• Non ci sono risultati.

5. Le materie prime

5.1. Gesso e calce

151B. Gille, Macchine, in Storia della tecnologia, a cura di C. Singer, E.J. Holmyard, A. R. Hall, T.I. Williams, 2 (Le civiltà mediterranee e il Medioevo circa 700 a.C. - 1500 d.C.), Torino 1962, pp. 638-668: 653-654.

Le differenze produttive, in alcuni casi, riflettevano anche differenze sociali e redditizie. Qualcuno di loro, infatti, rivestendo una considerevole importanza a livello cittadino, tentò un parziale allontanamento dalla società principale di riferimento152.

Nel caso dei falegnami, furono corbellai e bottai, ovvero gli artigiani impegnati nella produzione dei contenitori di uso quotidiano, di unità di misura e atti al trasporto delle merci, da quelle liquide alle più eterogenee, a manifestare, dal 1270, la propria volontà a rendersi indipendenti dalla società principale153. La società stabilì che queste

categorie potessero considerarsi parzialmente autonome, ma dovessero comunque obbedire al massaro e ai ministrali dei falegnami. Nessun appartenente all'arte magna doveva essere forzato ad abbandonarla per aderire alla loro nuova arte. Tutti gli

statuta et ordinamenta et reformaciones da loro prodotti, inoltre, prima di divenire

definitivi, dovevano essere approvati dalla società dei falegnami nel rispetto delle disposizioni e degli statuti predisposti dal comune di Bologna154. Non esistono

redazioni statutarie compilate unicamente per corbellai e bottai, ma nello statuto dei falegnami del 1298 e in quelli immediatamente successivi, rimase vigente il divieto di crearne di nuove, previa l'approvazione diretta da parte della società principale155.

Gli strumenti lavorativi utilizzati variavano, naturalmente, a seconda dell'attività produttiva eseguita. Dagli statuti non emergono dati e riferimenti interessanti ad eccezione delle rappresentazioni iconografiche. I segantini e i falegnami impegnati nei grandi cantieri utilizzavano prevalentemente le asce, le scuri e le seghe anche a due mani, mentre la maggior parte degli artigiani necessitava di un bancone da lavoro su cui utilizzava pialle, martelli e puntelli realizzati in varie misure, in legno o in metallo, asce a zappa, utilizzate per la realizzazione di superfici tondeggianti e mazzuoli, gli strumenti maggiormente utilizzati in falegnameria in associazione con scalpelli o sgorbie156.

152Nel commercio marittimo delle città siciliane la figura dei bottai risulta centrale poiché si occupava della realizzazione dei recipienti utilizzati come contenitori dei materiali commerciabili all'interno delle navi. Cfr., Rugolo, Maestri bottai in Sicilia cit., pp. 204-205. Si registrano casi analoghi con richieste e tentativi di indipendenza da parte di bottai in numerose città europee, cfr. Thrupp, Le

corporazioni cit., pp. 301-302.

153Rugolo, Maestri bottai in Sicilia cit., pp. 198-199.

154ASBo, Documenti e codici miniati, n. 2, rubr. LVII, LXVI; ASBo, Capitano del popolo, società

d'arti e d'armi, falegnami statuto 1288, rubr. XLV, LI, LIII.

155ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 5, 1298, rubr. LXIII; ASBo, Capitano del popolo cit., falegnami 1320[a], rubr. LVI; ibid., falegnami 1320[b], rubr. LIII.

