2. Falegnami e muratori: la produzione statutaria, i libri matricularum e le cedole
1.1. L'incontro mensile
Il corporale, l'incontro mensile della società, era il momento in cui i soci, seguendo il cerimoniale eseguito nelle assemblee cittadine più importanti, esprimevano la propria volontà ed esercitavano il diritto di voto. In assemblea venivano portate a risoluzione esigenze di ordine pratico, attraverso una gestualità e una ritualità consolidate e caratteristiche5. Alle origini, falegnami e muratori s'incontravano separatamente ogni
penultima domenica del mese, dopo la celebrazione della messa all'interno della chiesa di San Pietro, eseguendo il consueto rituale. Il primo atto era la distribuzione della
benedictio. Si trattava di una focaccia che, preparata su indicazione dei massari delle due
società, era benedetta dal sacerdote e distribuita a tutti gli iscritti presenti6. Al termine
della cerimonia, che rappresentava l'atto di condivisione con cui veniva rinsaldato il senso di appartenenza dei soci, il massaro consegnava al religioso, che poteva anche essere un frate, l'offerta in denaro della società che serviva come compenso per il servizio prestato. L'oblazione fungeva sia da elemosina e preghiera per le anime dei soci defunti, sia come indulgenza per i soci vivi e attivi nell'esercizio dell'arte7. Queste azioni, nel
corso dei decenni vennero codificate all'interno degli statuti prestando maggiore attenzione al valore degli aspetti economici in relazione alla spontaneità e simbolicità dei gesti8. Il valore delle offerte e del denaro speso per la preparazione delle benedictiones,
ad esempio, venne quantificato in maniera sempre più dettagliata. I falegnami decretarono, già dal 1264, che il massaro dovesse far preparare due focacce spendendo
5 Thrupp, Le corporazioni cit., p. 275; Degrassi, L'economia artigiana cit., pp. 143-147. Per la definizione di corporale cfr., Degrassi, L'economia artigiana cit., p. 134.
6 G. Tamba, Le norme associative, lo statuto della Società dei Muratori negli anni 1248-56, in Muratori
a Bologna. Arte e società dalle origini al secolo XVIII, Bologna 1981, pp. 119-134: 129 (rubr. XXI,
XXII); ibid., p. 133 (rubr. XLVI); ASBo, Capitano del popolo, società d'arti e d'armi, b. VIII bis, falegnami 1255-62, rubr. XXVIII, XXIX; Ibid., 1288, rubr. XXII; Ibid., b. IX bis, muratori 1258-62, rubr. XXII, XXIII; ibid., orciai 1312-1334, rubr. I; ASBo, Documenti e codici miniati, n. 1, rubr. XXV, XXVI; Ibid., n. 2, rubr. XXIII. Per la definizione di benedictio cfr., Glossario latino emiliano, a cura di P. Sella, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 74), sub voce.
7 Si ritiene doveroso insistere sullo stretto legame tra offerta e distribuzione della benedictio, considerando il significato di quest'ultima inteso anche con l'accezione propria di elemosina cfr., S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, II, Torino 1962, p. 169 sub voce.
8 ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1335-1355, rubr. XXXIX; ibid., muratori 1376, rubr. XXXVIII: gli statuti, in effetti, sono molto espliciti: «... quas fogaçinas benedici facere teneatur post celebrationem misse, quam celebrari facere teneatur ipse massarius singulis mensibus... pro qualibet omnium et singulorum deffuntorum de dicta societate, ut dominus Iesus Christus conservet, manuteneat et augeat dictam societatem de bono in mellius...»; cfr. PH. Ariès, L'uomo e la morte dal Medioevo a
oggi, Roma-Bari 1979, pp. 207-210; M. Vovelle, La morte e l'Occidente dal 1300 ai giorni nostri,
due bolognini per l'impasto e quattro denari poveri per zafferano e cumino con cui insaporirle9. Dal 1298 la spesa fu aumentata a quattro bolognini totali10. I muratori,
invece, dal 1329 stabilirono che il massaro dovesse spendere due bolognini per la preparazione di ogni fogaçina e sei per l'offerta durante la messa della società, che doveva essere cantata e solenne11. In merito all'elemosina, i falegnami dal 1298
stabilirono che il versamento dovesse costituirsi in una somma fissa di dieci bolognini, da consegnare al funzionario religioso durante la funzione religiosa mensile. Sempre in segno di preghiera pro animabus omnium hominorum dicte societatis, durante la celebrazione liturgica, al momento dell'ostensione del corpo di Cristo, un membro della società era tenuto ad effettuare l'accensione di un cero12.
