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Giampiero Vigliano

Nel documento Cronache Economiche. N.011-012 Anno 1976 (pagine 60-76)

Paesi fortemente sviluppati si trovano a dover affrontare que-stioni che nei tempi passati, pur essendo presenti, non avevano né l'ampiezza né la gravità che han-no assunto nell'ultimo cinquan-tennio (')•

La desertificazione progressi-va di porzioni sempre più estese della montagna europea (2) ne è un esempio: desertificazione cui non ha posto rimedio, ov'è stata praticata, la politica della sua appropriazione a scopi turistico-sportivi, rivelatasi incapace — di per sé — a ridurre le dimen-sioni del fenomeno e ad arginare la discesa a valle e alle città del-la pianura delle popodel-lazioni che un tempo, neppur molto lontano, l'abitavano, numerose (3).

Di riflesso il quadro delle tra-sformazioni territoriali delle aree montane ha acquistato via via tonalità più marcate ed asprezza di segni mai prima riscontrati. Le poche aree che si sottrag-gono alla regola mettono ancor più in risalto la serietà d'una situazione apparentemente senza sbocchi (4).

Per rendersene conto è suffi-ciente mettere a confronto una qualsiasi area di sviluppo turi-stico con altre ad essa limitrofe ove tale sviluppo sia stato as-sente.

Nella prima è la sconvolgen-te esplosione edificatoria, visiva-mente emergente nelle strutture che la esprimono e sottolineata, per negativo: dal crescente

impo-verimento culturale dei residui gruppi umani autoctoni; dal li-vello ascendente delle rendite fondiarie, non dissimile da quel-lo riscontrabile nei centri di ag-glomerazione urbana; dallo sta-dio di congestione fisica osser-vabile nei brevi periodi di punta, a cui fa da contraltare il senso di desolante abbandono in quelli, ben più lunghi e frequenti, di arresto degli impianti e di non attività delle strutture abitative e collaterali (5).

Nelle seconde è pressoché per-manente il vuoto causato dall'as-senza dell'uomo, palpabile nel-l'incuria delle cose, processo — parrebbe — irreversibile, sanzio-nato dalla distesa degli incolti, dal dilagare di pietraie, frane, slavine, smottamenti, dalla spa-rizione delle antiche vie pedo-nali e mulattiere, dalle case, dalle malghe, dai villaggi abbat-tuti dal tempo e dalla trascura-tezza (6).

Gli sforzi compiuti per tam-ponare le falle e rallentare il dilatarsi dei guai che imperver-sano nelle montagne sono finora giovati a poco(7). La perdita di uomini, soprattutto di giovani, è proseguita, pur nel succedersi di leggi, di provvidenze finanziarie e fiscali, di lodevoli esperimenti che hanno visto impegnati spa-ruti gruppi di valorosi ed entu-siasti, di denunce e di proposte avanzate in decine di convegni, congressi, dibattiti nazionali e internazionali (8).

Le ultime speranze sembra debbano riporsi, almeno in Ita-lia, nell'applicazione della leg-ge 1102 del 1971 e nei conse-guenti disposti legislativi regio-nali, cui spetta normare l'attua-zione alla scala delle singole re-gioni (9).

Il superstite mondo montana-ro italiano, che ha il privilegio, rispetto alle altre montagne euro-pee, di essere riuscito a racco-gliere attorno a sé ed ai suoi problemi tutta una gamma di esperti, di amministratori pub-blici locali, di forze politiche, nell'intento di farlo uscire dalla crisi profonda che l'attanaglia, osserva, e in parte partecipa, l'avanzare dell'esperienza (10).

Sul piano del metodo l'esperi-mento in corso si profila certa-mente interessante, anche se non possono celarsi perplessità da un punto di vista più generale. Poi-ché la crisi della montagna è sì

dentro il territorio che la

com-prende, ma le radici delle cause affondano all'esterno, nei punti

L'Autore ha svolto le tesi esposte nel-l'articolo al Convegno Internazionale su « Piani Regolatori e Regolamenti Edilizi nei Centri Montani », organizzato a Torino dall'Istituto Nazionale di Architettura e Ur-banistica Montana (INAUM) il 27 settem-bre 7976 in occasione del Salone Interna-zionale della Montagna.

Le numerose ed ampie note di cui è corredato il testo intendono chiarire quelle tesi, motivare e documentare le « riflessio-ni » dell'Autore su uno degli argomenti, l'urbanistica, tra i più controversi del mon-do contemporaneo.

