• Non ci sono risultati.

Politiche di conciliazione vita-lavoro

Conciliazione tra tempi di vita e di lavoro le azioni positive negli Enti pubblici di ricerca

2 Politiche di conciliazione vita-lavoro

Le politiche riguardanti la conciliazione tra vita privata e vita professionale stanno gradatamente conquistando una posizione di rilievo soprattutto nel contesto UE.

La Commissione Europea definisce la conciliazione un’introduzione di azioni che prendono in considerazione le esigenze familiari, la cura dei figli e degli anziani e lo sviluppo di un contesto lavorativo tale da supportare le esigenze sia familiari che lavorative.

L’Unione europea ha da sempre promosso politiche connesse alle pari opportunità e alla conciliazione tra vita lavorativa e familiare. Nel marzo 1992, il Consiglio d’Europa, con la Raccomandazione 92/241/CEE, invitava gli Stati membri ad adottare iniziative volte a consentire alle donne e agli uomini di conciliare le loro responsabilità professionali con quelle familiari ed educative per i loro figli. Il Consiglio introduceva, un nuovo concetto, partendo dalla considerazione che la conciliazione riguarda tutti i lavoratori, indipendentemente dal genere e ribadiva la necessità di considerare tali politiche come un fattore importante di innovazione complessiva dei modelli sociali, economici e culturali delle comunità.

Per promuovere e sviluppare un’economia basata sull’innovazione, più efficiente e competitiva e che prevedesse un alto tasso di occupazione la UE è intervenuta [1] progressivamente individuando alcune priorità. Le organizzazioni vengono chiamate ad essere parte attiva della produzione ed erogazione di servizi, nella prospettiva del welfare

community, valorizzando il principio della sussidiarietà, collaborando a livello di rete e

interagendo tra loro, adottando best practices, modelli organizzativi e politiche ad hoc, per migliorare il clima organizzativo nei luoghi di lavoro.

Particolare rilievo la UE lo ha dedicato al tema dei congedi speciali concessi ai genitori che svolgono un lavoro subordinato e che hanno responsabilità in termini di educazione e custodia dei bambini per poter stimolare e per meglio garantire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Per farlo secondo la UE è fondamentale porre in campo iniziative che prevedano e consentano ai genitori che svolgono un lavoro subordinato, indipendentemente che siano uomini o donne, maggiore flessibilità (si veda la direttiva (UE) 2019/1158 del 20 giugno 2019 con la quale si da nuovo impulso all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza [2]).

Questa nuova cultura del lavoro, più rispettosa delle esigenze personali e familiari, consente nella prassi migliori performance e maggiori vantaggi competitivi così come dimostrano anche alcuni studi internazionali [3, 4].

Le prime misure di conciliazione in Italia sono state misure di pari opportunità “a

senso unico” rivolte alle donne che entravano nel mercato del lavoro al fine di sostenere

il loro doppio ruolo di madri e mogli da un lato, di lavoratrici dall’altro. La legge 8 marzo 2000, n. 53, introdusse i congedi parentali, con l’obiettivo dichiarato di favorire un maggior coinvolgimento dei padri nella cura dei figli, puntando l'attenzione sull'importanza di riorganizzare i tempi delle città, promuovendo l’attuazione di azioni positive per la conciliazione sul luogo di lavoro sensibilizzando in tal senso parte datoriale e parti sociali. Particolare rilievo assumono ai fini della realizzazione di una parità sostanziale le “azioni positive”, introdotte nel nostro ordinamento dalla legge 10 aprile 1991, n. 125 e ora disciplinate dagli artt. 44 e ss. del “Codice delle pari opportunità”. Successivamente, il “Testo Unico del Pubblico Impiego” (TUPI), ha finalmente esteso anche alle pubbliche amministrazioni il compito di garantire pari opportunità tra uomini

e donne per l’accesso al lavoro. Il legislatore ha inteso, nel tempo, provvedere a creare quindi una serie di strumenti normativi volti a garantire pari opportunità sui luoghi di lavoro, contrastare le discriminazioni e promuovere l’occupazione femminile ponendo l’attenzione sulle forme di flessibilità per la conciliazione ed armonizzazione tra vita privata e vita professionale con l’obiettivo di introdurre nuove modalità organizzative e gestionali dei tempi di lavoro.

L’art. 7 del d.lgs. 23 maggio 2000, n. 196 recante “Disciplina delle attività delle consigliere e consiglieri di parità e disposizioni in materia di azioni positive” introduce, tra l’altro, per la pubblica amministrazione piani di azioni positive al fine di assicurare la rimozione di ostacoli che di fatto impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro fra uomini e donne.

In tal modo il legislatore ha tentato di rispondere alle esigenze di conciliazione tra famiglia e vita lavorativa, promuovendo azioni concrete di stimolo alla parte datoriale e alle parti sociali per la sperimentazione di azioni positive volte alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Complice la lunga crisi economica, molte organizzazioni non sono più in grado di sostenere aumenti salariali significativi per i propri dipendenti e ricorrono in alternativa a piani di welfare integrativo come modalità compensativa. Si tratta di un sistema che conviene a tutti: alla parte datoriale che ottiene un miglioramento della produttività, ai lavoratori che vedono aumentare indirettamente il loro potere d’acquisto e allo Stato che può fare affidamento su strumenti aggiuntivi alle classiche politiche sociali. Lo sviluppo e la centralità del welfare integrativo prende piede, infatti, anche in conseguenza della crisi di sostenibilità del nostro modello di stato sociale.