Nel corso del Trecento una celebrazione con una particolare oblazione venne prevista in occasione della festività dedicata al santo patrono delle società. I muratori stabilirono di onorare la festività in occasione della festa di san Pietro, il 29 giugno. I falegnami, invece, dal 1335, inserirono nei propri statuti le direttive per la celebrazione della festa di san Giuseppe il 19 marzo, con festeggiamenti della durata di una settimana13. I maestri e gli obbedienti erano tenuti a riunirsi nella chiesa dedicata al santo
per la celebrazione della messa: i muratori si recavano presso la cattedrale cittadina, mentre i falegnami nella chiesa situata presso il borgo di Galliera14. Il massaro di questi
ultimi doveva stanziare quaranta bolognini da versare al sacerdote al termine della funzione religiosa e due libbre di bolognini da spendere per due trombettieri e almeno sei
9 ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1329, rubr. XVII; ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 1, rubr. XLVIII; ibid., n. 2, rubr. XLIII; ASBo, Capitano del popolo cit., falegnami 1288, rubr. XXXVI. 10 ASBo, Documenti e codici miniati, n. 5, rubr. XI; ASBo, Capitano del popolo cit., falegnami 1320[a],
rubr. XII; ibid., falegnami 1320[b], rubr. XII; ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 10, rubr. XLIII;
ibid., n. 55; rubr. XL.
11 ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1329, rubr. XVII. L'offerta scese a sei denari poveri nel 1335, per poi salire nuovamente a ventiquattro nel 1376 cfr., ibid., muratori 1335-55, rubr. XXXIX; ibid., muratori 1376, rubr. XXXVIII.
12 ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1329, rubr. XVII; ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 5, rubr. XI. Dal 1320 i falegnami stabilirono che il valore del candelabro dovesse essere di trenta bolognini, mentre l'offerta dal 1335 salì a dodici bolognini cfr., ASBo, Capitano del popolo cit., falegnami 1320[a], rubr. XII; ibid., falegnami 1320[b], rubr. XII; ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 10, rubr. XLIII; ibid., n. 55, rubr. XL.
13 ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1329, rubr. XVII; ibid., muratori 1376, rubr. LIV; ASBo,
Documenti e codici miniati cit., n. 10, rubr. XLIV; ibid., n. 55, rubr. XL.
14 La collocazione di questa è specificata in ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 10, rubr. XLIV: «Et quod masarius, ministrales et homines ipsius societatis teneantur et debeant honorare partis festivitate, videlicet festum sancti Iosep omni anno, in die quo publico sit ipsius festum ad eclesiam Sancti Iosep,
ceri. Il funzionario dei muratori, invece, aveva a disposizione un totale di tre libbre di bolognini da destinare pro restamatione dictorum hominum dicte societatis. Nella mattinata della festa anche la società dei muratori si spostava in processione solenne dalla sede della società alla chiesa di San Pietro e viceversa. Due trombettieri, infatti, suonando, precedevano l'uscita del massaro, dei ministrali e del corteo composto dai soci iscritti, dagli apprendisti e dagli obbedienti15.
1.1.1. La scelta del luogo
La scelta del luogo fissato per l'assemblea mensile non era casuale, ma dettata da motivazioni differenti di natura religiosa, politica e di vicinato. Per i falegnami e muratori bolognesi, come nella consuetudine del Medioevo, la scelta era dettata dal risultato della sovrapposizione di spazi differenti, percepiti dal singolo e dalla comunità come sociali, mentali, istituzionali e politici16. Non si trattava, quindi, di un luogo causale, ma di quello
che doveva rappresentare la società e che l'arte individuava seguendo i vincoli imposti dalla politica cittadina. Ai suoi inizi la societas magistrorum lignaminis et muri si riuniva presso la cattedrale di San Pietro o all'interno del palazzo vescovile17. Si trattava del
luogo che, probabilmente, essendo fin dalle origini della società era rimasto per tradizione il medesimo, nel cuore religioso della città comunale. Fedele alla tradizione e legata, alla figura del vescovo, ma riconoscendo anche in san Pietro il protettore dell'arte la società dei muratori continuò, ancora nel Duecento e per parte del Trecento, a riunirsi con le stesse modalità anche dopo la scissione dei falegnami18.
15 ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1376, rubr. LIV; ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 55, rubr. XL.
16 La scelta e l'organizzazione degli spazi seguivano, parallelamente, due orientamenti, uno spontaneo e sociale che nasceva dal senso di appartenenza degli uomini, l'altro burocratico che seguiva l'esclusione politica o l'imposizione laica o religiosa cfr., A. Degrandi, Vivere gli spazi, appartenere agli spazi. Gli
artigiani cittadini e la percezione dell'ambiente (Vercelli nei secoli XII-XIII), in Scritti in onore di Girolamo Arnaldi offerti dalla Scuola nazionale di studi medievali, a cura di A. Degrandi, O. Gori, G.