Chi voglia meglio orientarsi sulle pro-blematiche trattate potrà pertanto utilizzare le note, che formano da supporto alle sin-tesi rappresentate nel testo. (N.d.R.).

nevralgici dello sviluppo ("), nel sistema che genera accumulazio-ni di ogaccumulazio-ni sorta nei luoghi facili, sollecitando consumi, promuo-vendo profitti, scalzando « valo-ri », con effetti vieppiù dirom-penti sui luoghi difficili ed emarginati dal processo. La mon-tagna, che è luogo difficile ed emarginato per eccellenza, area periferica per definizione, non può sottrarsi alla crisi, a meno di ribaltare gli stessi principi su cui si è retta finora la crescita delle società cosiddette avanzate. Solo mobilitando le masse urbane e quelle contadine dei territori ricchi per una presa di coscienza dei problemi (12), alcu-ni dei quali potrebbero incidere a non lunga scadenza sulla stes-sa loro sopravvivenza (u) , si po-trà sperare nel pieno consenso ad una sostanziale solidarietà con il mondo montanaro per aiu-tarlo ad uscire dalla crisi.

Qualsiasi risoluzione che igno-rasse le interdipendenze, da sem-pre esistenti, tra aree montane ed aree esterne, sarebbe destina-ta ad avere un'efficacia di breve durata (14). Gli atteggiamenti au-tarchici, comunque biasimevoli e velleitari in un mondo che tende ad aprirsi all'intreccio intenso delle relazioni, sono un non sen-so laddove la conformazione fi-sica del territorio, la natura del suolo, le condizioni climatiche, limitano le risorse disponibili e riducono di fatto il rapporto tra risorse stesse e carico u m a n o . Per aumentare il valore di tale rapporto è giocoforza rivalersi sulle aree esterne, di gran lunga più favorite, intensificando le re-lazioni, pattuendo le opportune integrazioni di funzioni, istitu-zionalizzando un processo di programmazione continua che tenda ad equilibrare lo sviluppo ad una scala più ampia, dalla regionale alla comprensoriale,

Fig. 1-2 - La stazione invernale di ((Isola 2000»: s i t u a t a a q u o t a 2 0 0 0 s. I. m . n e l l ' a l t a valle d e l C h a s t i l l o n , è l ' u l t i m a ( 1 9 7 3 ) — in o r d i n e di t e m p o — d e l i e n u o v e g r a n d i « s t a z i o n i » d e l l e A l p i f r a n c e s i . H a u n a c a p a c i t à di c i r c a 5 0 0 0 p o s t i l e t t o , e v e n t u a l m e n t e r a d d o p p i a b i l i , s e c o n d o l ' o r i g i -n a r i o p r o g e t t o . U -n a « m e g a s t r u t t u r a » t u r i s t i c a , c a l a t a t r a le A l p i d e l s u d d e l l a F r a -n c i a , i-n l u o g h i , o r m a i , c o m p l e t a m e n t e d e s e r t i : c o n c e n t r a z i o n e a r t i c o l a t a di s p a z i , i m p i a n t i , a t t r e z z a t u r e , o r i e n t a t i a « c o n s u m a r e la v a c a n z a » , in s i n c r o n i a c o n il m o n d o m e c c a n i c o d e l l a c i t t à . U n a r e a l i z z a z i o n e , n e l l a s o s t a n z a , d i g n i t o s a , p e r a l t r o a s s e n t e dalla m o n t a g n a e dal s u o m o n d o .

nel dialettico confronto tra le parti interessate C5).

La politica di piano ai vari livelli ha questi scopi primari e gli strumenti urbanistici rappre-sentano il momento territoriale della sua applicazione o, se si preferisce, il riferimento spazia-le, cartografico e normativo, a cui le comunità locali dovreb-bero adeguare i loro interventi e su cui dovrebbero verificare la

congruenza degli interventi delle forze sociali operanti nel terri-torio (I6).

Codesti enunciati, semplici e, credo, di facile comprensione, sono tutt'altro che scontati sul piano applicativo.

