La gestione sostenibile del territorio rappresenta anch’essa una componente cruciale di tutela e salvaguardia dell’ambiente e delle risorse, al fine di garantire sicurezza e benessere alle persone, assicurando l’equilibrio degli scambi tra uomo e la natura. La sicurezza del territorio viene messa a rischio da numerosi fattori di origine antropica o naturale, la cui combinazione provoca effetti a cascata multirischio. Le determinanti del rischio si fondano sulla pericolosità, la vulnerabilità, l’esposizione e la capacità. Riduzione del rischio significa quindi agire su questi fattori. Una cattiva gestione del territorio ha dunque conseguenze sul piano della vulnerabilità. In Italia, il consumo di suolo non si arresta, determinando un aumento della quota di suolo impermeabilizzato da copertura artificiale rispetto al totale della superficie territoriale, che ha raggiunto, nel 2017, il 7,65%; valore superiore ai due anni precedenti e che presenta il massimo in Lombardia (12,99%), in Veneto (12,35%) e Campania (10,36%). Rapportato alla popolazione, l’impermeabilizzazione e consumo di suolo pro-capite è pari a 381m2/ab a
livello nazionale, con un picco in Valle d'Aosta di 709 m2 pro capite. Le conseguenze
dell’eccessivo uso del suolo sono acuite se avvengono in modo irregolare e non piuttosto realizzato nell’ambito di in un progetto di pianificazione. Il tasso di abusivismo fornisce un ulteriore elemento di valutazione di rischio del territorio. Nel 2017, ogni 100 abitazioni costruite, 19,8 sono abusive, ovvero non autorizzate dai Comuni. Il valore è cresciuto negli anni, era 11,5 nel 2001. È più basso nel Nord Italia, (6,2%), è pari a 21,4% nelle regioni del Centro, mentre nel Mezzogiorno quasi una abitazione su due è abusiva (49,3%). Una forma di tutela del territorio e che ne preserva lo sfruttamento è rappresentata dall’istituzione di aree protette. La quota di superficie territoriale coperta da aree naturali protette terrestri incluse nell'elenco ufficiale delle aree protette (Euap) o appartenenti alla Rete Natura 2000 è pari a 21,6% nel 2017. Il dato è stabile nel corso degli anni. In rapporto alla superficie terrestre le aree forestali coprono il 31,6% nel 2015. Oltre al miglioramento della vulnerabilità del territorio, le aree forestali, grazie agli effetti positivi sul bilancio delle emissioni di CO2, si configurano anch’esse come strategie di
adattamento ai cambiamenti in climatici. Considerando che più della metà della popolazione vive in città - e anche rispetto alla sicurezza degli edifici - la gestione del territorio ha dei risvolti complessi, integrati e specifici, considerando gli effetti dei cambiamenti climatici che rendono, ad esempio, le città nei periodi estivi estremamente calde e soggette a piogge intense. In tutte le città si riscontra un aumento degli indicatori connessi a eventi climatici di caldo, come il numero di giorni estivi, notti tropicali, giorni
caldi, notti calde, e la diminuzione di eventi climatici di freddo, come i giorni freddi e le notti fredde. Il verde pubblico, egualmente, rappresenta una forma di adattamento.
L’incidenza delle aree di verde urbano sulla superficie urbanizzata nelle città è in media pari a 9,1 m2 per 100 m2 di superficie urbanizzata, con valori estremamente variabili tra
il 43,4 di Monza e 1,1 di Imperia. Una attenta e corretta gestione del territorio sia urbano sia rurale può ridurre, quindi, i danni provocati da calamità naturali o antropiche, come terremoti, frane, alluvioni, incendi boschivi, ondate di calore, che costituiscono i principali rischi presenti nel paese, che risultano essere intensificati dalle conseguenze del riscaldamento globale e per i quali si devono mettere in atto strategie di riduzione del rischio (Sendai Framework).