Pesiri, A. Piazza, R. Rinaldi, Roma 2001 (Istituto Storico per il Medio Evo. Nuovi Studi storici, 54), pp. 163-182: 165.
17 Tamba, Le norme associative cit., p. 124, (rubr. III); p. 132, rubr. XLII.
18 Agli inizi della società il vescovo doveva rappresentare, con ogni probabilità, il principale committente cfr., Greci, I cantieri: le corporazioni, cit., 83-84. La società probabilmente continuò ad affidarsi a san Pietro, rifacendosi alle parole del vangelo (Matteo 16, 18): «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»; ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1258-62, rubr. XLI; ibid., muratori 1329, rubr. XVII.
La società dei falegnami, invece, cercando una propria identità e non riconoscendosi più nel luogo, cominciò a scegliere di volta in volta l'ambiente più idoneo dove riunirsi e celebrare la messa societaria, secondo le preferenze del massaro19. Solo a
partire dall'anno 1298 la società stabilì d'incontrarsi, in maniera stabile, la terza domenica del mese presso la sede della società20. Questa sorgeva vicino alla chiesa della Vita,
santuario dove i falegnami fecero celebrare per un breve periodo la funzione religiosa mensile. Il Guidicini sosteneva che l'ingresso della sede fosse al numero 1275 di via Cimarie (entrando a sinistra per via degli Orefici) e che nei pressi sorgesse anche la cappella dedicata a san Giuseppe, patrono della società21. In realtà, come specificano
direttamente gli statuti della società, la chiesa dove dal 1335 i falegnami cominciarono a seguire le proprie funzioni religiose sorgeva presso il borgo di Galliera, all'interno del quartiere di porta Stiera22. L'affidamento della società ad un santo proprio, avvenne
quindi in età avanzata (i primi riferimenti negli statuti sono del 1335), nel momento in cui il comune e la città cominciavano a identificare in san Petronio il nuovo protettore cittadino23. Sebbene tra i santi venerati a Bologna nel Medioevo, Giuseppe non avesse un
ruolo di primo piano, il culto venne introdotto probabilmente non come scelta prettamente religiosa, ma come scelta politica e culturale, ispirata alla necessità d'identificazione in uno dei santi differenti da Pietro, venerato dal vescovo cittadino e da
19 ASBo, Capitano del popolo cit., falegnami 1255-62, rubr. IV; ibid., falegnami 1288, rubr. IV; ASBo,
Documenti e codici miniati cit., n. 1, rubr. IV; ibid., n. 2, rubr. IV.
20 I falegnami, dopo un breve periodo in cui preferirono incontrarsi la seconda domenica del mese, dal 1264 scelsero di fissare l'assemblea societaria ogni terza domenica mentre, dal 1288 spostarono l'incontro alla prima domenica del mese, cfr. Ibid., falegnami, 1255-62, rubr. IV; ibid. 1288, rubr. IV, XXXVI; ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 1, rubr. IV; Ibid., n. 2, rubr. IV. ASBo, Documenti e
codici miniati cit., n. 5, rubr. XI.
21 G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna ossia storia cronologia de' suoi stabili sacri, pubblici
e privati, I, Bologna 1868 (Rist. anast. Bologna 1982), pp. 433-434.
22 ASBo, Capitano del popolo cit., falegnami 1320[a], rubr. XII; ibid., falegnami 1320[b], rubr. XII; ASBo, Documenti e codici miniati cit., n. 10, rubr. XVIII, XLIV; ibid., n. 55, rubr. XVI, XL.
23 M. Fanti, La fabbrica di S. Petronio in Bologna dal XIV al XX secolo. Storia di una istituzione, Roma 1980 (Italia Sacra. Studi e documenti di Storia ecclesiastica, 32), pp. 11-35; M. Giansante, Petronio e gli altri. Culti civici e culti corporativi a Bologna in Età comunale, in L'eredità culturale di Gina Fasoli.
