. Strabone osserva che in età augustea «i Liguri della montagna sono sottoposti ad un ufficiale di rango equestre, u{parco" tw'n iJppikw'n ajndrw'n38. L’epigrafia ci fa conoscere la titolatura di uno di questi cavalieri, Baebius Atticus, prae- fectus civitatum in Alpibus Maritumis39.

Nell’Illirico, l’evidenza epigrafica conferma quanto riscontrato per l’arco alpino. A seguito delle campagne di Tiberio, al fine di controllare più da vicino le turbolente popolazione balcaniche, abbiamo testimonianza di una serie di civitates40al cui control- lo vennero delegati per tutto il I secolo d.C. dei prefetti41. Più a sud, lungo il Danubio, in quella che diverrà più tardi la provincia di Mesia, in epoca tiberiana fu posto come praefectus alle civitates indigene C. Baebius Atticus (n. 4) che già in passato aveva occu- pato la medesima posizione nei confronti delle popolazioni delle Alpi Marittime.

30 ECK2004. 31 ECK1985, pp. 148 ss. 32 ZANIER1999. 33 S

ˇ

ASˇEL1972. 34 CIL V, 7817. 35 Res Gestae, 26. 36 LETTA1999. 37 Sotto paragrafo 2, n. 2.

38 Strab., IV, 6, 4; su questo passo cfr. sotto, paragrafo 5. 39 Sotto, paragrafo 2, n. 1; sul brano cfr. paragrafo 5. 40 Sotto, paragrafo 5.4, h, i, l, k.

41 Sotto, paragrafo 2, nn. 3, 5, 6, 7.

In Asia Minore le fonti letterarie aumentano; purtroppo solo in una certa dire- zione e non parallelamente a quelle epigrafiche. Nel settore, l’unica provincia certa- mente creata da Augusto fu la Galazia. Come e più che in Iberia e sul Reno, in Oriente la provincia di Siria con le sue tre quindi quattro legioni costituiva il fulcro del potere romano. Attorno ad essa, escludendo l’Egitto, non vi erano province lega- tarie, né altre legioni. La provincia era attorniata a sud e nord da etnarchi e regni clienti: la montuosa Cappadocia, la piccola Giudea, con altri territori della regione palestinese, e le modeste Commagene e Decapoli. Da Strabone42apprendiamo che il suddetto regno di Commagene, un territorio a nord-est della Siria, fra la Cilicia, la Cappadocia e l’Armenia, in occasione della missione di Germanico in Oriente, «nu'n dΔejparciva gevgone». Per il geografo, dunque, Commagene era un’ejparciva, una pro- vincia imperiale, laddove la dottrina moderna riconosce un territorio annesso alla provincia di Siria43. Nello stesso anno, si ebbe la provincializzazione della Cappadocia; secondo la storiografia del secolo scorso una provincia autonoma retta da un cavaliere. Purtroppo non possediamo che poche informazioni letterarie, la maggior parte successive al momento dell’annessione44, mentre non vi è alcun docu- mento epigrafico risalente alla prima metà del I secolo d.C. Le analogie fra il regno di Cappadocia e quello di Commagene, nel 17 d.C., suggeriscono tuttavia che Germanico avesse operato nei due regni clienti secondo i medesimi criteri adottati nel limitaneo regno orontide, assicurando la Cappadocia all’Impero tramite un pre- fetto sottoposto al legato di Siria45, come peraltro confermato dall’attestazione di un praefectus Commagenis d’epoca tiberiana46.

A questo punto, sorge il sospetto che mentre il coevo Strabone, considerando la Commagene una provincia a sé stante, abbia anche altrove ritenuto provinciae Caesaris dei territori che in realtà erano parte di una circoscrizione amministrativa più ampia, autori successivi abbiano anacronisticamente proiettato all’epoca augu- steo-tiberiana la realtà provinciale dei loro giorni. Appellandosi alle fonti epigrafi- che, le quali indubbiamente hanno il privilegio di constatare la realtà più che di interpretarla, si pone dunque tale quesito: lo straboniano «u{parco" tw'n iJppikw'n ajn- drw'n» delle Alpi Marittime, in realtà il praefectus civitatum in Alpibus Maritumis, differisce o meno dal coevo praefectus Commagenis e, questi, a sua volta, è istituzio- nalmente prossimo al praefectus Asturiae?