3 Verso un modello di economia circolare
Se il contenimento dei prelievi di risorse dall’ambiente costituisce il primo passo della sostenibilità degli attuali modelli di sviluppo socio-economico, il secondo passo è rappresentato dalla riduzione delle restituzioni all’ambiente di rifiuti, emissioni atmosferiche, inquinanti e altre sostanze nocive per gli ecosistemi e la salute umana. E’ necessario il passaggio da un modello economico lineare a uno circolare, che punti a trarre il massimo valore dall’utilizzo di materie prime, prodotti e rifiuti, attraverso il loro riutilizzo e il riciclo, ricorrendo a processi e tecnologie “puliti” e che riducano le emissioni di gas clima alteranti, così come richiesto, oltre che dall’Agenda 2030, dal Piano d’azione per l’economia circolare” dell’Unione Europea (COM(2015) 614 final).
L’analisi dell’andamento del rapporto tra emissioni di anidride carbonica e valore aggiunto, indispensabile strumento di monitoraggio del processo di decarbonizzazione sollecitato dall’agenda politica, mostra segnali positivi per l’Italia. L’intensità di emissione di CO2 rispetto al valore aggiunto diminuisce dal 1995 del 33,3%, toccando,
nel 2017, un minimo storico pari a 178,3 tonnellate per milione di Euro. L’Italia registra un’intensità di emissioni inferiore alla media europea, collocandosi tra i paesi a minori emissioni sul valore aggiunto. Le emissioni di gas serra sono in diminuzione da 580.851 migliaia di tonnellate di CO2 equivalente del 2005 a 427.862 migliaia del 2016. Anche in
questo caso, gli andamenti risultano condizionati dal rallentamento delle attività produttive determinato dalla crisi economica.
Nel campo della produzione e della gestione dei rifiuti, si riscontrano alcuni risultati positivi che però non sono sufficienti a colmare il ritardo del nostro paese, specie in talune regioni. La quota di rifiuti urbani conferiti in discarica sul totale dei rifiuti urbani è in diminuzione (dal 60% del 2004 al 23% del 2017); parallelamente la percentuale di riciclaggio aumenta (dal 36,7% del 2010 al 49,4% del 2017), avvicinandosi al target del 50% al 2020 previsto dalla normativa europea (Direttiva 2008/98/CE, D.Lgs. 152/2006, D.Lgs. 205/2010). La percentuale di rifiuti oggetto di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti è notevolmente cresciuta, segnando nel 2017 (55,5%) oltre un raddoppio rispetto al 2004 (22,7), ma si tratta pur sempre di livelli ancora decisamente inferiori all’obiettivo normativo del 65% per il 2012. A livello regionale, inoltre, accanto a realtà che raggiungono gli standard europei, quali quelle delle provincie trentine (75% Trento e 69% Bolzano), del Veneto (74%) o della Lombardia (70%), versano in condizioni di maggiore difficoltà molte regioni meridionali, in particolare Sicilia, Molise, Calabria e Puglia.
4 Conclusioni
Benché negli ultimi dieci anni si evidenzino alcuni segnali positivi e nonostante il confronto della situazione italiana con molte economie dell’Unione Europea a maggiore intensità di consumo materiale ed energetico, gli indicatori che monitorano l’interscambio di risorse tra ambiente e sistema socio-economico mostrano come, a ridosso della recente fase recessiva dell’economia italiana, sia difficile tracciare un bilancio univoco sulla sostenibilità degli attuali profili di produzione e consumo. Una parte della contrazione dei prelievi, e, conseguentemente, delle restituzioni all’ambiente è dovuta infatti al rallentamento della produzione industriale, come chiaramente mostrato dall’andamento dei consumi di materia e di energia e della produzione di emissioni in rapporto al Pil. La situazione resta, inoltre, piuttosto critica in relazione alla gestione sia dell’acqua sia dei rifiuti e al consumo di suolo. Le differenze territoriali riflettono divari profondi che, per essere superati, rendono necessaria una più diffusa ed efficace adozione di strategie di efficientamento e di recupero e riutilizzo delle materie prime e dei servizi ecostistemici.
Riferimenti bibliografici
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