Atti del convegno di studi per il centenario della nascita (1905-2005), Bologna – Bassano del Grappa
24-25-26 novembre 2005, a cura di F. Bocchi e G.M. Varanini, Roma 2008 (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Nuovi Studi Storici, 75), pp. 359-377: 360-362. Il culto di san Giuseppe nacque nel Medioevo parallelamente a quello mariano. Sebbene il termine usato dagli evangelisti in riferimento alla professione del santo (téktôn) sia stato tradotto in maniera non puntuale in falegname, l'attribuzione di tale professione al santo nel Medioevo era ormai consolidata anche nell'iconografia. Cfr., S. Colafranceschi, San Giuseppe nelle rappresentazioni italiane (secc. XIII-XV), in Atti del Simposio di studi Giuseppologici, Kevelaer 2006, disponibile in rete all'indirizzo
molte delle antiche famiglie magnatizie opposte alla posizione dominante della parte geremea24. La conferma di una finalità anche politica del culto viene dalla miniatura posta
nella prima carta dello statuto del 1377 e realizzata da Nicolò di Giacomo, principale artista utilizzato nelle miniature del periodo per enfatizzare e proclamare la politica delle arti. La carta risulta occupata per i due terzi dalla raffigurazione di uno stemma comunale, seguito da un'iniziale miniata di dimensioni molto ridotte raffigurante il santo patrono. Anche in questo caso la raffigurazione rappresenta un “manifesto politico” nel quale l'arte manifesta la completa adesione alla nuova politica comunale e il pieno riconoscimento del “governo del popolo e delle arti”25.
Grazia al contributo richiesto al momento dell'iscrizione dei soci, anche i muratori nel 1376 riuscirono a costruire una propria sede, che sorgeva presso il mercato di porta Ravennate tra la sede della società dei salaroli e la domus veronensium26. Qui si riunivano
soci e obbedienti nell'incontro mensile domenicale, mentre in settimana vi si svolgevano attività di tipo produttivo27. La funzione liturgica mensile, invece, si svolgeva ancora
presso la cattedrale di san Pietro28. Proprio perché il culto era ormai fortemente
consolidato e sentito, l'arte dovette trovare un espediente per dimostrare la propria posizione favorevole al comune e lontana dalle posizioni tradizionaliste incarnate simbolicamente nel santo. La società decise, quindi, d'introdurre la festività di due nuovi santi (sant'Antonio abate e san Giacomo), vicini all'ordine degli agostiniani. In città, quest'ordine rappresentava quello politicamente più lontano dalle posizioni del clero tradizionale, costruendo, con il sostegno economico del comune, una chiesa dedicata a san Giacomo29.
Analogamente anche il luogo scelto dagli orciai per il ritrovo mensile incarnava motivazioni complesse e non solo religiose. Questi artigiani dislocati, per la maggior
24 Fanti, La fabbrica di S. Petronio cit., p. 22; Giansante, Petronio e gli altri cit., p. 361. In riferimento ai culti dei santi a Bologna nel Medioevo cfr., P. Golinelli, Santi e culti bolognesi nel Medioevo, in Storia
della Chiesa di Bologna, a cura di P. Prodi, L. Paolini, I, Bologna 1997 pp. 11-43: 26-27.
25 M. Giansante, Politica in miniatura. Nicolò di Giacomo e la restaurazione comunale bolognese del
1376, in La norma e la memoria. Studi per Augusto Vasina, a cura di T. Lazzari, L. Mascanzoni, R.
Rinaldi, Roma 2004 (Nuovi Studi Storici, 67), pp. 513-548: 542-543; Id., Petronio e gli altri cit., p. 377. 26 ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1335-1355, rubr. XXVIII, XXXV; ibid., muratori 1376, rubr.
XXVIII, XXXV. Sul riferimento al pagamento di un contributo al momento dell'iscrizione pro domo
societatis cfr., ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1335, rubr. XXV; ibid., muratori 1376, rubr.
XXV.
27 Cfr., cap. IV, par. 1. (La bottega, il cantiere e la fornace).
28 ASBo, Capitano del popolo cit., muratori 1376, rubr. LIV.
parte, nella cappella di Santa Lucia, prima di raggiungere la sede della società dei muratori per l'assemblea mensile, si riunivano per la celebrazione della liturgia nella chiesa di Santa Maria dei frati Gaudenti, collocata all'esterno delle mura cittadine, sul colle della Guardia, nel quartiere di porta Procola, all'interno del borgo degli Arienti 30.
Non si trattava di una scelta dettata unicamente dalla collocazione geografica delle fornaci e delle botteghe di questi artigiani, ma era spinta, anche in questo caso, da motivazioni militari, politiche e religiose molto forti. L'ordine ospedaliero della Milizia della Beata Vergine Maria (soprannominato, appunto, dei frati Gaudenti) era stato portato a Bologna nel 1267 da Loderico d'Andalò dei Carbonesi, una famiglia di origine lambertazza, con il preciso scopo di mettere pace tra le famiglie cittadine guelfe e quelle ghibelline. Sebbene si rifacesse alla regola agostiniana, al proprio interno raccoglieva numerosi laici esentati dal celibato e dalla vita cenobitica che, in quanto appartenenti ad un ordine militare, avevano il permesso di girare armati per la città31. Anche per questi
artigiani, quindi, una scelta apparentemente religiosa, celava un appoggio diretto al comune e alla sua politica cittadina.