156 Cfr., ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 1, c. 1r; ibid., n. 2, c. 1r; ibid., n. 5, c. 2r; R.H.G. Thomson, L'artigianato medievale, in Storia della tecnologia, II (Le civiltà mediterranee e il

5. Le materie prime 5.1. Gesso e calce

Per quello che riguarda la produzione di materia prima indispensabile in edilizia, dagli statuti cittadini appare evidente come, nel Duecento, questa fosse direttamente controllata dal comune che gestiva le fornaci e ne pianificava la costruzione. Attraverso questo controllo le autorità tentavano di preservare la città dall'insicurezza e dalle fluttuazioni del mercato, garantendo la stabilità dei prezzi e la continua disposizione di materiale prima di alta qualità157. In particolare, i prezzi di vendita per

gesso e calce erano fissati dagli statuti comunali del 1250 in dieci bolognini per corba, mentre dal 1259, il costo fu portato a dodici bolognini per corba, comprendendo anche le spese di trasporto158. Nel 1288 il costo di una corba di gesso o calce fiorita

rimase di dodici bolognini più due denari per il trasporto, mentre una corba di calce grossa, cioè arricchita con malta o polvere di mattoni, aumentò a tre soldi di bolognini più due denari per il trasporto. Per soddisfare le esigenze cittadine, l'autorità comunale stabiliva che la produzione di ciascun fornaciaio dovesse essere di almeno quatuor

coctas l'anno159.

Nel Trecento il controllo sui fornaciai passò direttamente dal comune alla società dei muratori. I prezzi, come stabilito nel 1376, continuarono ad essere fissati dagli anziani che, costituendo un calmiere, stabilivano il valore di gesso e calce a seconda dell'andamento del mercato e della disponibilità della materia prima160. Nel

1335 erano fissati in quindici denari di bolognini per ogni corba di gesso cotto venduta ad schossum brachiorum, in diciotto denari per ogni corba di calcina fiorita e quattro bolognini per ogni corba di calce grossa, più due denari di bolognini per il trasporto in qualunque luogo della città. Il comune richiedeva ad ogni fornaciaio una produzione annua di almeno quattro cotture, che veniva controllata direttamente dai notai delle strade161.

Come per gli altri materiali, dal 1335, la società inserì direttamente nella propria normativa tutte le indicazioni per la realizzazione di calce, gesso e malta in

157Statuti di Bologna dall'anno 1245 cit., II, p. 212 (l. VIII, rubr. XVIII De blado non emendo

incavandi); Cipolla, La politica economica cit., pp. 472-473, 489-490; Hessel, Storia della città di Bologna cit., p. 198.

158Statuti di Bologna dall'anno 1245 cit., II, p. 80 (l. VII, rubr. LXXII Quantum corbis gissi et calcine vendi debeat).

159Statuti di Bologna dell'anno 1288 cit., II, p. 215 (l. XII, rubr. XIII De vendentibus gissum vel

calçinam); cfr., Bologna cit., p. 53.

160ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1376, rubr. XLVIII, LIII.

161Lo Statuto del Comune di Bologna dell'anno 1335 cit., pp. 862-863 (l. VIII, rubr. 221 De

modo da uniformare la produzione e a garanzia comune del lavoro. I fornaciai di gesso non potevano conservare presso le proprie fornaci alcuna quantità di terra, pietrisco fino o grossolano, né di residui di gesso troppo o poco cotto, da mescolare nella preparazione e cottura del gesso, ad eccezione di quelli rottisi durante la cottura nella fornace162. Gli statuti obbligavano i fornaciai ad esporre sopra un graticcio,

durante ogni lavorazione, presso le loro fornaci, le botteghe o i luoghi deputati alla vendita, i residui e la polvere formatisi prima di gettarli o trasportarli lontano dal luogo della produzione163. La calce non poteva essere esposta e venduta se

precedentemente annacquata o se bagnata immediatamente prima dell'acquisto164. Dal

1376 la vendita di gesso ripulito poteva avvenire solo con l'esposizione dei residui setacciati, mentre venne vietata l'importazione all'interno delle fornaci situate entro le mura della città, di qualunque quantità di scaglia, gesso, mattoni o terra sia cruda che cotta che nel contado veniva venduta ad un costo differente165. Al medesimo scopo di

esercitare un maggiore controllo sulla produzione e sui suoi artigiani, venne vietata, sia ai muratori che ai fornaciai, l'importazione di gesso prodotto e lavorato fuori città sia a scopo di lavorazione nei cantieri, d'immagazzinamento che di rivendita, pena il pagamento di tre libbre per ogni carro di materiale trovato in città166.