È infatti noto, ad esempio, che le Comunità montane stan-no procedendo nell'ultimazione dei piani di sviluppo (ma quante sono le Comunità in ritardo

ri-spetto ai tempi fìssati dalla leg-ge e quante hanno neppure dato inizio ai lavori?) (17), assai poco preoccupandosi degli aspetti ter-ritoriali, concretizzabili nei pia-ni urbapia-nistici (ma quali piapia-ni, se talune Regioni hanno scelto la via più facile dei piani ter-ritoriali di coordinamento, altre quella del piano regolatore

in-tercomunale, pur senza nulla ag-giungere a chiarimento dell'am-biguo disposto dell'art. 12 della 1. n. 1150/1942, ed altre hanno preferito riportare nella legge regionale l'incerta ed equivo-ca dizione della legge naziona-le?) (1S).

Ché, anzi, la più parte delle Comunità preferisce tacere

sul-Fig. 3 - Ferrare. C e n t r o d e m i c o d e l l a Valle S t u r a di D e m o n t e ( m . 1869 s. I. m.), ai l i m i t i d ' u n a c o n c a p a s c o l i v a t e r m i n a l e d ' u n a valle l a t e r a l e di t r a n s i t o s e c o n d a r i o . P o s t e a m e z z a c o s t a , le d u e e n u c l e a z i o n i c h e io f o r m a n o h a n n o u n ' i m p i a n t o c o m p a t t o , a d d e n s a t o in c e l l u l e i s o l a t e p l u r i f u n z i o -nali ( a b i t a z i o n e e r u s t i c o i n c o r p o r a t o ) , i n t e r v a l l a t e dagli s p a z i c o m u n i p e r la c i r c o l a z i o n e . N e l 1881 vi r i s i e d e v a n o 2 3 5 a b i t a n t i (169 p r e s e n t i ) , r i d o t t i a 4 6 nel 1951 e a z e r o a b i t a n t i nel 1971. A l c u n e d e l l e c e l l u l e a n c o r a i n t e g r e s o n o u t i l i z z a t e nei m e s i e s t i v i c o m e a b i t a z i o n e t e m p o r a n e a di p a s t o r i , a l t r e c o m e s e c o n d a casa.

Fig. 4 - Ferrere. R u d e r i e m a c e r i e di edifici d i s t r u t t i d a l l ' a b b a n d o

l'argomento, che ritiene scottante per la maggioranza delle ammi-"nistrazioni dei comuni che le

formano, pregiudizialmente ostili a qualsiasi disciplina del territo-rio che miri a limitare la piena disponibilità della proprietà fon-diaria (19).

Pochissime Comunità, a quan-to consta, si sono dichiarate sen-sibili al problema (20), ed anche in queste poche si assiste sovente a comportamenti contraddittori, dovuti a radicate convinzioni che, come notava correttamente il Blanchard (21) nel suo lavoro sulle Alpi Occidentali, ed altri prima di lui, osservatori attenti delle condizioni di vita delle po-polazioni montane, sono portato storico dell'isolamento, di anti-chissime consuetudini, di situa-zioni ambientali del tutto stra-ordinarie (2).

La dichiarata concordia sulle linee del piano di sviluppo, sulle proposte di intervento da questo formulate, si tramuta in diffi-denza ed ostilità appena si passa a trattare delle connessioni tra quelle linee e proposte ed il rife-rimento all'applicazione territo-riale. Tanto maggiore è l'ostilità quanto più puntuali vogliono ap-parire tali connessioni.

Una dimostrazione dell'assun-to può cogliersi da quandell'assun-to segue. Parecchi piani di sviluppo, se non proprio la totalità, fondano — o fonderanno — le loro ipo-tesi di lavoro sulla rivalutazione del territorio sotto il profilo agri-colo e silvo-pastorale, sulla par-ziale integrazione del settore con il turismo, purtuttavia conside-rato nella più moderna accezio-ne di turismo sociale e di agro-turismo, e — in subordine — sulle attività industriali e arti-gianali non inquinanti (a) . Di qui le proposte di ricupero delle aree agricole e pascoli ve, di rimbo-schimento, di risanamento del

manto forestale esistente, di po-tenziamento del patrimonio zoo-tecnico, di riutilizzazione orga-nica degli spazi costruiti (24), di moderate e caute utilizzazioni del suolo a scopi insediativi, di-mensionate sugli effettivi bisogni della Comunità C5), sottraendo il meno possibile di spazio agli al-tri usi privilegiati dal piano.