Sempre più amministrazioni pubbliche e imprese private (che sperimentano modelli organizzativi innovativi e flessibili) offrono benefit e servizi di welfare ai propri dipendenti a dimostrazione del fatto che la struttura della retribuzione del lavoro sta cambiando composizione e vicino al salario monetario sta crescendo il salario integrativo

sociale che diventa dunque una necessità

Nasce così il cosiddetto “welfare integrativo” che permette di remunerare i dipendenti con una serie di servizi alla persona e di sostegno al potere d’acquisto tramite iniziative di conciliazione tra vita privata e lavoro.

I possibili interventi includono varie azioni, dagli incentivi verso il telelavoro, realizzazione e costruzione ad esempio di asili nido aziendali, fino all’offerta di maggiori servizi a supporto dei familiari dei lavoratori (presenza di minori, disabilità).

Le misure introdotte a partire anche dalla Legge 7 agosto 2015, n. 124 (“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche”), detta anche “Legge Madia”, introducono novità di rilievo in tema di conciliazione lavoro-famiglia: dal voucher baby-sitting, al congedo obbligatorio per i padri lavoratori.

Anche a livello di Contrattazione Nazionale il nuovo contratto di lavoro 2016 – 2018 del comparto Ricerca Istruzione introduce il welfare integrativo con l’art. 96 - Benefici socio-assistenziali per il personale oltre che l’importante previsione contrattuale relativa ai congedi per le donne vittime di violenza che possono astenersi dal lavoro per 90 giorni. [5]

È necessario poi considerare il cambio di paradigma anche in merito alla domanda di servizi di assistenza e cura storicamente bassa in Italia in ragione della presenza di un elevato numero di caregivers (nonni) che facevano fronte alla mancanza o all’eccessivo costo dei servizi. Con la crisi economica e soprattutto dopo le continue riforme pensionistiche volte all’innalzamento dell’età di pensionamento che costringono a

rimanere in servizio più a lungo si evidenzia come queste figure si vadano riducendo sempre più [6]. Questa riduzione delle figure dei caregivers aumenterà, di conseguenza anche la domanda di servizi di cura sia per l’infanzia che per gli adulti non autosufficienti. A questo sfondo si deve aggiungere la considerazione che molte lavoratrici italiane non possono modificare per alcuna ragione l’orario di entrata e di uscita dal lavoro e una quota molto modesta, se confrontata con il resto dei paesi dell’Unione, dispone di una banca delle ore con la quale può fronteggiare le necessità familiari, soprattutto quelle impreviste. Infine, il ricorso delle lavoratrici italiane al lavoro part time dimostra che per molte di loro non è una scelta volontaria ma obbligata.

Lo stesso strumento del congedo parentale è in Italia poco utilizzato perché è scarsamente retribuito (al massimo il 30% dell’ultima retribuzione), diversamente da quanto accade nei paesi del Nord Europa [7].

L’obiettivo è sicuramente quello di permettere a donne e uomini di farsi carico degli impegni familiari senza per questo essere soggetti a discriminazioni professionali. Si va sempre più affermando l’idea che la ricerca di nuove modalità per conciliare vita professionale e familiare riguardi tutti e che occorra mettere in atto misure che permettano sia alle donne che agli uomini di vivere meglio il lavoro e le responsabilità familiari nelle varie fasi della vita, consentendo a ciascuno di riequilibrare le porzioni di tempo dedicati ai diversi ambiti secondo le necessità e i desideri, prevenendo e evitando discriminazioni e processi di esclusione dal lavoro e dalle carriere.

Si rende necessario distinguere le misure di conciliazione in relazione ai seguenti ambiti di intervento:

Sostegno alla condivisione del lavoro di cura;

Orari di lavoro (forme family friendly di organizzazione del lavoro, orari di entrata e uscita, part time, job sharing, telelavoro, banca delle ore etc.); • Servizi di cura (polizze sanitarie aziendali);

• Sostegno alla carriera e allo sviluppo delle competenze professionali (attività di informazione nelle organizzazioni del diritto a congedi, attività di mentoring formazione aziendale);

• Sostegno economico (agevolazioni tariffarie, aiuti economici, voucher di conciliazione);

• Misure di governo territoriale (piano regolatore sociale, piano territoriale degli orari, piano del traffico, piani di zona etc.).

Un sistema complesso di strumenti e politiche che spaziano dalle pari opportunità agli orari di lavoro, dalle politiche per le famiglie a quelle di gestione dei tempi della città. Le politiche di conciliazione devono agire perciò su diversi livelli, tenuto conto dei vari soggetti coinvolti: i singoli individui vanno considerati nella pluralità delle loro scelte, relazioni, bisogni familiari e personali, con politiche che vadano nella direzione di aumentare la condivisione del lavoro familiare tra uomini e donne.

Per le organizzazioni sono necessarie politiche orientate a una maggiore flessibilità, che risponda non soltanto alle esigenze aziendali, ma anche alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici, con sistemi di supporto che liberino tempo (nidi, asili, mense in prossimità del l’ufficio) e con servizi erogati dal pubblico (mezzi di trasporto efficienti), che mirino al cambiamento strutturale dell’organizzazione del lavoro.

Nelle realtà aziendali private e pubbliche italiane non vi è ancora una piena consapevolezza che una maggiore flessibilità sia sinonimo di aumento di produttività, che

l’uso del lavoro agile e la diffusione del welfare integrativo possono contribuire ad aumentare la produttività.