La questione, nella cui risposta è contenuta la soluzione sulla forma istituziona- le di questi territori, è risolvibile grazie alla possibilità di riconoscere in queste figure

42 Strab., XVI, 2, 3: Kaqovlou me;n ou{tw, kaqΔ e{kasta de; hJ Kommaghnh; mikrav tiv" ejstin: e[cei dΔejrumnh;n povlin Samovsata ejn h|/ to; basivleion uJph'rce, nu'n d/Δejparciva gevgone.

43 Cfr. sotto, paragrafo 5.5.

44 Tac., Ann., II, 42; Suet., Tib., 37, 4; Suet., Gaius, 1, 2; Dio, LVII, 17, 3; Eutrop. VII, 11; Aur. Vict., Caes., 2, 3; Aur. Vict., Epit. de Caes 2, 8.

45 Cfr. sotto, capitolo, paragrafo 5. 46 Sotto, paragrafo 2, n. 12.

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una vasta gamma di caratteristiche comuni. Se infatti, ad oggi, in pochi nutrono dubbi sul fatto che le Alpi Marittime non fossero al tempo una provincia, molti di più ne hanno, non tanto sulla citata Commagene, quanto in ordine ad una realtà che ne fu a quel tempo prossima, la Giudea. Si trattava infatti di un piccolo regno clien- te, che, come la Commagene, prima fu annesso all’Impero e dopo qualche decennio tornò ad essere formalmente indipendente47.

In Giudea, come è noto, è testimoniato in epoca tiberiana un praefectus Iudaeae (n. 10). A differenza degli altri Stati satelliti dell’Oriente d’inizio I secolo d.C., per il fluttuante territorio del deposto etnarca Archelao possediamo la più ampia trattazio- ne che il mondo romano ci abbia trasmesso sulla storia di una singola regione e di un singolo popolo, l’opera di Flavio Giuseppe48. Una sola iscrizione coeva a fronte di un’imponente mole di notizie letterarie di quasi un secolo successiva agli avveni- menti. Un evidente squilibrio documentario che in dottrina si è tradotto, come in altri casi simili, in un’eccezione istituzionale.

Nella storiografia moderna l’interpretazione delle vicende politiche del mode- sto territorio che i Romani chiamavano al tempo Iudaea è per certi versi paragonabi- le a quanto abbiamo detto a proposito dell’Egitto augusteo e alto imperiale; una gran quantità di fonti letterarie posteriori al momento originario dell’annessione ha avuto l’effetto di relegare la Iudaea in un particolarismo amministrativo, a metà strada fra provincia, distretto semiautonomo o, come ha scritto Fabbrini49, uno status interme- dio fra prefettura autonoma e prefettura annessa, per quanto possa valere tale asser- zione. E così varie, così contraddittorie sono state e sono le opinioni fra gli studiosi passati e presenti, spesso corrette più volte50, che viene da chiedersi se il «caso Giudea» non sia piuttosto un problema appartenente in modo esclusivo alla sfera della storia degli studi. In altre parole, ci si chiede quanti, ancor oggi, senza le con- traddittorie pagine di Flavio Giuseppe e con la sola attestazione epigrafica di un prae- fectus Iudaeae, punterebbero sulla diversità istituzionale del praefectus Iudaeae rispet- to al coevo praefectus Asturiae.

È notevole constatare quale sia stato il mutamento, ben inteso parziale51, che vi è stato nella dottrina scientifica di fronte alla scoperta della nota iscrizione di

47 Da ultimo ECK2007a.

48 Cfr. EDMONDSON-MASON-BOYKINRIVES2005.

49 FABBRINI1974, p. 262.

50 Pflaum mutò opinione, ritenendo un praefectus di quest’epoca non adeguato a reggere una pro- vincia, PFLAUM1974, p. 10.

51 Dopo la pubblicazione dell’iscrizione di Cesarea, rimangono a favore di una provincia auto- noma nel periodo precedente al 44 d.C.; LÉMONON1981; GOODMANin CAH2, pp. 737 ss.;

LORETO2000, pp. 51 s.; LICANDRO2001, p. 48 secondo cui «ciò che può ad ogni modo trar-