Ne consegue l'esigenza di salvaguardare il territorio agra-rio (26), quasi sempre coincidente con le aree insediativamente più appetite (27), da compromissioni edificatorie, onde predisporre con profitto e senza sprechi gli interventi (di bonifica, di accor-pamento fondiario (28), di irriga-zione, di sistemazione idraulica, di dissodamento, ecc.) utili per aumentare o ripristinare la capa-cità produttiva. Il che implica, è ovvio, una restrizione dei livelli edificativi, o addirittura — ma-gari — l'esclusione di qualsiasi edificazione su vaste porzioni del territorio, diversamente soggette — com'è accaduto in passato — all'incertezza di altri interventi palesemente in contrasto con le ipotesi prospettate dal piano (29).

Già da questi sommari ac-cenni appare fin troppo evidente il legame tra il piano di sviluppo ed il piano urbanistico, che è il traduttore fedele, in ambito ter-ritoriale, degli interventi prefigu-rati dal primo strumento. Tanto evidente, però, da suscitare le pronte reazioni di quei compo-nenti delle amministrazioni lo-cali che più temono debba con-tenersi il campo di scelta dei lotti fabbricabili vendibili, con conseguenze agevolmente imma-ginabili sul mercato delle aree, sul piano elettorale nei con-fronti del pulviscolo di interessi, presenti e non, che le proposte restrizioni verrebbero a intac-care (M).

A questo punto l'operazione

Fig. 5 - Ferrere. U n a cellula edilizia r i c u p e r a t a p e r s e c o n d a casa, c o n s e r v a t a nel v o l u m e , r i f a t t o in c e m e n t o a r m a t o il ballatoio, i n t o n a c a t e e t i n t e g g i a t e le p a r e t i . E s e m p i o di r e s t a u r o v o l o n t a r i o ,

p a r z i a l m e n t e r i u s c i t o .

di aggancio del piano urbanisti-co al piano di sviluppo subisce un primo rallentamento, intral-cio che le Comunità più avverti-te avverti-tendono a rimuovere amplian-do il dibattito, chiamanamplian-do i cit-tadini a sostenerlo in assemblee aperte, suscitando in tutte le sedi la partecipazione attiva dei mon-tanari veri, di quei pochi — cioè — che nella montagna e della montagna vivono e si propongo-no di continuare nello sforzo di vivere, migliorando le proprie condizioni esistenziali, ma senza ricorrere ai mezzi deteriori dei lavori servili o della vendita, o

svendita, dei loro beni, che sono anche le loro uniche effettive ri-sorse (31).

Il ricorso al dibattito, all'azio-ne paziente di convincimento, al confronto che cerca nel dialogo il consenso ed apre al cambia-mento ragionato, se perseguito con lucida ed onesta fermezza riesce in genere a dare buoni frutti.

Non che si possa pretendere il meglio in tutto, come certi dogmatici forse attendono nei loro astratti convincimenti (32), ma è indubbia la validità del me-todo quale contributo

all'avan-zamento sulla via democratica della programmazione e della pianificazione urbanistica, risol-ventesi in un più sostanzioso e rinnovato impegno culturale del-le componenti sociali presenti nel territorio (33).

Nell'ipotesi fortunata che si riesca a concludere il discorso del piano urbanistico (34) e che le conclusioni si allineino, in tutto e per tutto, al piano di sviluppo, divenendone — come si è detto •— il logico supporto territoriale, restano da sciogliere alcuni nodi sui quali è bene sof-fermarsi.

Il piano — programma, in-tanto, implica la disponibilità dei suoli che formano oggetto degli interventi (35); quando, poi, questi ineriscono costruzioni esi-stenti, da ricuperare agli usi ori-ginari o — caso più frequente — ad usi differenti dagli origina-ri (36) ma congruenti all'indirizzo del piano, occorre poter dispor-re, oltre che del suolo, degli im-mobili sovrastanti. In carenza di tale disponibilità, o troppo ritar-dando rispetto ai tempi fissati dal piano, si svilisce o addirittu-ra si annulla l'incidenza in

effi-cacia dello stesso intervento (37). È pur vero che le leggi vigenti ammettono l'acquisizione forzo- _

sa dei beni compresi:

a) nei piani di sviluppo, quando necessari all'esecuzione di « opere » o destinati « alla formazione di boschi, prati, pa-scoli o riserve naturali », ai fini della « difesa del suolo e della protezione dell'ambiente natu-rale », (art. 8 e commi uno e due dell'art. 9 ex 1. n. 1102/

1971) (3S).

b) nei piani urbanistici, quando l'espropriazione sia di-retta « a realizzare una delle fi-nalità indicate nell'art. 9 » della 1. n. 8 6 5 / 1 9 7 1 (39) e, in partico-lare: i piani di zona per l'edilizia economica e popolare; le opere di urbanizzazione primaria e se-condaria e singole opere pubbli-che; il risanamento, anche con-servativo, degli agglomerati ur-bani (40); l'acquisizione di aree comprese nelle zone di espansio-ne ai sensi dell'art. 18 della 1. n. 1 1 5 0 / 1 9 4 2 e per l'attuazione dei piani per gli insediamenti produttivi ("')•

Fig. 6 - Ferrere. C e l l u l e e d i l i z i e i s o l a t e p a r a l l e l e in d i s u s o , r i c u p e r a b i l i .

Sono tuttavia note le resisten-ze accanite che oppongono le am-ministrazioni dei piccoli Comu-ni (42) a qualsiasi forma di espro-prio, tanto più grande quando ritenuta — poco importa se giu-stamente o no — fomite di spe-requazioni, com'è nel caso della 865 (43). A scoraggiare il ricorso all'esproprio, inoltre, interven-gono la complessità e la lungag-gine delle procedure, tuttora sog-gette al neocentralismo regiona-le, il timore — quasi sempre fondato — del contenzioso ed, ancora, la grande confusione che regna nel regime proprietario delle parti montane (non aggior-namento dei catasti, commistio-ne tra proprietà private ed usi civici, groviglio di servitù, pro-prietari assenti e irreperibi-li, ecc.).

In tutti i casi l'ignorare, o fingere di ignorare, codesti osta-coli, equivarrebbe a porre serie ipoteche sulla realizzabilità del piano. Come si possa riuscire a rimuoverli è questione per ora irrisolta O .

Merita peraltro richiamare, in proposito, una considerazio-ne che spesso sfugge al tecnico pianificatore: se pianificazione e partecipazione democratica cor-rono su vie convergenti, è d'uopo convincersi che il cammino da percorrere è ancora lungo e che le stesse riforme legislative, per quanto avanzate esse siano, non sono in grado, da sole, di scio-gliere un intrico di nodi che è prodotto di storia, ambiente, mentalità, rassodato per di più da oltre vent'anni di squilibri crescenti e di attese inappaga-te («).

Personalmente, e proprio a se-guito delle esperienze vissute nel continuo contatto con ammini-stratori e strati sociali i più di-versi di ogni parte della nostra regione, ritengo sia necessario

procedere per gradi C), lascian-do discreto margine a scelte al-ternative nelle fasi di attuazione dei piani di sviluppo e nei pro-grammi annuali (47), le une e gli altri muovendosi in parallelo col momento urbanistico, ossia con i piani di attuazione, di durata quinquennale come il piano di sviluppo, e con i corrispondenti

piani stralcio annuali, consistenti

nel pacchetto dei progetti esecu-tivi delle opere che realizzano le previsioni dei primi (4S).

Più complesso e di non mino-re importanza è l'innesto dell'in-tervento privato, edilizio nella sua accezione più larga (49), nelle maglie dei piani predisposti dalla Comunità montana. Verrebbe da suggerire che sia la stessa Comu-nità a sollecitare ed a raccogliere preliminarmente idee, contributi, proposte, intenzioni di privati od enti interessati ad investire capi-tali nel territorio, confrontandoli con i propri propositi, onde fare seguire i piani nella loro stesura definitiva. È quanto è stato fatto, ad esempio, nella Valle Stura di Demonte C50). La procedura può sembrare macchinosa, e che sia affaticante è testimoniato da chi l'ha messa in pratica, ma è forse una delle poche strade rimaste aperte per evitare di cadere nel rigido dirigismo dall'alto, da ta-luni invocato, pur con venature di apparente democrazia, come sostituto necessario all'inerzia e all'inefficienza (51).

II discorso fatto fin qui si re-stringe esclusivamente all'area di giurisdizione delle Comunità montane. Il suo campo d'azione è pertanto concluso nell'ambito del territorio di ciascuna Comu-nità. Chiaro, quindi, che manca di qualsiasi connessione previ-sionale ed operativa con l'ester-no, in contrasto con quanto si era prima affermato.

Un discorso siffatto, senza

Fig. 7 - Valle Neraissa, in c o m u n e di V i n a d i o (Valle S t u r a di D e m o n t e ) . R u d e r i e m a c e r i e di un n u c l e o .

Fig. 8 - Neraissa Superiore. E n u c l e a z i o n e di « b a i t e » al t e r m i n e d ' u n a valle l a t e r a l e . I p o c h i e d i -fìci a n c o r a c o n s e r v a t i s o n o u t i l i z z a t i p e r a b i t a z i o n e t e m p o r a n e a di p a s t o r i e p e r s e c o n d a casa.

R a r o e s e m p i o di n u c l e o c o n t e t t i di p a g l i a .

idee-guida d'ordine più genera-le (52), senza un filo conduttore che riesca a filtrare i bisogni del-la collettività regionale, a redel-la- rela-zionarli con i bisogni e le risorse delle collettività regionali confi-nanti (e nel caso del Piemonte si tratta di regioni anche d'oltralpe, francesi e svizzere, alpine quanto e più della nostra) (53), oltre a ri-sultare culturalmente povero, ha scarse probabilità di riuscire nel-l'intento di invertire

effettiva-mente le tendenze nei riguardi del passato.

Forse è corretto condurlo nei termini prospettati, perché è il massimo che si possa chiedere nel contesto politico, ammini-strativo, finanziario e socio-cul-turale attuale (54), ma devono es-serne evidenti i limiti e la par-zialità, da un canto, cosi come dev'essere fermo l'impegno della Regione di riportarlo, entro un tempo ragionevole, nei giusti

bi-pieno all'assistenza sanitaria del-la Valle Stura di Demonte, ser-vendosi delle tecniche e dei mez- „ zi più aggiornati, può aiutare ad aprire nuovi orizzonti anche nel settore della programmazione e dell'assetto territoriale (5S);

d) nell'accelerazione dei

tempi per la formazione e ado-zione dei piani di sviluppo e urbanistici da parte dei com-prensori, badando a responsabi-lizzarli direttamente nelle fasi di studio, di proposte, di progetto e di gestione dei medesimi (39);

e) in periodici e concertati

incontri tra rappresentanze della Regione e delle Comunità, e gli organismi politici e tecnici delle regioni confinanti, intesi a defi-nire e confrontare metodi, espe-rienze, progetti O ;

/) nell'utilizzazione massi-ma degli strumenti e dei mezzi disponibili da parte della Regio-ne per ampliare il dibattito a tutti i livelli e in tutte le sedi sui problemi del territorio delle Co-munità (ad esempio, i parchi e le

riserve naturali, il turismo, l'agri-coltura, ecc.) (61).

Per il prossimo triennio vi sono buone prospettive perché l'esperienza delle Comunità mon-tane decolli ed entri nel vivo dell'operatività. Dal suo succes-so, dipenderà, probabilmente, gran parte del futuro della no-stra montagna. Non si vorrebbe, tuttavia, che fosse un successo di breve momento: l'ultimo

lam-po prima del buio. Ciò non

ac-cadrà, credo, se gli impegni ap-pena detti verranno assolti da chi di competenza. Il dubbio che « chi di competenza » abbia la volontà, e l'interesse, di assu-mersi tanto peso, è tuttavia legit-timo. La montagna reca pochi

voti, soprattutto quella più

po-vera e arretrata: troppo pochi, forse, perché ci si senta in de-bito verso di essa e in dovere di fare qualcosa in più dell'indi-spensabile, ossia richiesto dalla legge.

Torino, settembre 1976.

nari dall'altro. Impegno che po-trebbe risolversi:

a) in un'azione di sollecito

riagganciamento dei piani di svi-luppo e dei piani urbanistici del-le Comunità montane ai piani di sviluppo e ai piani territoriali di coordinamento dei comprensori, senza con ciò bloccare i primi in attesa dei secondi (55);

b) in un'azione program-mata di confronto degli organi regionali preposti alla pianifica-zione territoriale, agli strumenti urbanistici, alla programmazio-ne, con le popolazioni della

mon-tagna e di queste tra loro (56);

c) nella formazione di ap-positi organismi tecnici

interdi-sciplinari a servizio delle

Comu-nità Montane, singole o raggrup-pate a seconda dei casi(57), per la gestione e l'aggiornamento dei piani: organismi non

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